venerdì 31 dicembre 2010

Alla fine


Di un anno, come dire, impegnativo. Ecco, sì, proprio impegnativo, nel bene e nel male. La foto era per Natale, lo so, ma l'ho trovata oggi sul sito http://www.moto.it/ e mi sembrava opportuno riproporla, sostituendo l'ultima parola: Wishing you a not so silent year. Che sia per voi un anno di vita, rombante e chiassoso, pieno di parole dette e scritte, di musica, di risate, di passione, grida anche ma di silenzio no.
Innanzi tutto, come si conviene tra blogger beneducati i ringraziamenti e gli auguri. Sentiti e non dovuti.

Per cui un grazie veramente col cuore, ed un abbraccio stretto ai miei sostenitori ufficiali, per le belle parole, per tutte le emozioni, i sorrisi e per tutte le "condivisioni":
A Mati, la mia prima sostenitrice, quella del "ma perchè, visto che ti piace scrivere non metti su un blog?" ed io: "Volentieri, ma cos'è un blog?": mi piacerebbe sentire che stai bene;
A Diamanterosa, la seconda, che la prima volta che l'ho letta ho pensato: ecco, questa sarà una specie di Nonna Papera che fa la calza , e mai giudizio fu più sbalgliato: per te e per quel tuo cuore così speciale sarà un anno incredibile, vedrai, altro che schifido;
Al gruppo effervescente e splendido dei runners: mjavalentina in testa ed alla sua grinta, poi the yogi e la sua simpatia, Giuseppe, Barbara (è da un pò che non scrivi, tutto bene?), Rupikaber, Simone e Anita, Oliver: buone, anzi ottime, anzi superlative corse!!
A Bruno ed alle sue parole che spesso scavano giù dove non oso guardare, un grazie veramente speciale, di testa ma soprattutto di cuore;
A Vania, alla sua effervescenza ed a tutti i suoi puntini di sospensione;
All'Alieno che surfa tra le nevi elvetiche e lo pagano pure;
A Renato Brinis ed al suo blog che ho curiosato poco;
A Sandra ed alle sue foto ed alla sua allegria;
A Morena ed alla sua splendida intensità nello scrivere;
A Giacynta, alle sue letture ed ai tutti i suoi film;
A Sonia che per la seconda volta è sparita dal web e che mi auguro stia già pensando di comprare un nuovo giubbotto da moto;
A Folada ed ai suoi occhi che guardano il lago.

Poi un saluto ed un augurio a chi leggo, a voi che siete la mia abitudine quotidiana, i miei sorsi di caffè e sorrisi della mattina presto, qui nella penombra dello studio delle rose addormentate. Alla vostra leggerezza, alla simpatia ed ai graffi sul cuore. A chi ha parole che puoi toccare con le mani, a chi balla sulle punte, a chi mi fa leggere me stesso, a chi mi fa ridere, a chi mi dà da pensare. Vi auguro, se possibile di diventare ancora più bravi.

Per l'anno prossimo i buoni proponimenti son tanti, meglio aver troppe ambizioni che nessuna.
Conto di correre, e non solo da runner.
Conto di tentare di superarmi, e non solo come runner.
Conto di osservare almeno un tramonto dalla cima di una montagna.
Conto di riprendere le matite in mano e di ultimare il ritratto di mia figlia.
Conto di essere a Parigi per aprile.
Conto di scrivere un sacco di post (e questa per voi è una minaccia, lo so).
Conto di sforzarmi di capire.
Conto di non abbassare mai lo sguardo.
Conto di dare, senza prendere in considerazione il ricevere.
Conto assolutamente di non crescere e di non mettere per niente la testa a posto.

Ed anzi, per questo, ho preso una decisione.
Se non puoi combattere il tempo puoi sempre tentare di prenderlo in giro, no? Pertanto da questa sera festeggerò i  miei compleanni al contrario.
Domani pertanto compirò quarantasei anni e, andando avanti, sempre uno in meno. Conto di abbandonare gli odiati occhiali già entro il prossimo anno. Tra cinque comincerò a stare sotto i 4.30" senza quasi fare fatica e mi ritroverò insieme a mia figlia tra diciott'anni, quando tutti e due avremo la stessa età e saremo nel pieno della forma insieme.
Poi, finalmente, decideremo da che parte andare.
Buon Anno.
Dreaming and Running

lunedì 27 dicembre 2010

Trecentoventotto

I chilometri percorsi in questi ultimi tre mesi. Certo che ho corso, cosa credevate.
Trecentoventotto ad oggi, che c'erano -6°, di fuori, e il terreno era duro asfalto ed ogni respiro era un fiato ghiacciato che entrava tagliente, nonostante il mio neckwarmer fighissimo, ed usciva in volute che sembravano fumo denso. Trecentoventottomilapassi, passo più, passo meno, mediando tra gli allunghi, quelli che tiri i denti ed i muscoli per andare oltre ed quelli più corti, delle salite, per cercar di recuperare gambe e polmoni. Trecentoventottomilarespiri, tutti d'un fiato, venticinquemila battiti del cuore circa, più veloci ed affannati i primi, molto più ragionevoli e quasi normali gli ultimi.
Un allenamento ogni tre giorni circa, lavoro permettendo. Una trentina abbondante di allenamenti pertanto, e trenta modi diversi di iniziare la corsa, trenta emozioni, sogni e pensieri, trenta nuvole da guardare o trenta gocce di pioggia da prendere, trenta sogni in cui affogare, trenta speranze, trenta incazzature da far passare, trenta favole da inventare e da raccontare sottovoce alla mia bimba, e trenta e molte più volte che la vedo scivolare sorridendo nei sogni ed ogni volta mi ci perdo che fa quasi male.
In mezzo, la mia prima gara, tre settimane fa. Io, il mio amico Renè oltre ad altri cinquecento circa, chiassosi, festosi  e sorridenti, tutti in tinta con la stessa canotta blu e la scritta 10K. Tra tutti sono spuntati gli occhi azzurri e quasi increduli di Piero, il mio fisioterapista di allora, dei tempi dell'incidente in moto, di quando ero tutt'uno con le mie stampelle che credevo non avrei abbandonato mai. Lui che mi ha aiutato a dimenticarle invece, che si è sdraiato tante volte sulla mia schiena e da quella insolita posizione si è beccato i miei insulti peggiori, che mi ha massacrato in tutte le maniere possibili ed immaginabili e che alla fine mi ha visto andar via dal suo studio senza neanche più zoppicare, lui aveva le lacrime agli occhi, e mi ha stretto con un abbraccio che era condito di gioia pura.  
10K. Alla partenza Renè mi ha chiesto se volevo che corresse con me, ma lui aveva già gli occhi della tigre anche se era una non competitiva e gli ho detto vai e corri, poi torna indietro e vieni a prendermi, così facciamo gli ultimi passi insieme.
Il freddo, la mattina presto, poi lo sparo, la partenza, il fiato basso e la voglia subito di andare, di spingere e di seguire i primi. Ed invece no, tieni il passo morbido, oggi almeno non è il caso, oggi ricominci, oggi vada come vada ma arriverai, anche se sarai l'ultimo ma arriverai, questo è garantito. E corri e osservi gli altri runner, i più giovani, gli anziani e tenaci, c'è uno anche col passeggino e chi porta a spasso il cane. Guarda, il segnale del primo chilometro sbuca d'improvviso, 4'34" sembra un tempo incredibile, considerate le premesse. E vai e segui il cordone colorato, e se ti volti indietro ne vedi almeno  altrettanti, forse ancora di più. Ti sorpassano in tanti, con il passo agile e lesto, ma non te ne curi, le unghie lasciale dentro, vai e basta, sei solo, nonostante i cinquecento colorati, dosa energie e respiro, perditi nei tuoi sogni che quello sei bravo a farlo, ed oggi puoi. Sogna, ed osserva i ghirigori del gelo, guardalo inerpicarsi sui fili d'erba, segui le correnti di freddo maligno del fiume ed il lago ghiacciato e le papere desolate, scruta il volo dei gabbiani che come te han perduto la via e sono arrivati fin qua. E tu che la via l'hai persa mille volte, che dove sei arrivato forse non lo sai neanche più, e che ancora ti perdi, felice comunque di poterlo fare, tu intanto corri, che quello hai finalmente scoperto di aver nuovamente imparato a farlo.
E nell'ultima salita, puntuale eccolo lì, Renè, il solito Renè, un pò sornione, pronto ad accompagnarmi fin quasi al traguardo, prima del quale si è staccato perchè quello devi attraversarlo da solo tu. Ed eccolo, il traguardo, quell'enorme salsiccione blu che ci passi sotto fermi il cronometro ed è già finita, e di energia ce n'era ancora, se lo sapevo potevo dosare di meno e spingere di più.
Il risultato? 222° per me, in 52'28". 19° invece Renè, poco sopra i 39', sbagliando anche percorso, ma questa, per chi lo conosce, è una cosa che non sorprende più di tanto.
E Parigi è adesso trecentoventotto volte più vicina.

giovedì 23 dicembre 2010

Gli Invincibili

   "Rendo grazie a qualunque Dio ci sia
per la mia anima invincibile
Sferzata a sangue dalla sorte
non si è piegata la mia testa
 Non importa quanto angusta sia la porta
quanto impietosa la sentenza
 Sono il padrone del mio destino
 il capitano della mia anima"

Non so a quanti sia capitato di vederla, l'altro sera. Io son rincasato tardi, come ultimamente mi capita e, dopo i consueti baciotti alla mia piccola, ne ho vista una parte sola, quando la trasmissione era oramai verso la fine. La mattina dopo, presto, mentre abbandonavo la grigiosità spruzzata di neve e tristezza infinita di bucodiculoplace, alla radio ne parlavano ancora, con una commozione ed un'ammirazione sconfinata che mi ha fatto risalire il groppo in gola della sera precedente.
Gli invincibili ci sono. Quelli che non si arrendono, che non smettono quando questo sarebbe più facile. Che osano, che ci credono, che hanno in loro stessi il giudice più severo.
Quelli che ho conosciuto quella volta avevano l'aspetto sbiadito di una coppia quasi anonima. Si davano il cambio nel cubicolo di fianco al nostro, in quei dieci giorni spaventosi passati chiusi dentro l'Ospedale dei bambini della mia città, io e la mia bimba e le nostre mani che non si sono lasciate mai ed i mille fachestiabene fachestiabene recitati in silenzio. I cubicoli erano stanze strette e lunghe, quattro metri per due, con il lettino, uno spazio per un piccolo tavolino, un televisore fissato a parete e lo sdraio per star vicino alla mia piccola. Le pareti divisorie erano vetrate, e tiravamo le tende interne per poter riposare e gestirci un minimo di privacy. Su consiglio dei medici si usciva il meno possibile per evitare di portare potenziali pericoli all'interno. I comandi manuali delle televisioni erano guasti e c'era lo stesso telecomando per il nostro televisore e per quello delle due stanze vicine, di modo che, per cambiar canale dovevamo per forza passarcelo.
Io sono un orso, oramai un poco mi conoscerete, ed in quell'occasione ero ancor più chiuso con me stesso, parlavo il minimo indispensabile con le infermiere di turno e con i vicini un buongiorno frettoloso e nient'altro, il mio mondo era tutto concentrato lì, sotto le coperte scosse da una febbre che non voleva abbassarsi, e non c'era altro, non riuscivo a vedere ed a considerare null'altro. E non mi importava confrontarmi con il dolore degli altri, avevo già il mio da amministrare, non volevo sapere le malattie, mi facevano andare in bestia le occhiate un poco timorose ed un pò compassionevoli degli altri, quelli che i loro figli erano in tre per stanza e che potevano tenere la porta della stanza aperta. La consorte, che invece ha una tara nel proprio DNA che le impedisce di farsi esclusivamente i fatti propri, dopo mezza giornata conosceva anche il soprannome del cugino di secondo grado della caposala, oltre al quadro clinico della metà dei pazienti. Pertanto l'aveva saputo subito.
Aveva saputo che la loro bambina era stata colpita in fase neonatale da una grave forma di encefalite che l'aveva ridotta a poco più di un vegetale. Avevano parlato a lungo, delle difficoltà della malattia che li obbligava periodicamente a vivere lì, in quella stanza quattro per due, isolati. Aveva saputo degli altri figli, quelli normali, delle fatiche per arrivare a fine mese con uno stipendio da operaio e dei mille sacrifici che sostenevano con una serenità sorprendente. Aveva saputo della felicità data da movimenti impercettibili, del bene puro, dell'amore sconfinato che supera d'un balzo e va oltre la malattia più lacerante.
Ed aveva saputo che la bambina non era loro, gli era stata data in affidamento perchè i veri genitori non erano stati in grado di accudirla. E poteva pertanto essergli levata in qualsiasi momento, e questa era la loro paura maggiore. 
E aveva saputo che non era la prima disabile che avevano avuto in affido. Per loro scelta, "perchè qualcuno deve occuparsene ed è una gioia immensa poterlo fare"
Tutte queste cose la consorte me le ha raccontate incapace di trattenere le lacrime.
Mi sono vergognato, allora, osservando quell'amore che andava oltre, quel coraggio che andava dove io non sarei mai riuscito ad arrivare.
Dopo dieci giorni noi siamo usciti, loro sono rimasti. Non li ho più rivisti.
Ho comprato tre telecomandi nuovi, uno per televisore ed una scatola di cioccolatini per le infermiere, che anche loro, lì dentro, hanno il loro bel grado di invincibilità.
Per cui io lo so. Gli invincibili esistono.
E non erano magari quelli che circondavano Laura&;Lory quel giorno, o non erano neanche dalle parti di Sonia mentre cadeva dal motorino e nessuno le dava una mano ma ci sono, ve lo assicuro.
Gli invincibili partono alle sei del mattino e con ostinazione portano avanti i lavori più duri senza perdere il sorriso.
Gli invincibili rispettano gli altri, a volte più di loro stessi
Gli invincibili hanno occhi trasparenti e puri.

E ci sono giorni esaltanti in cui mi sento quasi invincibile anch'io, ed In altri invece penso tutto il contrario. Ma mi affido fortemente ai primi, anche perchè la mia vita si basa sul seguente pensiero: sapete come son salito in cima al Monte Bianco?
Semplicemente un passo dopo l'altro (ed un minimo di ostinazione, ça va sans dire).

E poi gli invincibili hanno una malattia contagiosissima.
Perchè stando accanto agli invincibili, un poco meno vinti ci sentiamo anche noi.

Per cui Buon Natale a tutti, e soprattutto agli Invincibili che leggono questo blog. Perchè, oltre ad essere Invincibili, diciamolo, hanno anche un ottimo gusto :-)

E in ultimo, un bacio a Laura, che proprio mentre scrivo, adesso adesso, sta venendo al mondo. E sua madre, (una rompiscatole di primo livello ^_^), in questo splendido momento, invincibile lo è per davvero.

sabato 18 dicembre 2010

A volte non basta


Li hai visti gli occhi, l'altro giorno. 
Sì, certo, cosa credi. Tanto che ci cadevo dentro, a momenti, mentre parlavo e parlavo e poi ancora, e continuavo e ripetevo.
Quegli occhi, quei sorrisi forzati, raccontando di quanto la situazione sia critica, della situazione e dei nostri mille cazzi.
E con la mente nel frattempo ero in giro, come faccio spesso, a correre nei miei spazi, nei miei sogni e nei miei ricordi. E ci riuscivo, giuro. Nonostante ci sia chi asserisca che, in quanto rappresentante del sesso maschile, io sia dotato di numero due neuroni due, ce la facevo benissimo, invece. La mente mandava alla voce un messaggio quasi come fosse stato registrato in precedenza che parlava di riduzione del personale, esigenze di servizio e crisi di liquidità e, nel frattempo, mentre mi sentivo parlare e mi ascoltavo lontano, pensavo a tutt'altro.
Il mio socio, lui invece taceva, sfatto. Lo vedo invecchiato in questi giorni, ha perso di smalto, di grinta, balbetta lievemente, quando parla. Si guardava le mani che giocavano consumando un pezzo del fazzoletto che gli pendeva sbilenco dalla tasca. Aveva iniziato, lo fa quasi da sempre lui, ma poi non era più riuscito a continuare, lui e i suoi occhi da bracco, diventati improvvisamente rigonfi di  lacrime. E allora toccava a me.
Toccava a me riandare agli inizi e nel contempo premere inesorabilmente il pulsante collegato alla botola. Perchè non c'è altro mezzo, non c'è modo e maniera, non c'è altro da fare.
Già. Ne hai ascoltate di favole, fin quasi a raggiungerle quasi, a toccarle quasi, a vederle quasi, così vicine e reali da crederci tu stesso, mentre le raccontavi convinto, propinandole a tua volta. Balle, alla fine dei conti.
No, che non serve crederci. E' ancora peggio crederci, è da pazzi o semplicemente da stupidi, ostinarsi, correre e buttarsi poi così, ciecamente, ottusamente. Quando tutto poi si sfrange su un muro, lasciando di te, dell'entusiasmo e delle tue idee bellissime una macchia che lentamente gocciola trascinandosi a terra.
Sapete, io Amo quello che faccio qui dentro, proprio così, con la A maiuscola. E' mio, ma così mio che fa male, in giornate come questa. Fa male dire alla gente basta, che "gente" poi qui non lo è mai stato nessuno, sono persone e occhi e mani, sono cuore e risate che risuonano ancora e parole, e quante di ognuna di tutte ce le siamo scambiate. Qui ogni computer ha un nome, che è il nome di chi qui, passando, ha lasciato un pezzo di vita ed il segno, come i segni incisi con i coltelli sui tavoli di quelle vecchie birrerie che ritornando dopo anni ritrovi e riconosci al tatto con i polpastrelli. E quindi qui Giorgia è Enrico, Antonio è Giorgio, e Chiara invece è proprio Chiara, perchè è qui, insieme a noi praticamente da quanto noi. E dire basta proprio a una come lei è pesante, guardandola negli occhi. E' stato sempre meglio farle il solletico di sorpresa, facendola scattare come una molla.
E' cosi mia questa tastiera, il monitor, il disordine bellissimo,  il tavolone dei disegni, i mobili che abbiamo montato tutti insieme, le finestre ampie che danno sul giardino delle rose, le rose che sfidano l'inverno che sono le più belle, la vite avvizzita ed il pino maestoso che ripara la mia moto, fermata più dal freddo pungente di questi ultimi giorni che dall'assicurazione scaduta. E' così mio questo silenzio, adesso, con il buio d'inchiostro lì fuori. Ed è così nostro, questo spazio e tutto quello che esso contiene, fatto di troppe cose, molte delle quali non si vedono neanche ma ti riempiono l'anima. Nostro il modo e la voglia di fare bene le cose, il tempo, le idee ed il calore di un gruppo, che così doveva essere fin dall'inizio, così l'avevo pensato e voluto. Ma non è sufficiente, non è così semplice, non serve, non basta. Non basta volerle, le cose per preservarle. E quello che è peggio è che non serve difenderle ad ogni costo, contro ogni pronostico, incurante. E quando lo scopri allora non puoi far altro che guardarli dritti ancora una volta, quegli occhi e poi chiudere i tuoi e tagliare, ed operi le scelte che van fatte e dici cose che sono tagli profondi e sale sulle ferite, ma le dici lo stesso, perchè non puoi, non puoi fare di più e niente di diverso da così.
No che non basta amare, per vincere. Amare è, in fin dei conti, quasi sempre una bellissima maledizione.
Ma voi fate come volete. Io non son capace a smettere, nonostante tutto.