martedì 29 settembre 2009

Stamattina: Ecografia



L'esito parla chiaro: "lesione parcellare del III medio del tendine di Achille sx in quadro di severa tendinosi". In pratica... è un casino e neanche tanto piccolo, se penso che l'ecografo, mentre uscivo, mi ha lanciato un "in bocca al lupo" neanche tanto convinto.
E se poi penso a quelli che ho visto l'altro ieri http://nuke.elbaman.it/ ed a quello che può fare la determinazione, accomunata ad un pizzico di pazzia non posso far altro che rodermi. Determinazione penso di averne, pazzia forse a pacchi ma oggi non basta. Va bè, comunque dentro di me lo sapevo e la faccenda non mi ha preso poi così tanto alla sprovvista. Adesso devo aspettare il 5 Ottobre (visita specialistica) e poi non posso far altro che ricominciare... ancora un'altra volta.
Appena ho un paio di minuti metto giù un paio di ..... centinaia di righe sui due giorni passati nella splendida e verdissima Isola d'Elba.
Alla prossima

martedì 22 settembre 2009

Stupidate

[Nota introduttiva: probabilmente l'estrema negatività degli eventi avversi che mi son capitati ultimamente ha portato una serena consapevolezza nei confronti di altre cose, sicuramente più importanti. Ho smesso di piangermi addosso, e mi sento più forte almeno per oggi. A giorni so che riprenderò a correre e non mi importa di quanto abbia perso, so che resto sempre in corsa. La moto la riparerò appena potrò mettere da parte due soldi, ma intanto sono riuscito a usarla lo stesso, anche se è tutta uno scossone.
E riattraversare questa mattina la fredda bruma mattutina, con quella gialla palla di fuoco fissa davanti agli occhi che piano si alza sulle nuvole basse, con il profondo brontolio della moto  che riempie le orecchie mi ha fatto sentir di nuovo pronto a combattere. Per tutte le altre cose.... una alla volta.
Di conseguenza, in pratica, ho solo bisogno di essere molto meno profondo e, semplicemente, di "sparar minchiate". Ogni tanto aiuta. Scusate, per oggi.]
D&R



Se dovessi disegnare una curva che rappresenti tutto ciò che ho scritto a causa di quanto le mie emozioni scatenavano, se dovessi mettere in ascissa la tipologia e l'intensità delle emozioni (verso sinistra negative e verso destra positive) ed in ordinata la quantità di "roba" scritta, molto probabilmente otterrei una curva "gaussiana", il cui culmine sarebbe spostato un pò verso sinistra.... Ehi, vi sarete mica addormentati? Si, lo so sono ingegnere. Ma uno di quelli complicati, che è peggio. Cercate di seguire il filo logico, che io l'ho già perso.
Ad essere onesto più che una curva dovrei avere una superficie bidimensionale simile ad una sella, perchè nell'altra dimensione metterei il "quando", cioè il momento in cui ho scritto tutto quello che mi è passato in mente, scoprendo che molto si scrive "prima", molto "dopo" e quasi niente "durante". Troppo complicato? Mi spiego meglio con un esempio.
Le sei stato dietro per anni. Ti ha tolto il fiato ed il sonno. Le hai provate tutte ma lei non si è accorta di quanto tu sia unico e meraviglioso. Lei, l'unica donna che esiste sulla faccia della terra, quella che hai pateticamente idealizzato fino a pensare che rappresenta la perfezione assoluta, lei ('sta zoccola, fine dell'idealizzazione) ha preferito uno che a te, magari sembra meno intelligente di un gorilla idrocefalo ma innanzitutto ha: due spalle così, una macchina tamarrissima che però ha pagato in contanti ed un portafoglio gonfio quanto i suoi bicipiti. E cosa fai dopo l'oltraggio? O te ne sbatti, decidi che, tanto, ce ne sono a milioni, che la vita è troppo breve per correre dietro a tutte.... OK eliminiamo la fantascienza: O cominci a scassare i quattroquarti ad ogni amico finchè non diventa un tuo ex amico, ti senti uno straccio, dimentichi di mangiare ed in compenso bevi come una spugna, finchè riesci a rimorchiarne un'altra (che o lavora a percentuale alla cantine riunite e con te almeno si fa i soldi o agisce esclusivamente per pura compassione) o, come unica alternativa, ti metti a scrivere, scrivendo un fiume di cose e, diciamolo pure, una discreta marea di cazzate, roba che se le legge Masini si gratta vigorosamente i coglioni. Spesso riesci a fare le due cose contemporaneamente, e da ubriaco devo dire di aver scritto tanto, ma di aver anche commesso molti errori di ortografia.
Beh, riprendendo il discorso della curva, devo dire che in casi come questo (i negativi intendo) si scrive molto e lo si fa nel dopo (dopo la disfatta intendo). E queste sono le lagne forse peggiori. Mentre quando..ottieni ciò che volevi (:-)))))) scrivi molto in quei momenti di attesa di quelle mille conferme, quando sorridi anche al portiere la mattina e ci manca poco che senti gli ucellini fischiettare sul davanzale tipo Biancaneve; insomma prima che te la dia (pardon, scusate la caduta di stile) mentre, ineluttabile, subito dopo interviene la sazietà egoistica della conquista e... di lì in poi tutto comincia lentamente ed inevitabilmente a deteriorarsi, compresa l'urgenza di prendere la stilografica del momento ed i tuoi fogli e riscoprendo invece, per una mera questione di sopravvivenza, le serate a base di birra con gli amici più scapestrati, finchè la di lei di turno ti manda a raccogliere ortiche e ricominci tutto daccapo.
Queste pertanto sono le mie riflessioni su quanto si scrive "prima" e quanto "dopo".
E sul perchè non si scrive mai niente "durante"... lascio la risposta alla vostra fervida immaginazione :-))



[Physicians believe that the equations approximate the real world. Mathematicians believe that the real world approximates the equations. Engineers are not able to connect the two things.]

venerdì 18 settembre 2009

Ma come si fa


Ma come si fa a cambiare così.
a diventare diversi, aridi, soprattutto dentro
a dare peso a cose
che ieri un peso non l'avevano affatto;
a contare i soldi, con lunghe dita adunche
e la paura di riceverne di meno.
Un tempo eravamo fratelli e giocavamo insieme,
con la certezza che
questo sarebbe durato per sempre.
Io sono rimasto puro e bambino
fiero e felice di esserlo.
Tenete pure tutto, se volete
a me non interessa più.
Mi accontento di due aeroplani di carta
per poter giocare ancora.
E' più importante quello che ho perso.
[D&R, un momento proprio no, oggi]

mercoledì 16 settembre 2009

Sarà la pioggia

Sarà il tempo, con questo freddo umido, e le nuvole scure e la pioggia che subdolamente han decretato la fine dell'estate, lasciandomi indolente, con addosso quella voglia pigra e grigia di chiudere gli occhi ed aspettare che qualcosa cambi. Sicuramente in meglio, perchè in peggio non è affatto facile.
Sarà che i lavori, con tutte le loro grane hannno ripreso a ritmo troppo pieno per me, senza lasciarmi lo spazio vitale, quello dedicato solo a me ed ai miei pensieri. Grigi come le nuvole.
Sarà che mi muovo in auto, lento ed incolonnato, perchè piove e anche la moto ha qualche problema, spero non serio ma non posso usarla. Si vede che sente il tempo, proprio come il sottoscritto. Ed aggiustarla costa.

Sarà che son fermo di nuovo e lo sono da quasi una settimana, con un altro tendine stanco che viene inopportunamente a rompermi le uova nel paniere. Zoppico, sotto l'acqua. Ed il non poter correre, ed il non poter scrivere ed il non andare in moto ed il non.. troppe cose che non posso fare.
Sarà che l'altro ieri, in una delle solite litigate furiose in auto, e sono troppe oramai, ho fatto anche piangere mia figlia. E questo pesa di più di tutto.
Sarà che oggi sono andato a votare all'Ordine ed ho rivisto il mio relatore della tesi e son tornato indietro in un balzo di vent'anni, a quegli anni in cui anche il sole scaldava di più, quando avevo molte più speranze e molti più sorrisi di quanti ne abbia adesso. E quella F in più in quel nome che, allora, ha segnato tutto (mi capisco da solo).
Sarà che sempre lì ho incontrato il mio ex socio nonchè amico, che insieme a me, troppi anni fa aveva impiegato tempo ed energie per creare il nostro studio che oggi per sua scelta non è più il suo, ed in quella mezz'ora ci siamo ritrovati, rimpianto dopo rimpianto, almeno per me. E ho ricordato perchè allora avevo deciso di scommettere sul mio futuro insieme a lui. E oggi, direi che questo mi manca parecchio.
Sarà che ieri sera è morto Michael Scotfield (e chi non segue Prison Break non può capire) e la serie è definitivamente finita. Direi, ovviamente, non benissimo.
Ma rimuginando e rodendomi un pò l'anima, raggomitolato su me stesso, osservando fuori il pino appesantito da tutta quest'acqua, mi capita di chiedermi come sarebbe andata se fosse stato tutto diverso, se avessi preso tutta quella serie diversa di percorsi, che oggi ho nuovamente incontrato. E il pensarci su non risolleva certo il morale.
Boh, forse sarebbe cambiato solamente tutto. Dire come, può solo contribuire a star con su il muso addosso, senza neanche aver voglia di scivere.

Sarà solo la pioggia, forse.

venerdì 11 settembre 2009

Un treno carico di....


Sto tornando leeeentamente verso casa.
Non quella in cui abito insieme alla mia famiglia, nel comune di Bucodiculoplace, come lo definisco spesso facendo incacchiare chi, chissà perchè, riesce addirittura a trovarcisi bene, prima tra questi, mia moglie; non sto parlando della casa che sarà nostra tra soli quattordici anni e 167 rate ancora di un mutuo al limite dell'improponibile. Mi riferisco a quella che è sempre stata la mia casa "vera", nel senso più intimo del termine, il nostro solido rifugio, che contiene intatte tutte le nostre grida gioiose di bambini, che ha assorbito il tempo che è passato, che ha vissuto insieme a noi, che ci ha visti nascere, crescere ed anche lasciarla per sempre. Ha partecipato ai momenti speciali ed ai nostri dolori, caricandosene spesso il peso, un pò come il negozio di giocattoli di Mr. Magorium. E' magica? In un certo senso sì. Non è solo mattoni è cemento,è immensamente di più. Penso che dei miei quaranta e passa compleanni, in considerazione della mia personalissima data di nascita (1° gennaio), oltre il 90% sono sicuro di averli festeggiati tra quelle mura, durante le vacanze di natale.
Il mio più vecchio ricordo che posseggo è lì: siamo noi bambini che piangiamo nella vecchia cucina ancora con la stufa di legno ed i vetri fissati con il mastice (che grattavamo con le unghie) alle finestre di vecchio legno. Piangiamo perchè il veterinario era venuto per fare l'ultima iniezione al nostro beneamato cagnone, un pastore tedesco ormai troppo vecchio e malato. Non possiedo più un solo ricordo insieme a quel cane, ad eccezione di quel momento, con tutte le lacrime che non volevano saperne di smettere.
Ed in quella che adesso è la nostra sala è nata mia madre, e poi c'è il nostro giardino dove ogni pietra, ogni fiore ed ogni albero ha una sua personalissima storia insieme a noi.
Insomma casa.
E ci sto andando, nell'ora di pranzo, in treno, che non mi capitava più di prendere da chissà quanti anni. Sto facendo una veloce parentesi nella mia vita che è ritornata lavorativa al 100% in un amen dopo la pigra parentesi di agosto, per andare a riprendermi la moto, lasciata su ad annoiarsi da quando siamo tornati dalle nostre ferie troppo brevi.
Salto l'allenamento quotidiano, e per qualche giorno non se ne parla di nuovo. Mi son rotto un'altra volta. Non proprio rotto, intendiamoci, semplicemente un pò più che acciaccato. Questa volta è toccata al tendine del tallone della gamba sana, mentre stavo forzando troppo. E sì che mi ha avvertito che stavo esagerando, ma io niente. Non l'ho ascoltato ed adesso zoppico di nuovo, trascinando pietosamente la gamba sinistra. E sì che stavo andando proprio bene, con la voglia di riprendere vecchi ritmi quasi perduti e dimenticati e, sull'onda dell'entusiasmo, ho esagerato. L'allenamento tra i miei monti mi ha giovato, eccome se lo ha fatto, e mi ha portato finalmente a vedere che potevo di nuovo correre sotto i 5 al km. E così l'altro giorno, 4.26" al primo, 4.20" al secondo. Al termine del 3° kilometro avevo già più di un minuto buono, da giocarmi correndo al risparmio fino alla fine. Ma non ho rallentato e poi, chi troppo vuole... tra il 4° e il 5° km la ben nota stilettata mi faceva capire che avevo di nuovo esagerato. E se mi fossi fermato subito magari oggi non sarei quì a lamentarmi, quardando le fronde degli alberi del parco che scivolano frettolosamente da dietro il finestrino metre il treno, si sposta rapido fuori dalla città. Fa caldo, su questo regionale che, stazione dopo stazione ci impiegherà almeno un'ora e mezza a portarmi su.
Pazienza, ne approfitto per scrivere, su carta, come facevo una volta. La tastiera del computer la userò poi per riportare sul post quello che varrà la pena di metterci, o magari niente. Lo chiamerò "un vagone di pensieri". O no?
Pensieri sul numero di visite del mio sito, che è passato (e secondo me per un mero errore di qualche software) da 700 ad 11.000 visite (L'altro giorno un paio di lettori erano segnalati... in Canada)!!! Riflessioni del perchè così tanta gente ha voglia o necessità di scrivere, su quanto e quanto meglio di me (secondo il sottoscritto) sanno scrivere gli altri, che hanno dei blog con post che ti scavano e ti lasciano vuoto dentro, da tanto belli che sono. C'è ad esempio simpatia ed umorismo in quello di Simone Navarra, la delicata leggerezza ogni tanto velata di malinconia di Fragole Infinite, in cui alcuni dei mille post (ancora auguri ed a proposito: grazie alla mia prima sostenitrice ufficiale!) hanno il profumo di biscotti appena sfornati; le emozioni che diventano fiumi in piena dai blog di Barbara Garlaschelli; ascolti la bravura e la simpatia in quello di Laura&;Lory, che idealmente ringrazio perchè tutto è nato da lì, da un casuale incontro tra un clic del mouse ed un link al loro sito. E poi gli altri che seguo, pubblicamente e non, e da questi, verso altri ed altri ancora, come mille radici di mille alberi che si intrecciano tra di loro, ritrovandosi in mille vite sempre diverse, ma in qualche misura così vicino alla tua, ascoltando spesso la delicata musica delle parole che danzano sul cuore.
 A proposito di cuore: sentite questa:
Il mio cuore

Potrei gettarlo tra le pietre incatramate
che bloccano la rotaia.
Potrei affogarlo in un bicchiere di gazzosa,
o spappolarlo contro
una giornata tersa.

Purché si muova purché
torni a mostrare il suo essere rosso
per elezione.
E la smetta di mandare sorrisi
cortesemente a chi siede di fronte
(Katia Sebastiani)
Trovata sul blog di cenere di rose (http://ceneredirose.splinder.com/), come può non investirti e lasciarti senza fiato, con la voglia di prendere tutto quello che ho messo giù fino ad adesso su carta e su file, erigere una pira funeraria e dedicarmi sereno alla pesca d'altura.
Capita anche che qualcuno ogni tanto si complimenti per cosa scrivo, ma, intendiamoci, siamo su piani (anzi sarebbe meglio dire pianeti) diversi. Sì, è vero, scrivo anch'io, ma lo faccio per me, per lo stesso motivo per cui corro (riuscissi!!!) per trovare calma ad un animo ultimamente troppo spesso inquieto, per dare un senso alle confuse sensazioni che mi si affollano in mente e che non riesco più a capire e mettere in ordine logico. Scrivo per rallentare il tempo che mi fluisce inesorabile tra le mani, che mi piaccia o meno. Scrivo come quando esce la spuma dello champagne di una bottiglia troppo agitata: ogni bollicina che scoppia un'idea, un sogno, un'emozione, un'aspirazione. E sono io quella bottiglia, invecchiato e, sicuramente molto agitato. (Ma pur sempre champagne, e scusate se è poco :-))))
Metto giù questo mentre sento lo scattare di serrature ed il chiudersi della lampo delle valige di chi si sta preparando; il mio treno tanto rallenta e, con quello stridore acuto ed allungato che sa di ferro su ferro frena, fino a fermarsi con lento, ultimo contraccolpo, accompagnato subito dopo dal sospiro delle porte automatiche. Gente che entra ed altri che van via, per qualcuno è la fine del viaggio, le nostre orbite di comete per un istante si son riavvicinate, se e quando questo ricapiterà non ci è dato sapere. Da fuori giungono smorzati suoni ed odori della stazione ed una musica soffocata che non riesco a definire meglio. Intorno a me, nel vagone che odora di polvere e disinfettante, poche persone sedute ed isolate ognuna nel proprio mondo, guardando distrattamente la vita degli altri che si scioglie di fuori. Poi, dopo poco, il segnale acustico delle porte in chiusura e dopo il primo scossone ripartiamo, donolandoci pigramente. Il sonnacchioso tu-tum tu-tum riprende a scandire il viaggio. La giornata è serena, il cielo sulle verdi distese di granturco è di quell'azzurro pallido che fa capire che da adesso in poi i giorni veramente caldi saranno solo più un ricordo per molto tempo.
Improvviso nel binario a fianco irrompe, grintoso ed imprevisto, il TGV che schiaccia l'aria contro i nostri finestrini e, dopo un secondo assordante fatto di rumore e vento è già lontano, lasciando la sua scia fatta di foglie e carte turbinanti, insieme al suono che rapido svanisce. Poi tocca alla prima delle tante gallerie, mentre ci inerpichiamo lenti sentendo cambiare la pressione nelle orecchie, dentro le oscure viscere di quei monti che, di sopra conosco fin troppo bene. Lo scompartimento diventa scuro, illuminato da quella luce giallastra e fioca che quasi impedisce di scrivere.
E po un'altra, ed un'altra ancora, con il loro frastuono, inframmezzate da brevi lampi di luce, accompagnate poi di nuovo nel buio dalla striscia biancastra che sale e scende veloce. Mi tornano in mente viaggi lontani, come quelli del mio impagabile anno del militare ad Udine. Chissà come stanno adesso il mio colonnello di allora, ed il maresciallo che mi ha accolto a casa sua, con la sua bimba sordomuta ed incredibilmente dolce che mi adorava. Per come sono (orso o forse solamente stupido) ho perso tutto, non ho salvato nessuno di quei contatti di allora, allontanandomi, anche se il ricordo di quei giorni mi fa sorridere sempre. Ho nostalgia di quel tempo e di quei luoghi, di ritornare a respirarne l'odore, a ripercorrere gli stessi passi e riprendere il filo di discorsi interrotti come fosse stato solamente ieri. Poi mi vengono in mente altri viaggi in treno, e tra tutti quello più bello sicuramente a Parigi, dove vorrei anzi devo assolutamente ritornare, già pregustandomi il sorriso, negli occhi emozionati e luminosi della mia bimba adorata.
Fuori dall'ultima galleria, la luce e l'ultimo lacerante fischio mi riportano alla realtà, mentre lo sguardo, ancora una volta si perde, carezzando finalmente le cime di monti conosciuti.
E' la mia fermata, devo scendere.
Sono a casa.

Auguri, auguri, auguri.

Sentite, sentite qua:
"Sono stata tre giorni al mare in Liguria a festeggiare il 29esimo anno di matrimonio. Tanti, ma devo dire che non mi pesano: abbiamo fatto i ragazzini, siamo andati in moto con quattro straccetti solo per i cambi veloci, stupendo.....
Ieri lasciata la stanza dell'agriturismo dove abbiamo passato due giorni in mezzo alla natura e un con un silenzio invidiabile. Abbiamo passato la giornata al mare e poi, come fanno i motociclisti, ci siamo rivestiti in strada per tornare alla realtà di tutti giorni.
Come al solito tutto ciò che è bello finisce in fretta .... bisogna accontentarsi"
Beh auguri sinceri Mati, appena appena velati da un pò di sana e sincera invidia perchè si sente che siete liberi. Liberi di fare i ragazzini dopo 29 anni di vita insieme, liberi di fare i motociclisti, nonostante due bambini (!!!) decisamente cresciuti ed un cagnone nuovo che non mi ha ancora morsicato solo perchè l'ho vista in foto. Liberi di andare a vele spiegate, nonostante gli scogli, le correnti contrarie e le tempeste che, necessariamente si incontrano in un lungo e bellissimo viaggio, con tante rotte ancora tutte da calcolare.
Un abbraccio
D&R

martedì 8 settembre 2009

L'angelo dei runners

Ancora una volta per favore.


Proprio non riesco a comprendere fino in fondo, tra il monocorde brusio preoccupato del crocicchio di gente che si è rapidamente formato, mentre l'uomo con la tuta arancione, inginocchiato davanti a quel povero cristo disteso per terra, continua ad insistere fissandomi severo negli occhi: "Guarda che tocca a te. Sveglia, datti una mossa: non ci rimane molto tempo". 
Eppure era cominciato tutto così bene, oggi. Un cielo azzurro come capita poche volte che ti caschi addosso a Torino, solitamente incupita tra il grigio dello smog che sa di ferro  sulla punta della lingua e quella nebbia fatta di minuscole ed implacabili goccioline, che dai primi di ottobre fino a metà marzo ti entrano fin dentro l'anima e che a me rendono insoddisfatto ed umorale come pochi, con la voglia di buttare tutto all'aria, tutto ma proprio tutto e.... Senza il coraggio di andare veramente fino in fondo, cosa che mi rende ancora più nervoso. E con la voglia di isolarmi dal mondo e di starmene da solo. Un orso.
Un orso nervoso. Un orso nervoso e bastardo, a volte perfidamente cattivo con se stesso e con gli altri, ma con gli occhi grandi e buffi, come dice mia figlia.
Lei però mi fa ritrovare sempre il sorriso. Con pazienza, stira le pieghe dell'anima.
Ma anche lei fa parte del gioco ed oggi è l'unico punto che mi tiene ancora qui, altrimenti...
Altrimenti niente, lo so. E rimarrei qui lo stesso, a girare la ruota del criceto, senza il coraggio di buttare tutto questo straccio di vita a gambe all'aria. Per quel poco che vale
Un criceto chiuso in gabbia che si sente un orso. E per giunta con gli occhi buffi.

Ancora una volta per favore.

Le nuvole soffici, incredibilmente bianche e rigonfie giocavano a rincorrersi, con quel sole che ci stava proprio bene, in questo cielo, che scaldava dentro il giusto, mentre il vento leggero e secco rendeva l'aria asciutta, raggruppando e sparpagliando sulla strada cicche smozzicate di sigarette insieme a foglie ingiallite strappate dagli alberi, mentre qualche sacchetto di plastica si gonfiava e volava in alto libero, come un palloncino perso da un bambino. In quel cielo azzurro che le scie lasciate dagli aerei ci si stagliavano nette, per poi gonfiarsi e disperdersi, con tutta la calma che potevano prendersi.

Che oggi sarebbe stata decisamente una bella giornata me l'aveva scritto anche l'oroscopo, messo sulla mia pagina personale di iGoogle, che di solito non guardavo mai e che invece, chissà perchè, stamattina avevo distrattamente letto. "Giornata importante. Entrerà nel vostro cuore una persona speciale, dando una scossa decisa alla vostra vita", c'era scritto. Dio, quanto bisogno avevo, di credere a quelle parole. Quanto bisogno avevo ancora di respirare, di sentire che in qualche modo ero ancora vivo.
Fesso, fesso fesso. Avessi continuato la mia vita da criceto invece.
Ero arrivato addirittura puntuale al mio appuntamento con me. L'avessi anche solo immaginato me ne sarei stato rintanato nella consunta abitudine delle cose da fare, dei miei disegni da finire, isolato nella mia coperta di Linus delle abitudini solo mie, chiuso e lontano da un mondo che non volevo più nè vedere nè sentire. E invece all'una ero già lì, pronto, con le scarpette allacciate e le cuffie nelle orecchie.
E via sul primo giro.
Attraverso veloce il parco avvertendo una strana euforia addosso. Sono chiuso nel mio bozzolo e i fili che lo intessono sono la musica che ascolto, che avvolge ed isola, mentre gli occhiali rendono impenetrabile al mondo il mio sguardo e la stessa mia anima. Non è passato troppo tempo da quando io ho deciso, e da solo, che avevo bisogno di questo per curarmi, altro che pastiglie, per combattere quello che mi stava mangiando dentro, che mi impediva di dormire e a volte di respirare. Da quando il castello di carte aveva cominciato a vacillare e poi definitivamente a crollare.

Ancora una volta per favore.

Stress, aveva sentenziato la dottoressa dopo la visita. Ma quella non aveva mai sapito neanche distinguere un raffreddore da una distorsione. E io la distorsione l'avevo avuta forte, solo che dove l'avevo avuta io lei, con le sue arie da saputa ed il suo stetoscopio non ci poteva certo arrivare. E allora ci avevo pensato da solo, a curarmi. E avevo ripreso a correre. D'altronde uno stupido criceto in gabbia cosa è capace a fare? Corre, su quella cazzo di ruotina senza vederne la fine. E basta. Poi muore.
Gli inizi erano stati a dir poco disastrosi. Tempo ne era passato, da quando la leggerezza nel passo era dovuta principalmente all'età, indipendentemente da quanto mangiavi, bevevi, fumavi o folleggiavi. Allora era facile, adesso molto più grigia. E pertanto via le sigarette, via l'alcol, via i chili di troppo. La vita dissoluta se ne era già andata via da sola troppo tempo fa, lasciando il posto a grigie regole del tipo "vai tu a buttare la spazzatura?" o "è tuo compito pulire la lettiera del gatto!", senza capire come tutto abbia finito per trasformarsi, imbruttirsi, ingrigirsi.
E allora si ricomincia, e si aggiungono nuove regole fatte di attenzione esagerata al cibo, di abitudini nuove, di bilancia e ginnastica e di sudore mischiato alla polvere ed alle lacrime di rabbia, quando, nel fiato che usciva stanco dai polmoni, si accompagnava la frase "Non ce la posso fare". Ed invece piano piano, un buco nella cinghia dopo l'altro, la strada ha cominciato a diventare meno ripida ed il fiato ha cominciato a non essere più un rantolo che brucia dentro. E la vita ha ripreso piano piano a sorridere, da quando ho cominciato a pensare "Ce la posso fare, invece", con la dura ostinazione di chi non ha più niente da perdere. O tutto, è lo stesso.
E adesso sono qui, a misurarmi ancora una volta con me stesso, con quel percorso che è stato per troppo tempo il mio incubo, fatto di gambe a pezzi e di gente che mi sorpassava troppo velocemente. La mia vita con tutti gli sbagli commessi, la mia croce, irta di chiodi aguzzi che mi ferivano sempre più profondamente l'ho portata solo sulle mie spalle. Quanto l'ho odiata ed adesso, quasi quasi non me la sento neanche più addosso. Mi ha dato forza e sostegno. Mi ha dato grinta. Ed adesso sono qui. Forse non ne sono uscito, ma ho una forza nuova e non è solo nelle gambe. Tocca a me sorpassare.
Ogni volta è sempre lo stesso. Corro e penso, penso e sogno, sogno e mi trasferisco in altre realtà, altri mondi, e altre strade che chissà dove mi avrebbero portato. Solo che adesso ho una meta, almeno per oggi. Domani si vedrà. Ho deciso che questo sarà un giorno speciale, me lo dice il tempo, il sole che mi dà forza, il vento che mi spinge delicatamente e gli alberi che mi accolgono e mi fanno ombra. Me lo ha detto l'oroscopo. Ed oggi, al di là di tutto il raziocinio di cui sono capace e che ho deciso per una volta di gettare alle ortiche, sono deciso ad ascoltarlo, a credere in un'altra opportunità, un'altra strada che si apra e che mi permetta di vivere Ancora.
Ancora una volta per favore.
Arrivo al primo dei miei 7 appuntamenti con il destino. Ho deciso che abbandonerò definitvamente la soglia dei 5 minuti al chilometro. Ho gambe forti e  fiato per farlo. Ho di nuovo quella sconosciuta sensazione di disagio nel petto e la testa, con quella sua vocina acida da grillo parlante mi dice calma, ma di lei non ho bisogno di correre. Almeno non per oggi.
4.32"! Il mio primo chilometro è un tuffo nel mare dell'entusiasmo. Entusiasmo che mi porta a spingere. Il grillo parlante mi dice calmati, ragiona, modera, ma le gambe non l'ascoltano. Hanno voglia di correre e mi limito ad assecondarle, cercando di dosare il giusto passo ed il giusto fiato. Il vento mi accarezza le gambe. La musica nelle orecchie è alta, fresca e anche lei è lì per dirmi "corri." 
E poi l'oroscopo ha parlato chiaro "Entrerà nel vostro cuore una persona speciale" e adesso sono pronto a correre il rischio, non come l'ultima volta che ho buttato tutto all'aria solo per la mia maledettissima paura. Un criceto che si crede un orso, e per giunta anche vigliacco.
Spunterà all'improvviso, lo sento. Magari sarà la ragazza carina con gli occhiali che legge assorta seduta sulla terza panchina, che ogni volta che passo fa finta di interrompersi  e mi guarda, e me ne accorgo. O magari sarà quell'altra che invece corre e lo fa ancora troppo forte per me, ma che sono sicuro ha notato i miei miglioramenti, da quando sono riuscito a tenerle testa nel mille dell'altro ieri. O magari la cameriera del chioschetto che ha preso l'abitudine di salutarmi sorridendo quando passo, da quando sono andato per comprare una bottiglia d'acqua ed avevo dimenticato i soldi e me l'ha regalata lei, chissà. Aspetto e nel frattempo spingo. Il fiato si è fatto più pesante, sento i battiti del cuore nella gola. Si avvicina il secondo riferimento.
4.09". Mi sembra di volare, di essere vento, libero finalmente di poter dire "Io sto correndo". Ma posso ancora fare di meglio. Posso tirare almeno un chilometro sotto i 4 minuti, me lo sento. Nelle gambe ne ho. Basta usare la testa. La testa che invece mi dice rallenta, senti il fiato, dosa le forze, controlla i battiti. Ma non posso usare la testa, almeno adesso. Vado per il terzo.
Ancora una volta per favore.

Poi il dolore.
Incomincia come un piccolo serpente che mi si muove dentro, si avvolge sinuoso in perfide spire ed è pronto a colpire, lo sento che è pronto. E senza preavviso, maligno, scatta e  mi morde.
Un morso di vipera, una puntura nel mezzo del petto, dentro, che brucia come il taglio di una lama rovente. Non capisco, il grillo urla rallenta, controllati, fermati, ma non riesco ad capacitarmi e non mi fermo. Non rallento, non posso ancora, non adesso. Devo finire almeno un chilometro sotto i 4', poi potrò riportarmi su ritmi più blandi.
Ancora una volta per favore.
Il veleno arriva all'improvviso, come una lingua di benzina che prende rapidamente fuoco. Parte dai buchi lasciati dai denti della vipera e si allarga in un battito d'ali del cuore. Mi prende tutto, si propaga dal centro fino alla punta delle dita. E' pesante come un maglio che si abbatte su di me, in mezzo al petto, un urto che, improvviso, mi leva il fiato. E mi butta per terra. Cado al rallentatore, come nei film di Rocky, all'indietro, facendo volare spaventati quei tre colombi mezzo spiumati che non volano mai, neanche se li pesti.
E poi il silenzio. Buio e freddo.
Riapro gli occhi; il male non c'è. Non so cosa sia stato quello che mi ha colpito, ma come è arrivato è passato. Strano. Non ho più niente. Sto bene. Sto incredibilmente bene, ho una totale assenza dal dolore, spariti anche tutti i fastidi che da un pò di tempo sono diventati parte di me, nulla di nulla. Neanche ho capito cosa è capitato, ma è durato un fiato. Sto correndo di nuovo e stavolta  vado veloce, ma sul serio e non ho neanche il fiatone. Mi pervade una strana euforia, mi sento forte, pronto, inarrestabile. Ho l'assoluta padronanza di me, sento piena la capacità di fare cosa e come voglio. Non sento più il vento sulle gambe, si deve essere fermato. Corro leggero ed i miei passi non fanno neanche rumore. Vedo là sulla terza panchina, assorta, la ragazza che legge. Mi sorprendo a chiedermi cosa stia leggendo. Neanche il tempo di pensare e sono dietro di lei, appoggiato allo schienale. La guardo da vicino e la trovo incredibilmente carina, mentre legge tutta concentrata con l'indice della mano destra accompagna le righe, proprio come fanno i bambini. Sta leggendo "l'arte di correre sotto la pioggia" di Garth Stein, che, combinazione, ho appena finito di leggere. E' talmente assorta nella lettura che non si è neanche accorta che sono dietro di lei, e che le sorrido. O forse mi ignora deliberatamente. Ad un certo punto alza lo sguardo e guarda prima l'orologio e poi il viale alberato da cui sono appena arrivato. Mi vien da pensare che con tutta probabilità starà aspettando qualcuno, che ho preso l'ennesimo abbaglio e che quindi non è lei, la persona dell'oroscopo. Comunque provo un approccio: "Ciao!", le dico cordiale.
Poi lo stupore e la sorpresa. Ed mi si diffonde un vago senso di freddo dietro la schiena.
Lei ha riabbassato lo sguardo e si è rimessa a leggere, come niente fosse, come se non fossi di fianco a lei. Non mi ha proprio sentito. Cioè, io sono sicuro di averla salutata, ma non ho emesso alcun suono. Come se mi avessero tolto l'audio. In lontananza, acuto, il suono di una sirena si fa largo tra code di lente macchine pigre incolonnate e si avvicina sinistra. Entra all'interno del parco e lì si ferma, con le luci bluastre intermittenti che ticchettano. Decido di andare a vedere. La ragazza ripone il libro nello zainetto che porta a tracolla e si alza anche lei.
L'ambulanza ha i portelloni posteriori aperti ed è ferma di traverso sulla strada, a motore spento. Sotto gli alberi, circondato da qualche passante, c'è un uomo a terra, con qualcuno che gli tiene i piedi in alto. E' sicuramente un runner, uno che magari ho incrociato due minuti fa, lo vedo chiaramente dalle Saucony da corsa che calza. Un paio di Saucony nuove, uguali alle mie. La sensazione di disagio aumenta, provo a chiedere cosa sia successo, ma di nuovo non esce un fiato. Nessuno mi nota. Il disagio si sta velocemente trasformando in panico. C''è qualcosa in quella scena che mi attira in modo irresistibile, come se fossi in discesa su una lastra scivolosa. Mi avvicino a guardare meglio.
Un paramedico con lo zaino e la tuta arancione, di fianco al corridore disteso, sta prestando le prime cure. Ha i capelli bianchi, i baffi, anch'essi bianchi, ed un paio di limpidi occhi cerulei. Avrà almeno una cinquantina d'anni e l'aria decisa, di chi sa fare il proprio mestiere. Lo stemma sullo zaino che porta sulle spalle è diverso dal solito: sul fondo arancione entro un cerchio, risalta la croce bianca con ai fianchi un paio d'ali distese. Lui si volta e mi fissa, serio. "Allora, sei arrivato" mi dice, con una voce profonda che mi sembra di conoscere da tempo. Mi giro, pensando che si stia rivolgendo a qualcuno dietro di me, ma alle mie spalle non c'è nessuno. Mi rigiro e lo fisso. "Non capisco" gli dico; incredibilmente la voce mi ritorna, perchè lui mi sente, e sorride. Poi si rigira a curarsi dell'uomo disteso. Gli mette un laccio emostatico intorno al braccio, e continua a parlarmi. "E' normale che non capisci. Non capite mai sulle prime. Aprimi la zip dello zaino, quella laterale, per favore". Mi avvicino e obbedisco. Mi muovo leggero, passo tra le persone che mi ignorano, sembra che nessuno veda cosa sto facendo io. Fissano tutti l'uomo disteso. La cerniera scorre lentamente e apro completamente lo zaino, da sinistra a destra, in senso antiorario e poi arretro, confuso. Dentro c'è una cosa viva, una massa indistinta di lunghe e soffici piume bianche.
Un paio d'ali escono dallo zaino, si svolgono lentamente e si distendono, enormi, leggere e maestose. Non riesco a resistere alla tentazione di sfiorarle con la punta delle dita e le accarezzo, sentendole morbide e calde al tatto. Lui si alza un attimo in piedi e le agita come per sgranchirsele, e poi si stira lento, alzando tutte e due le braccia. Sorride e subito dopo si china nuovamente sul suo paziente. Le ali gli fanno ombra. Da sotto sento la sua voce, mentre si occupa dell'altro. "Ti ringrazio. tu non sai quanto ne avevo bisogno. Certo, lo zaino che abbiamo in dotazione è una bella comodità, ma ogni tanto bisogna fargli prendere aria, se no mi si rovinano tutte le piume". Rivedo il suo sorriso tra le piume ed il suo sguardo, che mi passa da parte a parte. "Comprendi?" aggiunge.
Veramente invece non capisco. Cioè ho il terrore di dare un senso logico a quello che mi sta accadendo. Ho voglia di andar via da questa scena assurda, di ritrovare solo la soddisfazione di un paio di scarpe che si muovono veloci sull'asfalto, di sentire la fatica ed il sudore. Scappo.
Corro e ritrovo serenità. Forse ho sognato tutto, forse sto sognando adesso. Niente ha un senso, o forse sono io che non lo voglio vedere. Voglio solo finire il mio allenamento, non chiedo altro.
Ancora una volta per favore.
"Dove vai? Non ti rendi conto di quanto sia inutile?" La voce proviene da vicino, ma so che a pronunciarla è lui, ancora laggiù, chino per terra, con la sua divisa arancione e quelle ali che lentamente vanno avanti ed indietro, come un respiro. E non si è neanche voltato.
"Perchè non pensi alla ragazza del bar? Così magari capisci e perdiamo meno tempo". E ancora una volta obbedisco, rassegnato incapace di adarmene da lì, di dimenticare tutto ed incominciare.
Penso alla ragazza ed istantaneamente sono lì, seduto al bancone del bar. Lei sta preparando un caffè e distrattamente guarda fuori, con l'aria contrariata, cercando di captare cosa sia capitato laggiù, visto che in lontananza vede i lampi blu accendersi e spegnersi. Sento i suoi pensieri, come se le leggessi dentro. Si sta preoccupando perchè mi ha visto passare una volta sola. E il suo sguardo mi passa attraverso, come se non fossi lì. 
E si sta preoccupando per me?
"Allora, ti facevo molto più brillante", ritorna la voce al mio fianco. "Naturale che si sta preoccupando per te, non sei più passato. E tu sei là, fattene una ragione. Sei tu quello, e lo sai da subito. Puoi anche andare anche al Polo Sud, e basta che ci pensi per farlo, ma ovunque ti sposterai mi sentirai sempre di fianco a te. E' perfettamente inutile e hai passato già troppo tempo a scappare, anche "in vita", hai capito o devo essere ancora più esplicito? E adesso basta con le cazzate, muoviti".
Ed in un lampo sono di nuovo lì. In piedi, in silenzio di fianco al gruppetto che è aumentato. Non ho il coraggio di guardare, di guardarmi. Ho paura e vorrei urlare, ma so che non succederebbe niente. Lui sente la mia paura, sento che lo sa, e mi parla con voce pacata, sempre chinato, sempre dandomi le spalle. "Parla con lui e soprattutto ascoltalo con attenzione, almeno questa volta". Non si è girato, ma so che sta indicando quell'uomo seduto tranquillo sulla panchina in ombra sotto i platani, mentre sfoglia con noncuranza un giornale.
Mio padre.
Bello, forte come quando era giovane e pieno di speranze. L'ultimo ricordo che avevo prima di adesso era del suo corpo disteso sul lettino dell'ospedale, quando la sua anima era già sgusciata via per sempre. Sono contento di avere questa nuova immagine da sovrapporre, alla voce "ultima immagine di mio padre".
Mi saluta sorridendo senza alzarsi e batte il palmo della mano sulla panchina perchè vada a sedermi accanto a lui. E di fianco a lui la mia età improvvisamente si trasforma e mi sembra di aver perso quarant'anni, dieci per volta, in quei quattro passi che non esistono e che mi hanno portato diritto da lui. L'emozione è troppo forte, non so cosa dire, me ne erano rimaste troppe di parole inespresse in un angolo del cuore che adesso, risvegliate, non riescono uscire tutte insieme e si bloccano. Piango.
Mi mette una mano sulla spalla, la sua mano, così calda, conosciuta e familiare, nonostante il tempo passato in sua assenza e mi calmo, incredibilmente sereno. Sa di buono, respiro il suo odore. E sto di nuovo bene, sto veramente bene, ho di nuovo quella sensazione di euforia, di abbandono da ogni forma di dolore ed è incredibile. Ho smesso di cercare di comprendere, prendo il momento come viene. "Ascolta" mi dice "non abbiamo molto tempo, per cui tutto quello che hai da dirmi dovrà aspettare altre occasioni, e stai tranquillo, verranno, non ti preoccupare. La faccio breve: non è ancora questo il tuo momento. Hai ancora da affrontare troppe cose e non puoi fuggire via così, sarebbe ancora una volta troppo comodo. Devi darti da fare, crescere ma sul serio, occuparti di chi ha ancora bisogno di te; basta che pensi a tua figlia. Devi assolvere a pieno il tuo compito, sempre che tu abbia capito quale sia. E se non l'hai ancora capito è il caso che ti sbrighi. Non hai poi così tempo. E ricorda che comunque vada, ho fiducia in te. So che ci avrai provato. E che adesso farai la cosa giusta. E adesso devi andare".
Dalla tasca estrae un mazzetto di fotografie. Le apre a ventaglio, come un giocatore di carte, le osserva sorridendo e ne estrae una che mi porge. Ci sono mia figlia quand'era piccola, seduta sull'altalena e lui, con gli abiti da giardino, su una panca vicina, che parlano in uno dei tanti momenti solo loro. Scherzosamente mi dà un buffetto sul mento e sorride "il mio ingegnere", pronuncia orgoglioso. Poi tranquillo, riprende la lettura del suo giornale.
E sono di nuovo in piedi di fianco a quella divisa arancione, con le ali che spazzano pigramente per terra.
"Forza, deciditi", dice l'uomo con le ali. Mi chino sul corpo ma inciampo, non ho corpo, il mio è li. Non riesco a guardarlo. Ho paura a vedermi senz'anima.

Qui si sta bene, mi viene da pensare. Ho ancora tante domande. Dammi tempo
"Egoista". tuona lui, guardandomi severo.
Voglio fare un altro giro, l'ultimo penso, sentendo che lui mi ascolta contrariato, anche se nuovamente è chino sul mio corpo.
"Non c'è tempo. Forza, deciditi". Poi aggiunge: "Te lo ricordi l'oroscopo? Entrerà nel vostro cuore una persona speciale, dando una scossa decisa alla vostra vita. Dai, persona speciale, è ora che entri. Ed attenzione alla scossa decisa". Sorride.

E rientro.

"Ancora una volta per favore!" Ma la voce non è la mia. Poi: "Libera!" e la scarica elettrica del defibrillatore mi colpisce in pieno. E lento, il mio cuore, pigramente riprende la sua corsa. 

Mi risveglio con un dolore pazzesco al braccio ed al petto. Sbatto gli occhi per capire: sono disteso e c'è un gruppeto di gente che mi circonda. C'è anche la ragazza con gli occhiali ed appena i miei occhi spaventati incrociano i suoi, le si riempiono di lacrime.
Il paramedico è lo stesso, Con i capelli bianchi ed i baffi, mi guarda e sorride ma non ha più...
"Le ali... Scusi, dove ha messo le ali?"
"Ali?" Ma quali ali? Stia tranquillo, che adesso la portiamo in ospedale, è stato fortunato sa?. Per un attimo pensavo che non ce l'avrebbe fatta".
In un attimo mi caricano sulla barella, e da lì dentro l'ambulanza. Prima che l'autista chiuda la portiera compare la ragazza, ancora con gli occhi lucidi. "Ti è caduta questa, prima la tenevi così stretta" mormora confusa. e me la porge, sfiorando con le sue lunghe dita le mie. Le sorrido da dietro il finestrino, mentre l'ambulanza parte a sirene spiegate.

Ho in mano una foto, tutta spiegazzata. Di mia figlia quand'era piccola sull'altalena e mio padre su di una panca vicina, che parlano in uno dei tanti momenti solo loro.
Dietro una dedica.

E voi non saprete mai cosa c'è scritto.

martedì 1 settembre 2009

Su le maniche, si riparte

E adesso siamo qui.

Tornati a fissare instupiditi un video ed usando le solite cinque dita sulla tastiera, chissà perchè, tre della mano sinistra e due della destra, nuovamente alla ricerca di qualcosa che non so neanch'io più che cosa sia. E del perchè lo stia cercando. Mistero.

97 mail, quasi tutte puttanate.

Sono passate, le mie due settimane, così in fretta che ne è rimasta solamente la scia profumata del ricordo. Due settimane di fiato di aria vera, di tante cose che volevo fare e sempre di troppo poco tempo per farle. Le mie corse si sono spalmate sui fianchi di qualche montagna e sentir male alle gambe mi ha fatto sentir bene. Ho portato la mia bimba a sfidare il vuoto del ponte tibetano a Claviere, e, nonostante la paura iniziale del vuoto che la intimidiva e grazie anche alla pioggia imprevista, si è proprio divertita, tanto che lei e la sua amica gridavano a suarciagola "Siamo Schumacher!" per far sapere a tutti quanto si muovevano veloci. Lì ho ritrovato movimenti ed abitudini come se non li avessi mai dimenticati ed aiutando il gestore a preparare imbraghi per una comitiva di 12 persone, (tra cui due frati con tanto di saio!), mi sono guadagnato la traversata gratis. Tra montanari ci si intende.

Ho portato finalmente la mia moto dove avevo sempre voluto andare. E l'ho fatto. Con fatica ma l'ho fatto, Dio se era pesante, e con quelle gomme da strada che se non son caduto è un miracolo. Sono finito su, a 3000 metri a sentire l'aria fredda fischiare, a guardare le ferite sporche di quel vecchio ghiacciaio, che l'ultima volta che ci ero andato probabilmente era con mio padre e nessuno avrebbe mai pensato che quella era la nostra "ultima volta insieme". Sempre in moto sono andato in cima da tutt'altra parte, ed anche lì, circondato dalle nebbie che mi separavano dal mondo, mi son ricordato di quando c'eravamo andati noi due soli, e dell'incontro con quel cervo maestoso che a momenti ci correva dritto in bocca, e dell'altro, meno piacevole con quella vipera, grossa e molto meno maestosa.

I ricordi del tempo, fresco come una carezza dimenticata, passato insieme a mio padre mi accompagnano, affiorano improvvisi, si nascondono e si rivelano dietro ad un albero, sotto un sasso, proprio al di là di una cima. E a trovarlo in cimitero ci sono andato una volta sola, ma non ne sentivo troppo bisogno, almeno io, fermo per pochi secondi davanti ad una lapide, che quello non è certo mio padre. Chissà lui.

E poi ho portato la mia Ciccia al maneggio perchè le piace andare a cavallo. L'ho portata lì, dove per la prima volta, anche qui, ce l'aveva portata proprio lui. E forse la foto in cui mia figlia ha l'espressione di felicità più assoluta è stata scattata mentre lei era su uno di quei cavalli.

Poi altre corse. Altre corse avanti ed indietro in Valle Stretta, sul lungo pianoro con l'ampia distesa dei ghiaioni che scendono dai Re Magi ela sagoma frastagliata dei Serous di fronte, a sorpassare i lenti gitanti con zaino maglioni e scarponi, io che già alle 8 del mattino, cappellino, maglietta occhiali e.. già lo sapete. Passando a fianco della parete dei militi mi son fermato un paio di volte a mettere le mani sia su Albatros sia su Tomahwak. Sulla prima ho provato anche un paio di prese, da solo.

E ancora il lago Verde ed i suoi riflessi di muschio, con la pietraia disordinata che ci finisce dentro e le poche trote che nuotano placide tra i vecchi tronchi affogati. Ho corso molto più in Valle Stretta che alla Decauville, ma solo perchè sulle pendici dello Jafferau, alle 8 del mattino, tutta la parete è ancora in ombra e fa un freddo cane. In Valle Stretta invece, il sole ti scalda in maniera discreta, e non c'è ancora la fiumana di gente che trovi di lì a qualche ora. Arrivavo, parcheggiavo la mia fida Transalp subito dopo i ripidi tornanti, e poi via, su fino al pian della Fonderia. Avanti ed indietro. Il silenzio e l'ambiente che mi circondavano erano così perfetti che ad un certo punto non ho più avuto bisogno di isolarmi con cuffia ed occhialini. Lungo i 5700 metri della Decauville ci sono andato qualche volta nel pomeriggio, con la mia Ciccia a farmi da battistrada mentre pedalava spensierata in mountain bike.
E l'immancabile gita a Briançon, a guardare sempre gli stessi negozi di minerali e monili incastrati nella strada in discesa con i profumi della lavanda e la mia bimba che giocando con l'acqua che scorre nel canale nel mezzo della strada finisce immancabilmente che ci mette un piede dentro, ed i peluche delle marmotte che fischiano in continuazione (anche perché mia figlia muoveva velocemente le braccia su e giù fino a farli fischiare proprio tutti), ed è quasi superfluo ricordare quante volte mi ci ha portato lui, ed in quale ristorante si trovava bene, ed in quale negozio invece se ne è andato perché era bastato un "Ah, les italiens...". Ritornare dal Colle della Scala e sentire mia figlia raccontare con orgoglio alle sue amiche che quella strada, quei ripidi tornanti che scendono veloci e ci riportano in Italia, l'aveva tracciata proprio lui, quel suo nonno preferito, da un senso di calore che per un attimo si irradia dal cuore tutto intorno.
E un poco mi sono curato anche il nostro giardino, con la calma dei gesti lenti che serve per fare le cose come vanno fatte: ho potato le rose, tagliato la siepe e fatto un pò di ordine e di pulizia. Qui i ricordi sono vivi, quasi solidi, basta allungare una mano ed eccoli lì, pronti da prendere con la mano come un frutto su di un albero, e non c'è angolo della nostra casa o del giardino che non porti la sua impronta. Dire quanto manchi a tutti ed a me in particolare è superfluo, almeno per come la penso io. Oggi sarebbe stato il suo settantasettesimo compleanno. E sono già cinque anni che non lo festeggiamo più insieme, che ho dovuto crescere da solo e per forza. Auguri papà.

Ed ora son tornato. La mia moto è rimasta su, un pò malata e necessita di un check-up generale, come me peraltro, ma adesso un paio di controllini mi sa che è proprio arrivato il tempo di farli, forse.. Intanto per adesso mi muovo nervosamente in auto.

Il taccuino non ho proprio avuto modo di usarlo, me ne è mancato il tempo. Tante idee e molte emozioni me le sono impresse nella mente per metterle giù appena tornato ma tante altre sono svanite nel niente, spinte nel baratro delle cose dimenticate da quelle nuove che prendevano il sopravvento. Ho letto, ma non tanto.

Lo studio mi ha accolto con un dicreto tripudio di rose nuove, l'erba era nuovamente da tagliare e qualche pianta, chissà perchè, si è improvvisamente seccata. Le ortensie han bisogno di fertilizzante, così come la pianta dei limoni. L'ibisco è alto un chilometro e la verbena sta soffocando le roselline. Il benjamin piano piano sta riprendendo le sue foglie, sotto alla vite con i grappoli già scuri. Un ragno dalle zampe lunghe si era costruito praticamente una ragnatela a sei piazze in bagno, e stamattina l'ho dovuto cacciare. Ieri anche il server, preso in contropiede dal massiccio ritorno, ha improvvisamente dato forfait facendomi passare un'oretta decisamente di cacca.

Ed oggi ho intenzione di ritrovare il mio parco, la mia abitudine da città. Qui mi sa che avrò bisogno di nuovo dei miei simulacri, per chiudermi nell'aria di montagna che, un poco, mi è rimasta ancora addosso.

Vai con la giostra, che inizia un altro giro.