giovedì 31 maggio 2012

Solo i pazzi - e 2


No, non è stato esattamente come l'altra volta: perché in questo caso non ce n'è stata una, una sola, tra le persone alle quali ho mostrato il volantino, che non mi abbia dato del matto, da ricovero, da Cottolengo, a dirmi sì sì, sono già lì, aspéttami che poi arrivo, osservandomi storcendo il naso e scuotendo pensosamente la testa. Ed al mio ribattere che invece domattina saremo una valanga mi han risposto che non c'è niente da essere orgogliosi, se di pazzi in giro ce n'è sempre fin troppi. 
Però no, in realtà non è andata veramente così. Perché uno c'è stato. Uno che non ho dovuto nemmeno insistere per convincerlo, che non appena ha osservato il volantino spiegazzato che ho tirato fuori dalla tasca del giubbotto da moto ha piegato il labbro in un mezzo sorriso e mi ha risposto che per evitare di alzarsi così presto tanto varrebbe non andare a dormire affatto. Renè, e chi altri, se no.
- Andrò piano - mi ha poi detto questa mattina al telefono - 3'40" al massimo per non forzare, tanto è una non competitiva - Io, che ultimamente di chilometri ho preso nuovamente a macinarne ma sono sempre maledettamente inchiodato ai 5'10" l'ho insultato come giustamente si conviene e gli ho chiesto di mettermi da parte un bicchiere di ciliegie, quando arriverà, lui e quegli altri come lui del tanto è una non competitiva ma appena sentono lo sparo nelle orecchie non ce n'è per nessuno e si trasformano in belve assetate di asfalto. 
Però è vero che saremo in tantissimi. Già più di settecento, al momento della nostra iscrizione, due settimane fa, e tutto esaurito, ho saputo questo pomeriggio.
E così domattina ritrovo alle quattro e mezza in quel di bucodiculoplace e poi via. Una mezz'oretta per svegliarsi ed arrivare ed alle cinque e mezza la partenza. Maglietta rossa d'ordinanza con su scritto - 5.30 My favourite number - e pettorali n° 955 e 958. Congeleremo la tipica allegra confusione ed osserveremo un minuto di silenzio, pensando a chi sicuramente in questi giorni la voglia di correre l'ha persa, e poi via, nel fresco e nelle vie che saranno percorse solo da noi, i pazzi delle 5.30, i "descentrà", categoria alla quale sicuramente mi fregio di appartenere. A far gruppo, a rimbombare di passi cadenzati i portici, ad osservare le persiane accostate tutte in ordinate fila, a vedere i lampioni spegnersi per far posto a quel chiarore che ogni volta sorprende e ti fa pensare che non è stato poi un sacrificio, alzarsi così presto, a vivere le piazze senza il consueto caos, il traffico, il rumore, il fastidio. A vedere il sole sbucare da dietro la Collina spettinata di Superga, indorando le facciate delle case che si affacciano su via Po, facendo luccicare i binari del tram e riflettendo i primi raggi sul fiume pigro, laggiù in fondo. 
Di questa Torino, la mattina prestissimo riscopri l'eleganza innata che molto spesso non hai modo e tempo di vedere. Un'aristocratica signora, magari un pò snob, ma veramente di classe. 

E poi sarà così, fiato da dosare e gente intorno che condivide questa sana pazzia, e passi veloci sulle vie del centro e poi troppo in fretta ci sarà l'ultimo lungo rettilineo di via Garibaldi con l'arrivo sulla piazza da cui si parte ed in un attimo sarà già tutto finito. Qualche ciliegia piluccata, qualche chiacchiera veloce, sicuramente qualche risata e poi via, che si deve già tornare indietro per una doccia veloce e, alle 8.30, come nulla fosse, si deve essere puntuali in studio. Ma, di sicuro, con una ruga di sorriso in più.
E come diceva il buon Slaymer "Nullum magnum ingenium sine mixtura demientiae"

martedì 29 maggio 2012

L'aquilone

   [http://antoinezone.net/]
Ma come fate voi, hai detto. A giocare coi numeri. E' da pazzi, non c'è poesia, né emozioni né sentimento. Non è un tema, ad esempio, che l'incanto nel leggerlo ti avvolge, che ti ci perdi assaporando lentamente le parole, che le emozioni saltano fuori dal foglio e ti si piazzano davanti così, da provare a toccarle, che ne vien fuori quasi musica a volte, incastrata tra le parole.
No, non è da pazzi. Forse è solo che vediamo le cose con occhi diversi.
Io ci gioco, da sempre, invece. Non è da pazzi tenere la mente allenata e fare i conti a memoria e divertirsi addirittura con i numeri, le regole e le formule, non è da pazzi, o forse sì, ma solo un poco immaginarli, e vederli proiettati al contrario nelle notti che non ti regalano sogni ed inventarsi storie che quelle almeno puoi.
Ci sono i numeri intorno, nelle cose che vediamo e che diciamo. Cinque minuti e arrivo, e cinque minuti che sono trecento di quei secondi che a volte sembran troppi o troppo lunghi, e troppi giri di ruote della mia moto, imbrigliato in un traffico pomeridiano che sapeva di marmo.
Ci sono i numeri in ogni cosa, in quello che capita, nel ritorno periodico degli eventi, nei momenti della vita: momenti come parabole, con la loro lenta salita, l'avvicinarsi al fuoco e l'inesorabile allontanarsi. Esplosioni come iperboli, equazioni incomprensibili ed imprevedibili. 
Io inequivocabilmente tendo agli asintoti.
Numeri nel suono delle parole, nel passo cadenzato dei runner che giravano intorno, nel movimento delle tue mani a disegnare nell'aria mentre dicevi - mi hanno sempre dato e tolto, dato e tolto. Avrei voluto fermarle, quelle mani.
Dato e tolto, dato e tolto, un movimento periodico le tue mani, un'onda sinusoidale, y=Asin(2π/τ x + Ø), dove ampiezza, periodo e fase sono state le variabili che hanno reso una vita quella vita precisa. E saranno stati scrosci di pioggia, occhi scuri a scrutare il morire di giorno da dietro alle persiane socchiuse o passi di corsa sulla neve di una sera, e Dio solo sa dov'ero e se avrei voluti incrociarli allora, quei passi.
E anche un aquilone ha dalla sua matematica e numeri; è una figura geometrica armonica, un quadrilatero con un cerchio inscritto, e la distanza tra l'incrocio delle due diagonali ed il centro del cerchio è la chiave di tutto, perché è lì che sta l'equilibrio, è lì che per fargli prender vento dovrai attaccare i fili perché altrimenti l'aquilone non volerà mai. E' un gioco sottile di numeri, tra superficie portante e pressione, è un equilibrista che si esibisce sul filo sottile del vento, è la spinta, che lo porta a staccarsi da terra per inseguire rondini e nuvole. 
E anche se sempre di più mi sento arido e freddo, anche se non ho più fame di scrivere, che mi sento come congelato, ed il cuore ha spostato la sua forza nei punti vitali per difendere il resto, e scriver non è più sfacciatamente vitale e opprimente come lo era allora, ma forse ancora potrei inventarmi aquilone e provare a sentire se c'è ancora, la pressione che mi stacca da questa panchina, mi fa aprire le braccia a trascinarmi su, passando silenzioso accanto a quello scoiattolo attento ed incerto, su, tra le fronde degli alberi che mi lasciano sfilare, e su, ad osservare questo rettangolo di verde e i cani e la gente che rimpicciolisce, come le macchine pazientemente incolonnate nel traffico di marmo, e su ancora, i tetti rossi ed i comignoli e le case e queste vie tutte così maledettamente ordinate ed ancora su, oltre, a guardare questo fiume troppo placido e grigio e la collina laggiù in fondo e la Mole agghindata della sua sequenza di Fibonacci addosso che sono ancora numeri. Su, sfidando folate improvvise, a sentire il sapore di quella spinta, del vento che mi accarezza il volto e mi sostiene braccia, occhi e cuore, a capire se, scivolando qualche volta e risalendo subito dopo, io sia ancora in grado di trovarlo, quel punto di equilibro, tra le due diagonali ed il centro del cerchio.
Su, ancora oltre, ad osservare, quel filo sottile che parte da qui e descrive una curva indolente, arrivando fin giù, a quella panchina, e tu che hai ancora il polso ad indicare il movimento su e giù, dato e tolto, con un gesto che è quasi come quello che serve a far volare ancora una volta un aquilone.


[P.S. Sig. Ammaniti, la prossima volta mi avverta, per cortesia...]