martedì 27 ottobre 2009

Piazza Vittorio, un giorno


E' particolare, questa piazza. Scarna, troppo grande. Hanno approfittato che c'era un fiume e ce l'hanno messo dentro e finisce dall'altra parte, dietro la chiesa, per poter dire che è una tra le piazze più grandi d'Europa, e non vale, così è fin troppo facile. E' in discesa, ma pochi se ne accorgono, con le case che si interrompono in corrispondenza delle vie e riprendono subito dopo un poco più alte, così che, se non te lo diceva il tuo professore al Politecnico, tu mica te ne eri mai accorto. E' scarna e ingrigita, per alcuni versi, con tutti i fili e fili e fili intrecciati per i tram, che quando la vuoi inquadrare tutta con la macchina fotografica loro escono alla ribalta e ti sembra di vedere quasi solo quelli.
E' rimasto un pizzico di magia, nascosta negli angoli remoti e bui, quelli vicino alla farmacia dell'800, di quando ci portavano una volta a Carnevale, noi piccoli, io con il berretto da cowboy, il giubbotto con le frange, la stella e il cinturone con la pistola e i sei colpi gialli nelle striscie che li staccavi e li mettevi dentro, uno ad uno, con le dita che facevan fatica, che una volta tanti ma tantitantitanti anni fa il carnevale lo facevano lì, che da quando l'hanno spostato alla Pellerina tutta la magia e l'infanzia è rimasta dall'altra parte.
E' bella e brutta, moderna e antica, desolazione e sorpresa, un controsenso ed un incanto ad ogni passo, tutti diversi. E' indorata dal sole, oggi, con tutti i fiori sul ponte che colorano, con le rotaie che scintillano, con il fiume che è quasi oro, oggi, che fa caldo ma un caldo che ottobre sembra sparito di colpo, che quelli in macchina mi invidiano tutti, io che la mia città me l'attraverso in un baleno, perchè solo un attimo fa mica ero qua, ero là nel mio cantiere quello grande, quello da mille milioni, quello che la mia piccola quando ci passo davanti ha imparato a dire "questo lo fa il mio papà", ed io già mi vedo con la cazzuola in mano e la busta di foglio di giornale in testa, che, mattone su mattone tiro su muri, per non smentirla. No, ciccia, il tuo papà fa solo l'ingegnere. "Ma è meglio o peggio?" chiede spesso lei, pensosa. Ah, saperlo.
Ero là che oggi ho visto tutto, ed a un certo punto, visto che ci si perdeva in ciance, ho salutato tutti e via, perso nel zig zag tra macchine lente, me la son ritrovata vicino. Così, improvvisa e vicina che quasi non me l'aspettavo, il Transalp fa di testa sua, insegue quel che vuole alle volte. Ed invece eccola lì, uno squarcio improvviso. Ho parcheggiato in una viuzza vicino, l'ho atraversata, casco in mano e cellulare spento. Ho camminato sotto i portici, ritrovando angoli conosciuti, scorci dimenticati. Qui una volta c'era uno che... adesso non c'è più, e tutti questi bar ipermegasupertecnologici, che io quando progetto spesso penso così, ma quando cerco un posto come Dio comanda mi rifugio in quei posti, quelli diversi, qelli con gli specchi vecchi e le boiserie in legno, di quelli da rifugiarsi sulle poltroncine che scricchiolano sul vecchio palchetto in legno, con un irish coffee tra le mani che scalda, con la nebbia che lenta sale dal fiume, che lì dentro ci stai e parli fitto fitto e ridi, e i pasticcini che uno via l'altro e alla fine sei sazio e la cena potresti anche evitarla. E chissà c'è ancora quel posto, mi sa che non c'è più, perchè ormai ho fatto tutto il giro, sono quasi da dove son partito e qui praticamente di quei posti non ce n'è più neanche uno, vedo tavolini moderni ancora, fuori dai portici quindi ci sarà un altro di quei locali tutti acciaio e vetro acidato e invece no.
Me lo ritrovo lì, davanti a me, con le tartine per l'aperitivo già esposte, e l'interno scuro, quasi buio. Non riesco a resistere. Entro.
L'interno è così, come doveva essere, come mi aspettavo. Il vassoio dei dolci a sinistra, pieno di croissant di tutte le forme e colori, roba da acquolina in bocca, ma so che dovrei aver al massimo un paio di Euro in tasca e quindi non è il caso di lasciar il casco come pegno. Ordino un caffè, io che ultimamente mai neanche più uno, ma, improvvisamente ne avevo voglia. Bevo il caffè e nel frattempo guardo, osservo, i due bimbi con una brioche ciascuno che le tengono a due mani e ad ogni morso ci si immergono, i quadri, la cassa vecchia e un pò scrostata, di quelle ancora con i tasti a pressione che quando schiacci il totale esce il numero su in alto e si sente la campanella. E poi la saletta di fianco, piccola, una discreta finestra sulla piazza, di quelle dove star seduti in un angolo, a scrivere, scrivere e scrivere. E poi, va già che lo sai, che te lo dico a fare, ma ci ho pensato. Bello sarebbe.
Pago il mio 0.90 e scopro che di Euri ne possedevo addirittura tre, per cui ci stava anche un croissant, magari solo uno senza niente dentro così non ingrasso, ma senza niente che lo prendo a fare, è molto meglio niente del tutto. Appoggio le mani sul bancone, sulla parete della saletta, su un tavolino basso. Me ne approprio, respiro l'aria che sa di caffè macinato. Poi esco. Sarebbe stato veramente un peccato non ci fosse stato più. In fondo era così, fino ad oggi. Da oggi invece esiste, anche per me.
E ritrovo la mia moto, parcheggiata sbilenca, ironica, come per dire "hai visto? Ti sei voluto fare tutto il giro della piazza perchè non ti fidavi, vero? Ed io che invece ti ci avevo portato proprio giusto. Vatti a fidar degli uomini". 
Per fortuna che c'è lei.
D&R

4 commenti:

  1. sabato ero a Torino, ma ho fatto il solito giro centro e portici, piu' Mole Antoneliana perchè con me c'era un'amica giapponese che voleva vederla e in piu' c'era la mostra dei cartoni giapponesi,quest'ultima una mezza fregatura.
    la prossima volta arrivo fino li, a quella piazza che sai, me la sono scordata tanto è grande e bella
    ciao
    MR

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  2. @MR: Benvenuta e grazie, grazie di cuore. Spesso i luoghi si colorano dei ricordi che le avvolgono. E per me, oggi, quella piazza ha un colore tutto suo.
    D&R

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  3. la MIA Torino.
    l aria da respirare la piazza da vivere, quel fiume che ogni volta sembra aspettarmi e poi invece scappa via.
    e la collina da dove ammirarla quando è notte, come una donna vestita da sera.
    la MIA Torino
    me la vengo a riprendere a rivivere, a farci pace che ci siamo trascurate a vicenda quasi a darci per scontate, tanto si sa che poi si torna. e non è mica vero.
    La MIA Torino.
    da respirare con chi mi guarda negli occhi e mi sente un po' sua.
    forse perché pure lui è un po' mio.

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  4. @Sys: La tua Torino alle volte è la città più bella del mondo. La tua Torino ha strade diritte ed ordinate. E' elegante, sì, e bella da respirare. E ti auguro di farlo con chi vuoi.

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