giovedì 31 dicembre 2009

Auguri



A tutti i bloggers, me compreso (cacchio, sono anch'io un "blogger"?!?!?), ed a tutti i bloggers nati come me il primo gennaio ("Tanti auguri a noi, tanti auguri a noi...") aguri doppi, s'intende.
A chi annusa i libri prima di comprarli e a chi legge fino a star male.
A chi scrive ed a chi sa scrivere, che son due cose decisamente diverse.
A chi ha belle emozioni dentro il cuore e ogni suo post è uno spiraglio luminoso.
A chi mi ha fatto ridere, talvolta fino alle lacrime.
A chi mi ha commosso, talvolta fino alle lacrime.
A tutti quelli che leggerli mi fa stare bene.
A chi ogni tanto si sofferma su queste pagine.
Anche, ma proprio perchè sono buono, a quelli che usano le "kappa" dappertutto (Ciao, Slaymer!!!).
A chi stanotte, come me, guarderà questa luna piena, blu, proprio blucobalto.
Vabbè che son daltonico! ^_^

Buon MMX a tutti!!

D&R

giovedì 24 dicembre 2009

La letterina di Babbo Natale


A Babbo Natale
Rovaniemi - Polo Nord


Caro Babbo Natale
Onestamente qui, da queste parti, che sono buono, me lo dice solo più Hannibal Lechter e questo magari la dice lunga su come mi sia comportato quest'anno, ma tu non stare a guardare troppo per il sottile. Ascoltami.
Sì che lo so di essere in ritardo; hai ragione, Il tempo stringe, è vero, avrei voluto prepararla prima la mia lettera ma, sinceramente, e lo sai, ho avuto proprio poco tempo, ultimamente.
Ho sempre poco tempo, ed ho sempre tanti pensieri, in questo periodo. Alcuni positivi alcuni meno, qualche ricordo doloroso, questi giorni va da sè che li richiamano tutti a galla, ma è un fatto, ci sono ed è inutile far finta di no.
Guardo dietro di me. Mi vedo percorrere quest'anno, giorno dopo giorno, analizzando serenamente ed con obiettività cosa ho fatto, in questo duemilaenove che sta volgendo al termine. Cosa ho fatto bene e cosa meno. Lo faccio giusto per risparmiarti la fatica, in maniera da non farti perder tempo a ragionare se mettermi nella lista dei meritevoli o meno.

Mi "quoto assolutamente" nella lista dei buoni. E ti spiego perchè.
Forse perchè fondamentalmente mi sento un buono, forse perchè la barba, la mattina, non la faccio mai "a memoria" ma guardandomi dritto dritto, a scrutarmi dentro. E tutto sommato, mi piace abbastanza quello che vedo.

Mi chiedi cosa abbia fatto di diverso dagli altri anni?
Ho ripreso a correre. Anche se adesso sono fermo da ottobre, e sono in lista per l'intervento al tendine, sicuramente è la cosa più sana che abbia fatto. Mi ha fatto star di nuovo bene, mi ha fatto recuperare me stesso, nel fisico prima e nella mente poi, anche se quest'ultima, oramai non è più completamente recuperabile.
Beh, poi ho ripreso a scrivere e creato un blog. Ma anche questo l'ho fatto egosisticamente, solo per me. Ma ogni cosa quello che non avrei mai potuto fare, pensare, scrivere e dire se non avessi messo su un blog lo so solo io. A parte te, ovviamente.

Ed infine ho ripreso a respirare. Sono uscito da un lungo, lunghissimo periodo di apnea e ho scoperto così tante cose, respirando. Ho ripreso, piano, i polmoni han fatto fatica, all'inizio. Ma poi han reagito, come una lenta locomotiva a carbone. Ed adesso che mi sento in corsa non ho tanta voglia di tornare sotto. Resisto, finchè posso.

Sì, ma in fondo, che cos'è che ho fatto di buono, ma di buono realmente?
Ho amato di un amore completo, senza retropensieri e pentimenti. Ho veramente amato fare quello che ho fatto, tutto, ogni giorno. Il mio lavoro, questo studio, tutte le cose in cui credo, la corsa, scrivere. Ho amato mia figlia, vedendola crescere giorno per giorno, spronandola, giocandoci insieme ed aiutandola a crescere. Sono ancora il suo punto di riferimento, per fortuna.
E pensandoci bene non ho combinato nulla di particolare per essere segnato nell'altra lista, sai? Mai parcheggiato sulle strisce, tranne una volta la moto, che ho subito spostata, ma mi è costata una cena (ad onor del vero ancora da pagare). Mai passato con il rosso, tranne quando era un arancione mooolto allungato. E per quanto riguarda l'andar forte in macchina.... beh, qui passo. 

Non so se basta, ma comunque la mia letterina la scrivo lo stesso.

Già, e cosa vorrei?

Tralascio la pace nel mondo ed un Ferrari, che son regali scontati.
Mi piacerebbe un tendine nuovo, ma anche se mi aggiusti quello che ho già male non sarebbe. Anzi forse è quasi meglio.
Un walkman subacqueo, per poter nuotare così come corro, nella mia bolla, isolato dal mondo.
Una tuta da runner per l'inverno, che ho solo pantaloncini corti e correre al freddo è già duro di suo.
Un tagliando per il Transalp che ne ha tanto bisogno.
Un paio di scarpe da arrampicata, che le mie vecchie han visto giorni migliori.
Una Nikon seria, è una vita che la desidero, ma prima o poi mi sa che me la dovrò comprare da solo.
Una stilografica va sempre bene, scegli tu, Aurora, Delta, Parker, Sheaffer,Tibaldi, Visconti, Waterman (te le ho messe in ordine alfabetico, visto?) fai come credi che non sbagli mai. Ma se vai a prenderla da Torino Penna magari, lì conoscono anche i miei gusti.

Però anche se sei Babbo Natale sei strano sai? Tu che, probabilmente per fare prima,  qualcosa mi hai già portato in anticipo.
Lo sguardo luminoso della mia bimba, che mi hai già regalato nove anni e che si rinnova ogni giorno, così come i suoi sorrisi: questo me lo tengo stretto, stretto come i suoi abbracci.

Altre cose poi mi hai già portato da poco, ad onor del vero.
Un metro che non ce l'ha nessun ingegnere e dovunque lo porto faccio un figurone!
E poi una matita nera con diamantino, una Moleskine bellissima, una penna usa e getta che nella mia collezione non poteva certo mancare, un quaderno meraviglioso per gli appunti e le idee ed infine libri, in quantità.
E ancora un pendente brillantissimo, da appendere sull'albero e che mi è vicino ora. E lo sguardo di un paio di occhi sorridenti e limpidi che non mi stanco mai di guardare.

E pertanto penso che basti.
Quind caro Babbo Natale, concludendo non è che abbia poi bisogno di niente. Con quanto mi hai già dato una cravatta basta ed avanza, tranquillo.
E quindi Buon Natale anche a te, Babbo Natale. Parti pure per il tuo giro e grazie, grazie sinceramente.
E se percaso devi farti fare il progetto di adeguamento della fabbrica di giocattoli, su, da te, rivolgiti qua. Ti tratterò bene, vedrai.

Tuo D&R.

Il Brindisi Natalizio


Un brindisi tra noi tre, anzi noi due. Io ed il mio socio, che l'altro non vedeva l'ora di andarsene. E' un socio leggermente dissociato, mi sa.
Un brindisi pensando ai lavori fatti, alle fatiche, troppe, di quest'anno, alle persone che con noi hanno sudato e faticato. Pensando alle levatacce, alle ore tarde, alle numerose litigate ed alle risate insieme, forse di più.
Era il millenovecentonovantatre, quando abbiami iniziato. Ed ogni anno, quando se ne sono andati via tutti, quando lo studio diventa improvvisamente grande, vuoto e silenzioso, ci fermiamo e, quasi religiosamente, ci consumiamo completamente la nostra bottiglia speciale, scelta esclusivamente da me - champagne, ovviamente (what else?) - a volte non parlando neanche.
Un mio socio, allora, ogni anno commentava "ha lo stesso sapore dello spumante ma costa 3 volte di più", solo per farmi girare i cosiddetti. L'anno che avevo comprato un Dom Perignon gli avevo ribattuto che di bottiglie di spumante ce ne volevano almeno dodici. A momenti gli andava per traverso.
E quest'anno la bottiglia scelta è questa. Un Moet&Chandon millesimato 2003 (www.moethennessy.it) con un perlage eccezionale che è una favola, anzi che lo era, visto che è rimasta solo la scatola e la bottiglia vuota.
E basta. Auguri a tutti. A tutti quelli che si sono soffermati sulle pagine di questo blog. A chi mi ha commentato e anche a chi mi ha solo letto. A chi sono pèiaciuto ed a chi no. Ai miei sostenitori ufficiali, ed a quelli che hanno a loro volta un blog che piace leggere a me. A chi mi legge dalle Hawaii o dagli USA (ma chi siete???), al mio amico Legoland che è a Londra, ed a tutti gli altri. Nessuno escluso. Devo ancora comprare qualche  regalino alla mia bimba meravigliosa e sono in ritardo. E devo ancora scrivere la letterina a Babbo Natale!!!!!

D&R

lunedì 21 dicembre 2009

Così, perchè mi andava



In questo giorno di neve e di freddo. Che quello vero non è ancora arrivato. Un giorno, massimo due, dicono. Un freddo da ibernarsi, dicono
Perchè non potrebbe essere da nessun'altra parte.
Perchè so aspettare, io. Tempo ne ho. E il freddo non mi spaventa.

D&R

Henri Cartier-Bresson. Russia


 "Henri Cartier-Bresson. Russia"


Loggia degli Abati
4 dicembre 2009 - 14 febbraio 2010

Di Genova, di vento e di un freddo polare


La scorsa settimana son tornato a Genova, per lavoro. Mi sono goduto una giornata incredibile, fatta di un freddo tagliente di un mare d'ardesia  e di gabbiani appesi al vento teso che ti portava via, con il freddo che ti faceva bruciare la punta delle dita e svolazzare impazzito il cappotto ed i capelli.

Genova è una di quelle città che penso mi appartengano, che mi fa respirare diverso, per mille motivi, molti dei quali solo miei o quasi. Ogni volta che devo andare giù comincio a stare bene ancora prima di esserci, l'ho già scritto.

Quando posso parcheggio sotto, nei parcheggi dei Magazzini del Cotone. E di colpo mi trovo catapultato dentro la Genova che amo, partendo dallo spiazzo vicino all'Acquario, con il sibilo metallico e tintinnante che fa il vento quando gioca tra le sartie delle barche ormeggiate, dove i bambini corrono nei tubi di cemento lasciati per loro, e dove c'è un ristorante che le trofie al pesto sono un incanto.
Da lì poi salgo per la via di San Lorenzo, passo di fianco al Duomo e ai suoi maestosi leoni accucciati sulla scalinata, mi perdo in Piazza Giacomo Matteotti e le mille mostre di Palazzo Ducale - A proposito, c'è in programma una mostra di Henry Cartier-Bresson che termina il 14 febbraio, qualcuno vuol venire? - Dopo costeggio carugi e stradine in salita, respiro i profumi della Salita del Priore, ad esempio, passo di  fianco ad altre vie con portici eleganti e disegnati, salgo ancora ed infine, di colpo, arrivo nel cuore nervoso e nevralgico della città, dove ci sono banche come se piovesse, dove la vita prosegue tre piani sotto il livello stradale, dove gli edifici sembrano incastrati come il Tetris, e dove ho l'appuntamento di lavoro.
Così diverso, quello spazio, dalla Genova appena attraversata che non sembra quasi di trovarcisi, a Genova, ma l'aria di mare la senti sempre anche qui, trasportata dal vento e se guardi in alto, ondeggianti nelle raffiche di vento li vedi lo stesso, i soliti quattro gabbiani.
A Genova c'è una piazza che adoro.
E' quella piazza dove ci sono migliaia di motorini, dico proprio migliaia perchè sarà un quadrato di 50, 60 motorini per lato, e cinquanta per sessanta fa tremila, e quindi saranno proprio migliaia, mi sa. 
Ma in questa piazza che ci saranno almeno tremila motorini, tutti attaccati come i pezzi del domino, che non ci passa una persona tra uno e l'altro, che giuro, vorrei spingere giù il primo per vedere che uno dietro l'altro tutti si appoggiano per terra ed a un certo punto vedi tremila motorini che dormono, nella piazza di Genova, dove c'è modernità, efficienza, facciate di vetro e acciaio e una salita antica e, sola e intaccata da tutto, separata dal mondo da una decina di alberi contorti, c'è un rudere che era la casa dove è nato Cristoforo Colombo, con dietro un giardino silente, con un colonnato che mi leva il fiato, da quanto è unico.
Questo ed altre mille cose, nella Genova che amo.
E poi, terminato il lavoro, prima di riprendere la strada per tornare indietro vado ancora a sedermi e a pensare, sui gradini di quella chiesa in pigiama a righe, sospesa sopra la via 20 settembre, con la piazzetta e la balconata e il liceo Scientifico e Classico Bernini.
La scorsa settimana seduto sui gradini di quella chiesa ci sono stato poco. Troppo il vento che ti entrava nelle ossa. Poco il tempo a disposizione, tra il primo appuntamento ed il secondo. Troppe ancora le sorprese che volevo preparare e che, in un freddo glaciale di un'altra città, sono poi riuscito a fare.
Ma così, anche attraversato dalle raffiche fredde che facevan battere i denti, a pensare mi son fermato.
A pensare ai mille motivi per cui questi luoghi siano diventati per me unici, limpidi, e rilucenti come cristallo. A riflettere su quante cose diverse e a volte contrastanti abbia pensato, seduto su questi stessi gradini. A ragionare sulle mille combinazioni del fato, del destino, a quanto abbia cambiato in me anche solo scriverne un post su Genova, mesi fa.

Non ci avete capito niente, vero? Lo so, lo so. Forse mi son perso anch'io, a fura di pensare troppo, e pensare fa corrente, mi han detto una volta.
Ma che volete farci, son così; e con la corrente, forse un'altra, ma forse in fondo sempre la stessa, alla fine io ci campo.

D&R

lunedì 7 dicembre 2009

Our Christmas Tree


Beh, forse bisognava attendere ancora. Qualche giorno, un paio soli, in pratica, come vuole la tradizione.
Ma se non si approfittava di questa domenica qua, persi nel far nulla o quasi, con consorte in trasferta nel ruolo di bonsai sostituta badante e figlia con nessunissima e forse anche di meno di voglia di fare i compiti ed io che non posso neanche pensare a correre che se no il tendine di cristallo si frantuma, e allora, in barba alla tradizione, oggi si fa l'albero.
Dico "oggi" e non "ora" o per mezza giornata, con cognizione di causa.
L'albero infatti, anzi l'Albero, si erge in tutta la sua altezza metri 2.40, escluso il puntale. 11 livelli di rami, per 6-8 rami per livello totale 70 rami in tutto.
Roba che la prima volta che l'ha visto finito, il mio vicino di casa è andato a comprarselo subito anche lui, e ma che bello, e ma come è grande, e sembra vero. L'ha acquistato e sull'onda dell'entusiasmo se l'è caricato in auto, sbuffando come un mantice, chissà poi perchè.
Poi, arrivato a casa, anche lui unico maschio di famiglia, se l'è caricato sulle spalle (da solo) e si è fatto i due piani di scale dal garage fino al nostro pianerottolo. A quel punto, stremato, pensava almeno di aver compiuto tutto lo sforzo. Ed invece era solo all'inizio.
Perchè il nostro bellissimo albero è in una scatola di un metro e trenta per trenta per cinquanta ed ha il peso specifico del piombo, si, ma è ancora tutto da montare. Il che vuol dire tirare fuori basi, elementi verticali e rami, e, provare a rimettere insieme i pezzi del puzzle finchè alla fine, ma proprio alla fine, quando anche il gatto si è stufato di fare gli attentati ai rami, trovate nascosti nelle pieghe della scatola, le istruzioni, che ti spiegano, che i rami si mettono nei vari livelli, in base ad una piccolissima tacca colorata che li distingue.
Giusto apposta per me, che sono daltonico, e che la prima volta il mio albero era venuto fuori con le misure 90, 60,90. E non era poi neanche così male da vedere.
E poi i rami sono tutti schiacciati, bisogna allargarli, districarli, piegare bene i rametti per dargli quella forma così, da albero vero.
E quel che è peggio lo vedremo poi, alla fine delle vacanze, quando quella scatola (sempre che nessuno con l'acume di un gerbillo non abbia anche pensato bene di buttarla via, ma questa è un'altra storia) sarà diventata di colpo troppo piccola per tutti questi maledetti rametti, che devi di nuovo stirarli ed appiattirli, ma che almeno li metti per ordine di colore, che l'anno prossimo, almeno eviti di creare forme nuove. E poi, come Gesù Cristo con la tua croce, ti ricarichi sulle spalle la scatola gobbuta e porti il tutto in cantina, dove avrà un anno di tempo per ingarbugliare rametti e colori. E l'anno successivo uguale.

L'anno successivo all'incauto acquisto, il mio vicino ha acquistato un albero in un pezzo solo, altezza fuori tutto 120 centimetri, luci comprese. Non c'era tagliato, per questo sacrificio.
Ed io, che volete farci, che si vede che mi piace soffrire, che adoro vedere gli occhi luminosi di mia figlia trasformarsi di colpo in due fessure sottili di felicità, quando è tutto finito e maestoso, che occupa la sala per metà, Ogni anno vado in cantina, mi carico come una bestia da soma e ricomincio.
E poi dopo averlo montato ci sono prima le luci da mettere, che devono essere messe belle nascoste che non escano i fili ma che si intravedano solo le lucine.
Poi arriva il momento delle decorazioni.
Prima quelle belle, quelle in vetro soffiato, quelle delicate, che vengono messe solo in alto per evitare che la gatta faccia strage, come fa immancabilmente ogni notte con i personaggi del presepe (in cui, noi, per inciso, ci mettiamo anche i Pokémon, in fila indiana, ma divago di nuovo, mi sa).
E ogni anno vien fuori di che colore lo dobbiamo fare, ed io che, vinta la battaglia dei colori con l'albero, e non sono sicuro neanche di averla vinta completamente, a quel punto ho da obiettare. Facciamolo come ci viene e ci pare, che è più bello, più mio, più suo.
E ogni anno c'è la tradizione che ognuno di noi si compri una pallina nuova, personale personalissima, elegante elegantissima o kitch da paura, che solo il legittimo proprietario potrà posizionare, e sulla cui scelta nessuno potrà avanzare riserve - Questa quiiiiiii? conquesti coloriiii? ma non ci sta niente beeneee!!!!, prendi quell'altra, che si intona di più. E questaaa? Da vergognarsi, ma sei scemooo?? No, consorte, o forse sì che sono scemo, ma non ci mettere il becco, te ne prego. Scegliamo quelle che più ci aggraderanno, che magari saranno come questa, che ovviamente è mia, o quella presa ad Eurodisney, che la mia piccola che toccatutto alla fine l'ha fatta cadere e abbiamo dovuto comprarla, o i babbi Natale legati in cordata, o ancora questa qua, O ancora come quest'altra, che poi alla mia piccola piacciono tanto che ride al solo guardarle ed il mio cuore ride con lei.

E poi mettiamo anche le altre, quelle vecchie, quelle comprate mille anni fa, magari sbeccate o storte, ma che mai e poi mai butterei via, perchè noi siamo la nostra storia, il nostro passato, queste nostre palline che una volta luccicavano e ora non più. Siamo tante cose, siamo le nostre tempestel le nostre correnti che chissà dove potranno mai portarci.
E sotto ci mettiamo le palline per far giocare la gatta, quelle che immancabilmente la consorte sbuffando sposta più in alto e noi rispostiamo subito in basso, cosicchè quando è notte, e si sentono tre o quattro palline rimbalzare sul parquet con la gatta che le insegue nel buio, Noi due, in stanze diverse, ma con un cuore in comune, ridiamo delle stesse risate, nascosti sotto i rispettivi piumoni. 


E ieri, terminata l'opera, accese le lucine e sistemati anche gli odiosi fiocchetti, ci siam fermati a guardarlo in religioso e stupito silenzio, l'albero di Natale. Il nostro Albero di Natale. Bellissimo.

E sotto, in barba nuovamente alla tradizione, che vuole che i regali Mister Babbo Natale li porti solo la notte di Natale, ci ho già messo un regalo, per me, già scartato, il più bello che c'è.

venerdì 4 dicembre 2009

Non avessi fatto l'ingegnere


Chissà cosa avrei fatto.
Mi dicono spesso che avrei dovuto fare l'avvocato, che con la lingua che mi ritrovo e la determinazione che metto in quello che dico quando penso di aver ragione - anche perchè, intendiamoci, se non penso di aver ragione sto zitto - è difficile confutare. Me l'hanno già detto, me l'hanno ripetuto anche stamattina, e ogni tanto ci penso, come sarebbe cambiata la mia vita, avessi fatto altro, come sarebbe andato tutto quanto. Mi immagino, in uno di quei prestigiosi studi legali, quelli con i mobili high tech, dove tutti girano elegantissimi, tiratissimi, con la macchina strafiga vecchia di non più di sei mesi, con l'assistente personale dalle gambe lunghisssime e piuccheperfette. Anche perchè se si deve immaginare qualcosa tanto vale scegliere bene, no?
Già ma cosa avrei voluto fare? Quali erano i sogni, quelli degli occhi meravigliati di un bambino, l'astronauta, il calciatore, cosa?
Io avrei fatto il madonnaro.
A onor del vero, ancor prima, complici i libri di Herriot, di Klein e di Durrel che so praticamente a memoria, avevo pensato di fare il veterinario, ma, primo, a Torino non è che si abbondi poi così tanto di animali da fattoria e, secondo, i cani, anche quelli impagliati, tendono tutti e sempre, inspiegabilmente, a mordermi.
Scartata pertanto l'idea originale, avevo coltivato a lungo di fare dell'arte di strada la mia vita. Uscire, vivere di niente, del soffio del vento e del calore del sole riflesso sulla pietra e sulle mie mani. Delle emozioni che suscitavo nella gente, che ricambiavano con qualche moneta gettata dentro un berretto di panno nero. E respirare momenti fatti di me, del posto dove sto in quel momento e del profumo del gesso, delle dita che schizzano velocemente sui marciapiedi, delle ginocchia sporche della polvere colorata. Nelle piazze d'Europa, senza un programma, un ordine, una cronologia delle cose da fare. Mi allenavo, mi confrontavo con i classici; ricordo che la Vergine delle rocce di Leonardo e il suo sguardo dolce e lontano, con quel sorriso soltanto immaginato mi avevano portato via più di un mese di fatiche, e a me veniva con quell'aria stupida da oca che non so quanti fogli ho stracciato con rabbia. Alla fine avevo deciso che bastava, che non ne potevo più e mai avrei saputo fare di meglio.
L'avevo regalato, via, non volevo più rivederlo.
L'ho rivisto due anni dopo, quando ormai l'avevo dimenticato, quando quell'enorme foglio grigio disegnato a carboncino e gesso bianco non era più mio. L'avevo trovato bello da levare il fiato, con quello stesso sorriso, forse leggermente più assente dell'originale, ma bellissimo.
Erano i tempi in cui disegnavo sempre, su tutto, compresi tovaglioli ai ristoranti. Soprattutto sulla mia scrivania a casa, dove le mie opere d'arte si perdevano immancabilmente sotto lo straccio delle pulizie una volta alla settimana. Erano stati salvati solo un Herbert von Karajan con lo sguardo austero e la bacchetta in punta di dita e un lucio Dalla dal basco floscio e la barba ispida, intorno ai quali lo straccio materno non aveva cuore di proseguire l'opera distruttrice. Disegnavo esclusivamente monocolore, in biancoenero, con le matite Derwent dalla 6H (un chiodo) alla 9B (burro di grafite), accompagnando il tutto con carboncino nero e bianco per i riflessi. A volte usavo la sanguigna, altre ancora matite leggere e biro da stenografia, dal tratto sottilissimo e scuro. Già, perchè sono daltonico - il termine corretto è discromatopsia - e con i colori combino normalmente pasticci. Ma i madonnari del bianco e nero sono dei virtuosi senza senso, che sussurrano le emozioni in lievi sfumature di grigio.
La carriera di madonnaro si infranse un giorno nella cruda concretezza della scelta della facoltà, finito il liceo. Ricordo ancor oggi l'espressione severa di mio padre e le parole "tu sei scemo" mentre peroravo la mia possibile e alternativa carriera artistica.
E così, l'incrizione ad ingegneria, pardon probabilmente volevo iscrivermi ad architettura ma da daltonico quale sono penso di aver sbagliato il colore del modulo. Ma tant'è, andando avanti ho poi scoperto che la faccenda non mi dispiaceva, che tutti questi corsi, questi numeri, nascondevano un mondo segreto, affascinante, per alcuni versi meraviglioso, di più, anche se non si dice più meraviglioso, signora maestra. Ma io lo dico lo stesso. Perchè più meraviglioso è come pensare al logaritmo in base 10, che il dieci lo tocca all'infinito e forse mai. E quindi mi ci sono appassionato. E oggi che è il mio mestiere da quasi... (quanti??? no, non è possibile, mi devo esser sbagliato a contare) mi piace, mi completa, come poche altre cose al mondo, che, per fortuna esistono anch'esse.
E finito ingegneria avevo pensato di rimediare all'errore commesso inizialmente, e, con un paio di occhiali correttivi colorati ho scelto il modulo giusto. Architettura, promosso direttamente al terzo anno.
Non sono mai riuscito a finirla. Non avevo più la testa, e men che meno il tempo. L'ho lasciata lì, e quando passo davanti alla Facoltà, in moto, ogni tanto ci penso ancora.

Ma non ho mai definitivamente abbandonato l'idea di quel mestiere di strada che, mentre ne scrivo in questo momento, alla mia scrivania e tutti i miei programmi ed i codici lavori e le consegne e le urgenze, lampadine e contatori, come dice qualcuno, mi fa venire una voglia di prendere ancora le mie quattro matite, il gesso bianco ed il cappello di panno nero. E Parigi è qua a due passi.
Quindi se un giorno, curiosando su questo blog scoprirete che l'ultimo post è vecchio di almeno sei mesi, andate a Montmartre, a vedere se c'è qualche disegno per strada, leggermente ammorbidito dalla rugiada del mattino, fatto solo in bianco e nero.
Sotto il disegno di un cappello ci leggerete soltanto
"Merci. D&R"