giovedì 25 aprile 2019

Ancora no

Aprile 2017. 


Ne ho parlato già qui. Ogni tanto, un paio di volte all'anno, devo lavorare di dita, muscoli, gambe e scarpette su minuscoli appigli. Alle palestre di arrampicata corre l'obbligo della verifica annuale per poter essere utilizzate ed il sottoscritto ha l'onere, oltre che il privilegio, del collaudo di due di queste, collocate all'interno di altrettanti istituti scolastici torinesi.
All'inizio era facile, quando eri giovane di sguardo nascosto tra i capelli sempre troppo lunghi, quando i muscoli erano fasci guizzanti ed elastici inesauribili di energie, quando gli anni non gravavano sulle dita ammorsate sugli appigli, quando la spensieratezza unita a briciole di incoscienza tintinnavano pigre sui rinvii. 
Poi, con il passar del tempo, è passata molta dell'incoscienza. Sono cominciati gli sbuffi, i denti serrati, la fatica dolorosa, tutto questo dovuto sì all'avanzare dell'età, ma principalmente alla mancanza di abitudine ad addormentarsi su una branda da rifugio il sabato sera, con una manciata di stelle luminosissime che scintillano nel buio gelido delle montagne e ti scrutano attraverso una qualche finestrella in legno. 
E' comunque ancora dannatamente bello, a cinquanta e passa anni suonati, nonostante la fatica sia ogni anno crescente, ritrovarsi alla fine del lavoro, seduto per terra di fianco alla corda arrotolata, spossato e sporco di sudore e magnesite, a massaggiarsi le articolazioni doloranti nessuna esclusa. 
L'anno scorso mi sono trovato senza compagno a farmi sicurezza. Solitamente mi faccio accompagnare da un ragazzo di studio a cui insegno le quattro manovre fondamentali per farmi sicurezza e calarmi e poi al resto ci penso da me. Arrampico, mi metto in sicurezza una volta in cima, verifico lo stato dei punti di ancoraggio, poi mi sposto di lato, di via in via fino a scendere dall'ultima di queste, appeso, con le braccia da cui hai spremuto ogni briciolo di forza possibile. Questa volta non ho un collaboratore disponibile, ne avrei sì uno, ma pesa la metà di me e per una mera questione di fisica, il mio farmi calare vedrebbe lui salire a razzo verso l'alto ed il sottoscritto filare giù a terra con effetti infausti. 
Telefono a Renè, il quale, reduce da un ultimo intervento al tendine d'Achille non può assolutamente arrampicare, ma farmi sicurezza quello sì, senza problemi. Si regala un giorno di permesso, tanto lì dove lavora può far praticamente cosa vuole. Ed andiamo, felici e spensierati, un giorno lontano da tutti a fare un po' i matti, cosa che ci riesce ancora abbastanza benino. 

sabato 6 aprile 2019

A million dreams


Ci sono parole che mi rimangono impresse, ci sono volti che non dimentico, passassero mille anni, ci sono istanti che dal nulla ritornano a galla senza un motivo, a volte basta nell'aria un profumo che ti è stato troppo vicino o una voce che risuona dall'altro capo del telefono, per ritrovare intatte sensazioni all'apparenza dimenticate. C'è una piazza che quando le cose girano più sbagliate ritrova sempre i miei passi senza che quasi me ne accorga e mi dona sempre la stessa incredibile emozione. 

E poi ci sono musiche che mi suonano dentro, di anni fa come di ieri, che passano dagli auricolari al cuore mentre corro, o la mattina presto nei miei viaggi in auto, che si propagano nell'epidermide regalandomi brividi, e si accostano al bordo delle palpebre inumidendole e scivolano via.
Mi è rimasta addosso una "One" degli U2, millenni fa, inscalfibile, non posso non riascoltarla senza ritrovare l'atmosfera di quello studio, io giovane neolaureato di belle speranze così sfacciatamente entusiasta, Lei la chiamavo proprio One, faceva un mestiere così simile al mio, era bellissima e matta come un cavallo. Chissà dove sarà ora. Una notte di rabbia violenta come solo gli innamorati pazzi stracciati sanno provare, insieme a due miei amici (probabilmente l'alcool aveva fatto la sua parte, uno dei due si sarebbe sposato l'indomani) abbiamo spostato tutti i segnali stradali delle vie del centro della sua città fino a fare convergere tutta la circolazione nella piazza dove abitava lei, senza vie di uscita
Nel corso della vita altre, non tantissime, sono passate come l'acqua del fiume, qualcuna è caduta nel dimenticatoio, ascolto e non riesco a recuperarne il disegno nascosto che le rendeva così speciali, quasi sicuramente non sono più il me stesso di allora. Altre però sono rimaste, sintomo che quella parte di me non si è arresa. Il Canone di Pachembel ad esempio, testimone del passaggio alla mia vita adulta. Blucobalto dei Negramaro ha coinciso con le mie parole qui, un'incredibile canzone di Elisa ed una di Jovannotti sono come tatuaggi musicali che so per certo non scoloriranno.

Alcune mi affascinano senza un motivo, quel preciso connubio tra voce, note e molto spesso video è la combinazione giusta per attraversarmi senza fatica, chissà perché.

Ricordo benissimo quanto mi abbia coinvolto il tributo della nazionale di nuoto sincronizzato all'evento 1D Day, o  il groppo in gola e l'incredibile energia associata al brano di esordio dei Rockin'1000, la riuscita di un sogno di un folle visionario come Fabio Zaffagnini, riuscire a far suonare e cantare insieme 1000 persone. E visto che siamo in tema di folli visionari cosa possiamo dire del lancio della Tesla verso Marte sulle note di "Life on Mars" di Bowie.  Io l'ho trovato da brividi, brividi veri. 

Che volete, dietro la mia rude scorza da plantigrado burbero e solitario molto probabilmente si cela un mollaccione e pure di una certa età. 

In questi giorni invece ascolto questa quasi a ciclo continuo, la ritrovo molto spesso la mattina in radio, la metto al pc mentre lavoro, ogni tanto me la canticchio sottovoce mentre mi concentro su un progetto. Perché non è solo l'incredibile voce o la musica, ma è perché mi ci ritrovo, perché in queste parole ci casco dentro con tutte le le scarpe, è esattamente come sento di essere. Perché ho un milione di sogni in cui sperare che mi tengono a galla, e voglio ancora sognarli tutti, dal primo all'ultimo. Perché mi ostino, perché sono e voglio ancora sentirmi vivo. Ed i sogni reggono il "voglio" e non i "vorrei", se no che sogni sono. 
E quindi voglio scoprirli, voglio la fatica del costruirli, l'emozione del realizzarli. Voglio i fallimenti ed i successi, per esperienza so che saranno molti più i primi dei secondi, ma fa parte del gioco. Voglio avere gli occhi che riflettono un tramonto in parete, voglio correre una seconda maratona, voglio sentire il cuore accellerare i battiti senza un motivo, voglio prendere il vento giusto e l'onda migliore. Voglio passione, voglio sbagliare, voglio incoscienza e un pizzico, il giusto, di sana follia.

Alcuni mi dicono accontentati, comincia a guardare alle spalle, valuta la strada percorsa. Ad una cena di qualche giorno fa con amici, più di uno ha parlato di pensione, e quanto manchi e speriamo solo che arrivi. Io, l'unico, ho risposto che non ci penso nemmeno, non mi sento pronto. Tutti, compresa la consorte, mi hanno guardato come si guardano gli stolti, mentre le parole della canzone (They can say, they can say it all sounds crazymi ritornavano in mente.

Forse alla lunga avranno ragione loro, non so. Ma per il momento mi piace ostinarmi a non voler considerare il percorso del tempo ed a continuare a guardare ogni cosa con occhi diversi. I milioni di sogni aspettano. 

E giusto per lunedì vado ad arrampicare. In una palestra dove l'anno scorso a momenti i miei sogni stavano per interrompersi bruscamente. Ma questa è un'altra storia che racconterò, prima o poi.