Non so se a voi è mai capitato, ma a me mai. Anche quella volta dell'incidente in moto, dopo cinque minuti, inca@@ato come una iena, avevo detto a quelli dell'ambulanza di spegnere subito la sirena.
Venerdì però è stato diverso. L'espressione delle infermiere, lì all'accettazione del pronto soccorso, era del tipo "questo ce lo perdiamo per strada". E la cosa, al di là del male che mi squartava in due, mi dava oltremodo fastidio. Ma andiamo con ordine.
Venerdì mattina alle 7.30 sono in studio. Blogger non funziona. Il blog sembra sparito, dietro ad un messaggio ambiguo del tipo "errore bx-9d2teg" che stamattina non mi fa entrare. Per un attimo penso a tutti i post, i commenti, le idee, spariti nel nulla senza aver mai pensato ad una copia. Il nervosismo cresce. Ho un vago malessere, che gira dentro, ma che non riesco ad identificare. Oltretutto devo lavorare un sacco. Ci sono consegne su consegne, e so che se non metterò mano al mio blog prima dell'arrivo degli altri, non avrò più tempo. Rinuncio al blog e incomincio a lavorare.
Arriva il mio socio, andiamo al bar per la consueta colazione e poi fugge verso uno dei suoi mille cantieri. Mi rimetto al lavoro, ma qualcosa incomincia a non funzionare.
Un male al petto che pian piano diventa un opprimente dolore, che mi arriva da dentro e diventa più grande, ad ondate, ancora e ancora. Insopportabile da levare il fiato. Mi spezza tanto che non riesco a stare dritto.
Ho già avuto, in passato, di questi problemi. Le prime volte mi han spaventato, poi pian piano ho imparato a sopportarli, le rare volte che capitano. Di solito succede di notte. Magari mangio male, tardi o tutte e due le cose ed è, forse, gastrite. "Per saperlo una bella gastroscopia e si capisce tutto!", mi aveva detto sorridendo un medico, e già me l'immaginavo addosso, con quell'affare che mi entrava in gola... Non sto poi così male, mi son sempre detto. Anche perchè quando passa, a parte le tre o quattro ore in bianco che ti riducono uno straccio e gli addominali che ti fan male come se fossi stato preso a cazzotti, stai di colpo, incredibilmente bene... E il dolore, si sa, si fa in fretta a dimenticarlo.
Ma ieri era diverso. Niente cene pantagrueliche, nessun orario sballato. Il giorno prima ero uscito prima dallo studio per un'oretta in piscina con mia figlia e poi a casa. E poi era il giorno dopo. Non riesco a lavorare e poi stanno arrivando gli altri. Mi rifuglio in sala riunioni ed aspetto che passi, devo solo aspettare. Di notte funziona così.
E invece non funziona. Non passa. Sembra, a volte, che si riduca, e poi, subdolo, ricompare, ancora più forte. Non riesco a nascondermi, gli altri capiscono che sto male, e dalle loro espressioni li vedo preoccupati. Si offrono di accompagnarmi al pronto soccorso, ma non voglio. Deve passare, il maledetto. E invece no. Di là pensano di prendermi in quattro, e anhe se sono un capo, darmi rispettosamente una botta in testa e portarmici svenuto.
Alle 11, vinto e sfinito capitolo e mi ci faccio portare. Alle 11.12 entro camminando, piegato come... il Gobbo di Notre Dame (e lì che è venuta l'idea... vedrete più avanti) al Pronto Soccorso.
L'espressione del personale sanitario, vedendomi, era da film. Ci mancava solo il gruppo di E.R. con le mascherine ed i camici azzurri e le siringhe che spruzzano verso l'alto, che mi prendevano al volo e mi mettevano su una barella ed eravamo al completo. Non un attimo di attesa, immediati, precisi e veloci, mentre la prima diagnosi che si sussurravano a vicenda era "cuore".
"Ma che cuore e cuore, deficienti!!" avrei voluto dire, ma il male mi impedisce anche di incacchiarmi. Riesco solo a sussurrare che non è il cuore, che quello, vivaddio è a posto. E' gastrite, state tranquilli, ma non li convinco. Solo dopo avermi misurato battiti e pressione da tutte e due le braccia, finalmente si rilassano. Mi portano comunque in visita su una barella, mi slacciano le mie scarpe da running e mi levano maglia e camicia. Incominciano a farmi un sacco di domande e nel frattempo mi prelevano il sangue, mi attaccano un sacco di aggeggi blu appiccicosi su tutto il corpo. Sono in cinque, tre infermieri e due dottoresse, a darsi da fare intorno a me. Il male è al massimo, non riesco neanche a vederli, ho il respiro affrettato. La dottoressa mi chiede in una scala da uno a dieci quale è il livello di dolore che percepisco e le rispondo "dodici". Poi si informa sulle mie abitudini, su quanto peso e se ho subito cali di peso. Mi soffermo a fare due conti, e scopro che in due anni ho perso circa 25 chili. Non ci avevo pensato e mi sorprendo io stesso. Spiego che corro e mi fa sorridere il commento dei due infermieri maschi, che guardandomi mi dicono che si vede che fa bene a correre, e che dovrebbero cominciare anche loro. Poi mi chiedono se avevo già avuto episodi del genere e come mi ero curato. Nel momento in cui spiego che di solito uso una tisana di alloro la notte e al momento sto prendendo il miele di Manuka, tutti e due dal gusto decisamente schifoso, mi sembra di essere catapultato sul palcoscenico di Zelig. Incominciano a ridere come matti. Poi chiedo se hanno già cominciato a darmi qualcosa. "Non ancora", rispondono, ma io sento che il male, serpeggiando silenziosamente, se ne sta andando. Mi fanno una flebo e poi in radiologia, per una bella RX al torace.
E lì l'attesa, lunga, troppo. Con i due miei che mi han portato che non hanno più lo sguardo preoccupato di prima. E andate via, che abbiamo un sacco di lavoro in studio, e se non finiamo dovremo lavorare anche la domenica. Si convincono e se ne vanno. Il dolore ormai mi ha definivamente abbandonato, sto bene. Ma quello che consegna le radiografie intanto porta fuori quelle di tutti e la mia no. E allora pensi. Pensi che son due anni che ti dicono di far qualcosa, ma che tu aspetti sempre all'ultimo, perchè tanto ti senti invincibile, ma quando è tardi è tardi. Pensi a Syssa ed al suo ciccio pasticcio, come lo ha chiamato lei nel suo blog. Pensi a quanto sei stupido, che gastroscopie ne fanno a migliaia tutti i giorni e che stai pendendo un sacco di soldi per curarti il tendine ed è da irresponsabili non far niente per quello che è importante veramente. Che hai una figlia, ed hai delle responsabilità, che non puoi continuare a far finta di niente sulle cose che non vuoi affrontare.
L'uomo delle radiografie esce e mi porge una busta arancione. Dentro, il referto: "non si evidenziano segni di...." il resto non lo leggo, tiro un fiato. Anche per questa volta, camminando sul filo, sono rimasto in equilibrio.
Mi riportano indietro e mi parcheggiano in una sala d'attesa. Oltre a me, quasi tutti gli altri sono molto anziani, un lumicino di vita e di forze steso su quei quattro lettini. Ognuno riceve un briciolo di umanità e di dolcezza da quei quattro infermieri, che fanno un mestiere che io mai avrei il coraggio di fare.
L'attesa è lunga e io elaboro, penso rimugino e attendo. Poi mi chiamano e mi dicono di rivestirmi, che posso andar via. In un attimo le mie scarpe sono di nuovo al loro posto.
La dottoressa però ha l'aria preoccupata e mi dice che non vuole farmi la paternale, ma che è indispensabile che faccia quell'esame, che questa volta è passata ma che non è normale e che la prossima volta potrebbe essere molto peggio. Sorrido, la rassicuro e prometto, farò il bravo, giurin giuretto. Non mi sembra convinta, e forse neanch'io. Vedremo. Ma adesso è importante uscire di qui, respirare di nuovo l'aria che non sa più di disinfettante e camminare. Contare solo sulle mie gambe e le mie scarpe da running. E con quelle, con la busta arancione in mano, mi allontano. mando un SMS a chi mi doveva venire a prendere, Grazie ma ho voglia di camminare da solo per un pò, di metabolizzare. E a piedi, con un sole quasi primaverile che mi scalda attraverso Torino, tranquillo, dando il tempo al tempo e elaborando nuove storie da scrivere, una nel tempo da solo in sala d'attesa di è concretizzata è già bell'e pronta, una piccola sorpresa per chi se lo merita, e aspetta solo che la metta giù. Tanto, adesso, so che ho tempo.
Mi riportano indietro e mi parcheggiano in una sala d'attesa. Oltre a me, quasi tutti gli altri sono molto anziani, un lumicino di vita e di forze steso su quei quattro lettini. Ognuno riceve un briciolo di umanità e di dolcezza da quei quattro infermieri, che fanno un mestiere che io mai avrei il coraggio di fare.
L'attesa è lunga e io elaboro, penso rimugino e attendo. Poi mi chiamano e mi dicono di rivestirmi, che posso andar via. In un attimo le mie scarpe sono di nuovo al loro posto.
La dottoressa però ha l'aria preoccupata e mi dice che non vuole farmi la paternale, ma che è indispensabile che faccia quell'esame, che questa volta è passata ma che non è normale e che la prossima volta potrebbe essere molto peggio. Sorrido, la rassicuro e prometto, farò il bravo, giurin giuretto. Non mi sembra convinta, e forse neanch'io. Vedremo. Ma adesso è importante uscire di qui, respirare di nuovo l'aria che non sa più di disinfettante e camminare. Contare solo sulle mie gambe e le mie scarpe da running. E con quelle, con la busta arancione in mano, mi allontano. mando un SMS a chi mi doveva venire a prendere, Grazie ma ho voglia di camminare da solo per un pò, di metabolizzare. E a piedi, con un sole quasi primaverile che mi scalda attraverso Torino, tranquillo, dando il tempo al tempo e elaborando nuove storie da scrivere, una nel tempo da solo in sala d'attesa di è concretizzata è già bell'e pronta, una piccola sorpresa per chi se lo merita, e aspetta solo che la metta giù. Tanto, adesso, so che ho tempo.
l'esame lo fai eccome... tu sei il capo ma noi siamo in tanti... e sai che ti vogliamo bene, ma il colpo in testa non te lo leva nessuno.
RispondiElimina... camminare serve a rallentare e aiuta a dare la giusta velocità alle kose e ai pensieri ...
RispondiEliminaPura Vida
p.s.: anke a me devo portarmi di peso al ProntoSoccorso ..solitamente!!! :P
Meno male che l'ho letto due anni dopo, non avrei retto l'ansia!
RispondiEliminaProseguo la scalata verso il primo post, chi la dura la vince ;)
@Ify: secondo me, alla fine ti viene l'allergia da indigestione al mio blog.
RispondiElimina