sabato 18 giugno 2016

Una volta avevo un blog

Uno di quei posti dove amavo nascondermi, il mio rifugio segreto, l'armadio per Narnia, che ci entri e per un po', un minuto, un mese o un anno sei sparito, chissà - pensavo da piccolo - se si accorgono che non ci sono più, se mi stanno cercando, se sono disperati meglio, così imparano.

Una volta avevo un blog che era una casa con il giardino finestre grandissime e la porta sempre aperta, e dentro c'era sempre una brezza leggera che anche se qualche volta si trasformava in bufera improvvisa che fa mulinare fogli sparsi e foglie non mi spingeva mai a sprangare tutto ed a chiudermi dentro.

In questa casa i miei pensieri erano i quadri alle pareti, i bicchieri in fila nei ripiani. Erano i cuscini dei divani su cui accomodarsi meglio. Non c'era televisione, ma musica ed immagini non mancavano mai.
C'erano dei fogli impilati qua è là, alcuni legati con lo spago, altri invece già chiusi in buste di carta marrone con la ceralacca ed altri sparsi un po' qua un po' là, erano le mie storie da scrivere, quelle già scritte e quelle magari già sognate, solo da scoprire.

C'erano i profumi che sapevano di parole, e le parole sapevano di emozioni e le emozioni sapevano di persone, occhi, mani e sorrisi.

Quella casa, ha scritto qualcuno tempo fa, ha spesse lenzuola a coprire il divano e la polvere sul piano in legno del tavolo grande. Le foglie sono entrate e si sono seccate, accumulandosi negli angoli, in mucchietti disordinati.

La cucina odora di chiuso, le pareti avrebbero bisogno di una rinfrescata, bisognerebbe entrare decisi e, da buona massaia, tirarsi su le maniche e darsi da fare. 
Mi hanno allontanato da qui, mi han detto vai di là che hai cose più urgenti da fare, forza, muoviti, vedrai che è un attimo e poi ci torni. Mi hanno allontanato dai sogni inseguiti e dai sorrisi inventati, dalle mie mille storie senza né capo né coda. Ho chiuso gli occhi e sono ritornato passando dal solito armadio, non si era accorto nessuno della mia assenza, come accade quasi sempre. Mi sono girato per tornare subito indietro, ma ho solo trovato uno stupido, semplice armadio.
Mi sono ributtato nella mischia, ho corso, lottato, ho fatto e disfatto, ho urlato e lavorato, mi sono smarrito di me, ho definito inutili i miei sogni e dimenticandomi di loro e del passaggio nell'armadio. 
Fino ad ora.
Bastava aprire la porta nel modo giusto, con quel misto di stupore e di attesa.

Ed eccola lì, la strada, come sempre, il vialetto con la palizzata e la casa ad aspettarmi, le foglie delle betulle che si muovono sorprese per la mia presenza inattesa.
"Sei tornato" ho sentito una voce che sussurrava.

In quella casa sono rientrato oggi, la serratura nella porta ha faticato un po', le cerniere hanno protestato per la forzata inattività.

Ho respirato il silenzio, ho sentito i miei passi rimbombare. Mi sono sentito un estraneo, fuori luogo, stranito. Una voce mi diceva che questa non era più casa mia.
Ho fatto finta di non averla sentita, quella voce. Ho dato due rapidi colpi di strofinaccio e mi sono seduto sulla poltrona, quella di cuoio spesso. Il suo ruvido abbraccio mi ha ricordato che l'avevo messa apposta lì, vicino alla finestra, per vedere chi si affacciava sul vialetto di ingresso. 
Alla mia destra il tavolino rotondo è ancora lì, e lì sono i fogli impilati, quelli chiusi con lo spago e quelli nella busta sigillata con la ceralacca, il sigillo riverso sul fianco, quello con l'uomo vitruviano, pigramente ha ruotato di poco. Nel cassettino due stilografiche, una usa e getta che non si consuma mai, una che ricorda l'infinito ed una biro rossa.
Ho preso l'ultimo plico, ne ho sciolto i legacci, ho preso la penna che non si consuma mai ed ho ripreso dove avevo lasciato.....