venerdì 26 marzo 2010

Torino, in giro

Un lavoro nuovo, un cantiere in centro, una decina di persona a setacciare due piani di uffici vuoti.
Io ero l'unico che non riuscivo a smettere di guardare fuori.
Torino è bellissima, quand'è leggera e malinconica.
O forse sono solo io, che oggi mi sento "crepuscolare"

giovedì 25 marzo 2010

Praticamente uguale

Detto così, penso che in studio a più di qualcuna stia andando il boccone del pranzo per traverso dalle risate, o almeno, malignamente, lo spero. Sì perchè qui, in questo covo di serpi, da tempo avevano cominciato a sfottermi, prendinculeggiarmi, confutando l'esistenza stessa (più o meno come si fa con gli UFO) di qualcosa che abbia ancora la possibilità di fregiarsi del titolo di addominali - ma qualcuno li ha mai visti? Ormai saranno morti, schiacciati sotto tutta quella panza. Ma tant'è, questo era ieri. Dove ieri corrispondeva a circa venti chili fa.
Inutile, tanto non ci arriverai mai comunque, han ribadito quando ipotizzavo le possibilità di recupero fisico, mentre mi pavoneggiavo nei miei Levis W32L34, quelli di vent'anni fa, sì, proprio gli stessi del primo tour settembrino "in  Paris" dello studio.
Inutile, sghignazzavano guardando avide l'immagine del campione in mutande.

Punto primo: ehi, guardatemi negli occhi quando parlo, gli addominali sono quelli SOPRA la striscia elastica dei boxer, pronto?...

Punto secondo: forse non ci arriverò mai, daccordo, ma datemi tempo. Il recupero è solo all'inizio. Ed io, di limiti proprio non me ne pongo. Sarà ua sindome da Peter Pan ma, in definitiva il motto "chissenefrega" è una discreta panacea.

Punto terzo: io ho molti più capelli, comunque. E quello è un fatto indiscutibile.

Punto quarto: non mi stavo riferendo a quello.

Mi riferivo al tipo di intervento, che io ed il supercampione in questione abbiamo subito. In pratica si è rotto anche lui, esattamente come me. Ecco, il perchè del titolo.
Vabbè lui è stato operato da Orava, quello famoso, quello degli interventi impossibili, quello che, ad esempio, ha riportato il mio amico Renè a correre a 3 e pochissimo al chilometro. Io non avevo nè soldi nè bisogno di andare in quel di Stoccolma ma poi, come ho già detto, anche da queste parti sanno fare lavori di tutto punto, anzi di punto e croce. Ed il mio vezzoso ricamino è qui a dimostrarlo.
E quindi è passato velocissimo un mese. Scusate l'assenza dalle scene di questo blog, sì signora maestra sono stato assente ma non potevo, ho la giustifica, ma ho studiato, giuro. 
E, udite udite. ho già buttato via le mie amateodiate stampelle. E' bastato un breve accenno da parte del mio luminare - Tienile ancora un pò per andare in giro, ma in casa o in studio puoi usarne solo una - E me ne sono portata una a casa ed una in studio, e le ho abbandonate in un angolo dopo il secondo giorno. Poi, ma non ditelo a lui, che ancora non mi ha dato il permesso, ho ripreso a guidare; sì, lo so che dovevo pazientare, ma l'andata ed il ritorno da bucodiculoplace allo studio con la mia provetta autista era veramente troppo, per me. Una che l'invenzione dell'autoradio è perfettamente inutile, con lei. Che speri sempre, ma soprattutto alla mattina alle sette, quando sei ancora catatonico con tutte le difese ancora a zero, in una bella raucedine fulminante ed invece niente, tonica e di buonumore e soprattutto con molte nuove cose da dire, rispetto al giorno precedente.

Ed infine, ma ve lo dico sottosottovoce, ancora più piano, perchè vietatissimo è ancora adesso, son risalito in moto. Che mi aspettava lei, come suo solito, sbilenca e sorniona, un pò più impolverata del solito e con i rami della siepe di biancospino che cercavano di avvilupparla. E' partita subito, regalandomi il suo borbottio familiare, al primo colpo. Mi ha portato dove voleva lei, a spasso, ronfandomi amica, in un sabato mattina profumato che sapeva di primavera avanzata.

Correre però proprio niente, neanche a pensarci, ma ho avuto il permesso di tornare a fare qualche pedalata in pianura ed in piscina. E per questo mi sono attrezzato alla bisogna, con tutta una serie di cose incredibili e bellissime e strafighissime che neanche Phelps ce le ha tutte, o almeno lui è pagato per averle e vuoi mettere la differenza. Le ho trovate svaligiando Amazon, che ha cose incredibili come questa oppure questi oppure ancora come questo. Una giornata di shopping virtuale e compulsivo.
Il risultato è stato devastante ma solo dal punto di vista economico, considerato che, tra spese di viaggio e tasse doganali, un paio di occhialini mi sono venuti a costare quasi cinquanta pesantissimi euri, ma la soddisfazione nel ricevere tutti questi pacchi mi ha fatto tornare bambino la mattina davanti all'albero di Natale.
E pertanto da oggi, la ripresa è ufficialmente iniziata.
Ed anzi è proprio ora che mi dia una smossa, in quanto il mese di assenza forzata ha rinascosto questi stupendi, incredibili, pulsanti addominali sotto un salsicciotto di ciccia girovita. Che a Beckham, quest'ultimo, di sicuro gli manca.
Che si consoli con Victoria, lui.

Yours, sinncerely, Dreaming and swimming

mercoledì 10 marzo 2010

Toh, guarda.

Nevica.

Nevica da ieri, ma già con domenica aveva nuovamente ovattato l'aria di quel silenzio irreale, ingrigito. Le mie rose, lì fuori avevano già cominciato a far spuntare i primi germogli ed adesso giacciono di nuovo quiete, sotto uno strato gelido spesso una decina di centimetri.
Nevicando mi ostacola, nelle idee delle cose da fare, e mi trova contrariato, per la prima volta in quarant'anni. Ho sempre adorato la neve. Patisco il caldo, al freddo sto bene sempre e la neve l'annuso, deliziando sempre mia figlia  che mi guarda stupita se le dico: "senti? C'è aria di neve"; lei arriccia il naso, tentando di imitarmi e poi sorride rispondendomi che sente invece odore di pizza -  che dici papà, andiamo a prenderla così facciamo una sorpresa alla mamma?
Nevica che i rumori fuori dormono anch'essi, si smorzano, colpiti, abbattuti da tutti quei fiocchi soffici, cotonati, che scendono leggeri ed inesorabili. Aggiungono sonno al sonno, la mattina ed è più difficile svegliarsi, darsi la smossa, giù, alè che si comincia.
Ed invece il biancolatte della neve sui velux che sembra buio, la stanza afona e il niente che ti circonda non ti spronano, sembra che ti dicano shhh, pazienta, riposa, spegni il cervello e  mettilo sotto la neve anche lui, dormi se riesci. Sogna se riesci. Dai, sogna. Shhhh.
Sogna come quando sogni che corri, che ti sembra di essere legato con mille invisibili elastici, impantanato alla terra, e che ti stanchi perchè le gambe le muovi lo stesso anche se dormi.
Sogna che ha smesso di nevicare, che c'è il sole, che le stampelle sono inutili e che il tendine è già guarito e prendi e fai. E vai, dove vuoi, perchè il tempo è tuo e ne fai cosa vuoi.
Sogna che c'è il vento, e la crosta leggera del sale secco che ti è rimasta sulle braccia te l'ha già asciugata il sole, e stai portando una barca, magari la tua, chissà. Di bolina stretta, che tieni la barca tra i polpastrelli delle dita. Lo scafo si appoggia sulle onde, le separa, con la sua forza e le lascia alle spalle. Le vele gonfie, le cime tese arrotolate sui winch. La ruota del timone leggera, ascolti la pressione delle onde. Le sartie sibilano, sbattendo leggermente sull'albero. Hai i tuoi occhiali da sole ed i capelli lunghi e ricci che seguono le folate. Indossi una t-shirt blu, blucobalto, sicuro.
Non sei solo, tua figlia è a cavalcioni a prua, le gambe lunghe ed abbronzate oltre il bordo, che guarda lontano e ride divertita ogni volta che uno spruzzo dispettoso di onda che rimbalza sullo scafo lucido le solletica i piedi.
C'è gente sottocoperta, ne senti il rumore. Si cucina qualcosa, forse. Ne annusi i profumi, che rapidi passano e si dissolvono insieme alla scia che si svolge alle tue spalle. Individui le forme nella penombra, un bracciale, una mano che si muove rapida con perizia, piedi nudi e jeans arrotolati sopra il polpaccio, una camicia di cotone annodata con noncuranza. Non vedi il volto, ci sono solo capelli che si ribellano al vento mentre esce in coperta e viene verso di te.
Fa caldo nel tuo sogno. C'è il vento, il rumore del mare ed il sole.
Senti leggera una mano sul volto caldo e abbronzato dal sole. Ed occhi che ti guardano dentro, gli occhi nel cuore.
Lento, inesorabile, tutto svanisce, scioglie e si dissolve.

Mia figlia mi sveglia con una carezza lieve sulla guancia ispida della barba di due giorni. Mi guarda con i suoi occhi che contengono ancora tutto l'incanto del suo essere bimba. Dieci anni appena compiuti. E a volte sembra più matura di me.
- Mi spiace svegliarti, papà - mi dice con la sua voce più tenera - ma mamma ha detto che sei in ritardo per andare a lavorare. Fuori nevica. Sai? Sorridevi. Dà un bacio sulla punta del naso a quel suo papà ancora una volta aggiustato e poi via di corsa a prepararsi. 

Sapete?
Che belli gli occhi di mia figlia, appena sveglio. E, nonostante la neve che impietosa continuava a cadere, la sua mano profumava ancora di vento e di mare.

venerdì 5 marzo 2010

Un post

Tranquillo, quest'oggi. Il sole, il caldo inaspettato rende tutto più sopportabile. Le stampelle sono diventate un elemento fisso, un fastidioso particolare nella mia visuale. Mi accompagnano ovunque, mi cadono sempre e mi fanno imbestialire, esattamente come allora.
Ma le uso, devo usarle, per amore o per forza. Già ne padroneggiavo l'uso, comunque in quel tempo là. A recuperare l'equilibrio non ci vuole poi molto, in fondo. Basta, ad esempio, abitare al primo piano senza ascensore ed avere la zona notte in mansarda, anche se la consorte, bontà sua, ti ha relegato a dormire sul divano letto della sala e ti abbuona un piano, salvo poi dimenticarsi come si accende la sveglia, e come si spegne, e ah già che ti fai la barba e ti devi cambiare un'altra volta la camicia e scusa ma se fai su e giù almeno dieci volte tanto vale che dormi di sopra. Già.
E quindi, giocoforza, le vesciche alle mani sono comparse e già scomparse.
Ho imparato a farmi da solo le punture di eparina nella pancia. La mia piccola, trasformatasi in solerte ed affettuosa infermiera, mi osserva pensosa mentre mi pratico l'iniezione quotidiana, passandomi il cotone imbevuto di alcool e guardando con attenzione nel momento esatto in cui l'ago buca. Vorrebbe provare a farmene una, ma da lontano, stile freccette. Dovrei solo tracciarmi dei cerchi concebtrici con il pennarello.
In ospedale ci son rimasto un giorno in più del dovuto, a casa ho resistito due giorni, poi via, c'era da diventare matti, a far passare il tempo. Ho letto il leggibile, guardato il guardabile in televisione ed anche l'inguardabile, Sanremo no, proprio non avrei potuto. A tutto c'è un limite.
E pertanto ho ripreso il lavoro, che la vacanza forzata è già belle che dimenticata.
Doverosamente, idealmente ringrazio, lo staff di chirurgia ortopedica e il personale sanitario dell'Ospedale di B, efficienti, precisi e, nonostante un sabato allucinante per loro, incredibilmente cortesi ed umani. Abituato al trattamento giocoforza impersonale dei grandi ospedali torinesi, la cosa mi ha colpito. Ho barato scherzosamente sui tempi al km, trovando runners in sala operatoria, e ridendo addirittura mentre mi operavano.
"Ma perchè voi runners siete tutti un pò matti?" mi ha poi domandato, osservandomi con un leggero sorriso, la dottoressa che mi ha dimesso, la domenica mattina. Me lo ha chiesto con cognizione di causa, avendone sposato uno. Motociclista ed ex climber, per giunta.

E le ho spiegato che non siamo poi così matti, anche se i maneggi tra me ed il mio amico Renè per levarmi il camice ed indossare abiti decenti, con la flebo ancora infilata nel braccio che a mi strangolava,  le hanno strappato ben più di una risata ed avrebbero ben figurato in una commedia di Totò e Peppino.
Le ho detto che non si può spiegare perchè si corre ma occorre provare, e non è detto che debba piacere a tutti i costi, altrimenti i percorsi sarebbero sempre strapieni. Ma le ho detto perchè piace a me.
Le ho raccontato cosa sento io, quando i passi sull'asfalto cominciano a diventare rapidi e cadenzati; le ho spiegato cosa vedo ogni giorno, dal cambiare del colore delle foglie, al cielo, la gente che corre, la pioggia, il freddo polare delle mie zone o il caldo opprimente del mese di agosto. Le ho descritto di come mi sento prima di iniziare e dopo l'allenamento, delle musiche che ascolto e delle emozioni che riesco a liberare ritagliandomi un'ora al giorno che sia mia e solo mia. Della necessità che mi rimane addosso quando non posso; di quanto faccia bene a me, al mio fisico ed al mio lavoro, della serenità che mi procura nei giorni che nascono sbagliati e della soddisfazione che mi procura sentire il mio fisico reagire e superare le fatiche.
Alla fine della mia pubblicità pro running le ho consigliato di provare. Magari da sola, o con la sua collega che mi ascoltava, in pausa pranzo, oppure alla sera, insieme al marito. Mi han ringraziato, loro a me, e mi han detto che chissà, prima o poi magari un giorno non è detto che. Ed andandomene ho infine augurato loro "lunghe corse", un saluto che ho appena imparato in rete.
E adesso quindici giorni son già volati. Il lavoro, per fortuna non mi ha concesso tregua, facendoli passare troppo in fretta ed impedendomi anche di trovare tempo per troppe cose, compreso aggiornare il blog. E così questa mattina c'erano di nuovo gli occhi miei e di Renè puntati sul Dente del Gigante, nel gruppo del Bianco, mentre mi facevo accompagnare a levare i punti. Abbiamo di nuovo parlato parlato e riso tanto, all'andata ma soprattutto al ritorno, cominciando a fare ipotesi di allenamento per raggiungere i nostri obiettivi.
Il mio luminare è soddisfatto, soddisfattissimo e mi ha detto che posso iniziare a darmi una mossa. Ripartiamo.
E il sole caldo mi ha riaccompagnato in studio pertanto; colorava di tinte calde le nuvole che venivano spazzate sulle creste delle montagne innevate da folate di vento impazzite.
Ma dicono che domani nevicherà di nuovo.