sabato 31 dicembre 2011

Lascio passare il tempo

Che altro tempo verrà, ci sarà, mi troverà.
Lascio passare il tempo assieme alle folate di vento gelido di questa mattina, che mi hanno soffiato un mal di testa subdolo che, oggi, mi ha fatto desistere dai miei consueti chilometri al parco.
Domando perdono, ieri ho guardato la posta, quella di qui di voi, dei vostri 38 commenti a cui non ho mai dato risposta, non è scortesia, credetemi, non è da me, ma il più delle volte è solo fatica. Ho scritto veramente poco quest'anno, una ventina di post, meno della metà degli altri anni.
Rileggo i miei buoni propositi di un anno fa, che li avevo espressi qui, non è che sia riuscito a far tutto quello che avevo in animo di fare, ma i desideri non hanno date di scadenza come il cartone del latte e pertanto pazienza, vorrà dire che me li terrò buoni ancora per un pò.
Lascio passare quest'anno senza rimpianti, lo abbandono a galleggiare leggero alla sua corrente come una barchetta di carta all'acqua di un fiume placido, conosco persone che non ricordano più come si piega il foglio per fare una barchetta di carta. Io sì.
Lascio passare il tempo che è stato troppo spesso fatica, rabbia, insoddisfazione ed esasperazione, ma rassegnazione mai.
Lascio passare i pensieri persi e quelli e perduti, gli sguardi che, tante volte, sono usciti da queste finestre di luce per sparpagliarsi fuori, oltre il giardino delle rose,  liberi di depositarsi dove volevano andare.
Lascio passare i momenti più bui, quelli in cui, tra le mani, non ti rimangono altro che le stesse tue mani da stringere. Ma scopri poi che non ti serve tanto di più.
Tengo solo i cristalli più puri, le parole preziose. Li tengo e li appendo fuori alla finestra e da qui li osservo dondolare, incuranti di questo freddo vento. 
Tengo  il tempo pieno di sorrisi, delle voci, delle mani, dei profumi, dei giri insieme alla mia moto, del Le ho mai raccontato del vento del nord. Tengo il tempo di tutti gli abbracci di mia figlia, che ognuno di loro è un incantesimo speciale e bellissimo, li avvolgo in un nastro rosso bello stretto, con un grande fiocco.
Tengo il tempo passato a realizzare i progetti più belli, e l'immensa soddisfazione di qualche  lavoro finito e fatto bene, con i miei, qui, il complimento di quel capomastro ("Stai tu quello delle luci? Sì stato bravo, l'hai trasformato, 'sto posto") e gli occhi gonfi di chi mi ha detto no, io non voglio ancora andarmene da qui.
Tengo i miei capelli arruffati, più lunghi ancora ed i miei cinquecento e passa chilometri fatti correndo, le mie scarpe un'altra volta da buttare. Il tempo fermato dal mio cronometro ed i traguardi sotto cui sono passato, so che posso cercarne ancora degli altri.
Tengo i momenti in cui mi rigiro tra le mani un neckwarmer che non ho cuore di farmi lavare ed una penna che scrive benissimo.
Tengo il tempo osservando il tavolo riunioni imbandito per il pranzo di Natale, fatto qui tra di noi, dove quasi tutti han dato qualcosa, ed è stato caldo e speciale. E tengo la consueta bottiglia di champagne, quest'anno una  scelta particolare, di una piccola, ma grandissima, cave.
Tengo il tempo di uno sguardo, quello sguardo che comunque solo io so.
Tengo il tempo in cui ho osservato il mare fin quasi a farmi bruciare gli occhi.
Tengo il tempo delle lacrime e delle risate e dell'ostinazione che vince.
Tengo il tempo di un viaggio in macchina con una mucca di peluche come passeggero, che a momenti ci dovevo metter la cintura, per portarmela a casa. Quello passato a carezzare un portapenne argentato fatto con il cartone della carta igienica ed una clips gigante con un ippopotamo, un diamante purissssimo in un tappo di plastica ed una pietra blu, una bussola ad indicarmi verso quale direzione guardare ed una biro, che mi ricorda che sono comunque un orso.
Tengo il tempo immaginario di un bellissimo viaggio a Disneyworld, e il sorriso di un amico che sboccia adesso, proprio adesso mentre legge, dov'è la distinzione tra il virtuale ed il reale, dimmi.
E tengo il tempo che unisco con voi, tutti voi che ogni tanto, passate ancora di qui. E se allora guardo bene, scopro che il tempo che lascio andar via senza rimpianti, quello oscuro e opprimente, quello è stato, in fondo, pochissimo. 

Auguri per altro buon tempo.

giovedì 15 dicembre 2011

Leggero

Eh sì, che ci manco da parecchio, da qui, da questi posti, da chi leggo e da chi mi legge, da queste silenziose stanze bianche con muri tappezzati di parole leggere. E sì, che sono stanco, spento, staccato o, meglio, è così che mi sento quando i sogni si spengono, le cose cambiano e non posso far niente per evitarlo, o forse solamente non sono in grado di farlo. E sì che tutto è difficile. Difficile, complicato, rugginoso, a volte cattivo. Triste, ogni tanto, come in giorni come questi, che in quella casa, giù a bucodiculoplace, la mia ciccia passerà un Natale con una nonna in meno, e comincerà ad essere inesorabilmente sempre un pò meno Natale, quel Natale con la N maiuscola e gli sberluccichii e la neve e la letterina, meno magia e niente neve quest'anno, io ai miei compagni di classe gli dico chenoncicredomica, a Babbo Natale, che sennò quelli mi pigliano in giro mi ha detto ieri con gli occhi che supplicano conferme. Povera piccola, il mio donnino di undici anni in un corpicino che è diventato di colpo grande ed ingombrante per la sua età, lei che guarda sua mamma che piange mentre l'abbraccia e che capisce e pensa le sue stesse cose, lei e le sue paure e le sue insicurezze ed i suoi brufoli in fronte che vuol dire che è cambiata e non ci si può mica far niente e che lo so e lo vedo, a volte vorrebbe tornare indietro e starmi raggomitolata in una mano ed addormentarsi lì come faceva fino a poco tempo fa con quelle labbra dischiuse in un sorriso di chi si sente amato e non desidera altro, che la mangeresti piano di baci soffici e lievi, così, per non svegliarla, ed adesso sembra che non possa più, che non si possa far i matti a saltare le pozzanghere a piedi uniti, che non sia più possibile farci la doccia insieme, che non sta bene, non si può, non si deve. Povera piccola, lei ed il passaggio rude alla prima media, e la sequela di voti che sembrano le medie stagionali di San Pietroburgo in inverno. Ma poi, anche se ogni tanto devo fare il padre severo e lanciare qualche urlo ogni tanto cosa che ODIO, siamo sempre lì, pronti a passarci un pomeriggio insieme a entrare in tutti i negozi del centro, a mangiare schifezze e toccare tutte le palline in vendita di tutti gli alberi di natale per cercarne una che sia quella, quella dell'anno, solo per noi.
Corro, sì, per fortuna, almeno quello, sono ancora una volta volta passato sotto un gonfiabile blu contro un cielo primaverile di altro traguardo, 5.05 di media e Renè al mio fianco ad incitarmi, senza infamia e senza lode ma ci sono, ritornare a muover le gambe è ancora una volta maledettamente più difficile ma si fa, non si pensa e si va, non si ascolta il battito del cuore e si guarda lontano. Ma quel cielo sereno più dei miei pensieri era lì ad aspettarmi come sempre, con lo speaker che scandiva il mio numero, 1414, e rallentare il passo e spegnere il cronometro è stato ancora una volta semplice e bello.
"Smettere di  scrivere è come prendere un vizio", dice Lei, che è brava a scrivere parole che graffiano anche quando bene non sta, come adesso. Non è vero, sai. Il vizio è di voler vivere. Smettere di scrivere è facile, perchè a volte è meglio proteggersi un poco, è meglio fermarsi per impedirsi di capire come stai, io benegrazieetu?, ma io no che non sto bene, ma a buttare giù tutto, a lasciar andare le dita leggere forse hai paura di non riuscire a fermarti e di farle andare fino a prosciugarti e rimanere vuoto dentro. Ed allora ti fermi e fai altro, ti fermi ed il tempo passa comunque, ti fermi e non pensi, non dici, non fai. Lasci andare. Iobenegrazieetu.

Ma adesso lasciatemi perdere. Perdere in queste note che da due giorni girano senza sosta nelle mie orecchie mentre corro, in questa leggera armonia di suoni e magia, in questa ballata che sa di un leggera malinconia al fondo di un sorriso, così, poco poco, leggero leggero.

Addio, Enza.