sabato 12 gennaio 2013

Ore 21, poesia


Da qualche mese la mia presenza in studio ha subito una drastica riduzione d'orario. Complice infatti l'austerity unita alla pesante sfiga di avere una collaboratrice che abiti proprio in quel di Bucodiculoplace, per tentar di risparmiar una manciata di euri e prolungar la vita delle rispettive quanto iperrodatissime vetture ci siamo accordati e prendiamo la macchina a turno, una settimana lei, una io.

E' stata una lunga e difficile trattativa all'inizio, per raggiungere un punto d'intesa: siamo partiti da posizioni molto distanti, anche se avevamo comunque ben presenti ognuno le esigenze dell'altro: io infatti so che lei ha due pargoli (ed un marito) i quali la sera son lì in attesa, con la bocca spalancata tali quali gli uccellini nei nidi e che pertanto dovrebbe godere di un orario lavorativo se non umano quantomeno standard, mentre lei sa che io abitualmente comincio presto, finisco tardi e di solito (mi ricordo la signora Luisa della pubblicità di un tempo) pulisco anche il water. Questo avendo, tra gli incarichi professionali aggiunti in calce nel contratto pure quello dell'office cleaning. 
E il fatto che la pago è un altro particolare che nella trattativa ha avuto comunque tutto il suo peso, non conta quanto la pago (cioè poco), ma la pago, cioè.

Ci siamo trovati a metà strada. Cioè partiamo presto (così da evitare il traffico dell'ingresso in città ed arrivare al lavoro già stressati) e per lo stesso motivo torniamo subito dopo la fiumana di vetture in uscita dalla città, giusto in tempo per far sì che lei riesca a trasformarsi, con abile guizzo, da affermato architetto in prestito a una torma di squallidi ingegneri ad efficiente massaia e madre premurosa, immediatamente dedita a: sfamare la famiglia, lavare, stirare, sparecchiare, mettere a letto i figli, "accudire" il marito e andare infine a dormire, svegliarsi, docciarsi e vestirsi, pronta a ripresentarsi per un'altra giornata di lavoro la mattina successiva, fresca come una rosa. Ed in qualche misura ci riesce davvero, giuro. Mi aspetto comunque, un giorno o l'altro, di vederla uscire da casa in accappatoio e computer a tracolla, con un figlio che guarda dall'oblò della lavatrice con il programma "capi delicati".
So che sta ridendo, in questo momento. Ed un po' mi odia comunque, ma non tantissimo.

In definitiva abbandoniamo le nebbie di Bucodiculoplace alle 7, luogo oscuro a cui vi si fa ritorno intorno alle 19.30 (ok, ok, ci aggiungo il "circa", ma quando devi finire una simulazione illuminotecnica che ti tiene incollato al pc da due giorni (o eventualmente pure un post) non è che puoi stare lì a spaccare il minuto in quattro, no?)
In un primo momento ha osservato che precedentemente all'accordo bipartisan godeva quantomeno di un'ora di sonno in più, ma alla fine ha concesso il suo assenso. Penso di averla presa per stanchezza.

Guido sempre io, sia la la mia sia la sua vettura.
E lei si spaventa sempre uguale, sia con la mia con la sua. 
Nella settimana "sua" però apprende cose diverse, ad esempio: che la sua macchina può raggiungere velocità inimmaginabili, che nel curvone dove una volta ha fatto testacoda conviene entrarci in traverso pieno per controllare meglio la derapata e che l'uscita dalla tangenziale con la frenata dell'ultimo istante è una vera figata, anche se poi i dischi si ovalizzano.
Nella settimana "mia" scopre invece altre chicche, ad esempio che una macchina che ha al suo attivo una caterva di km e qualche problemino agli iniettori può passare d'improvviso dai duecento all'ora al singhiozzare a tre cilindri ma che ciò non è così grave come sembra, e che per ovviare all'inconveniente si deve spegnere e riaccendere la vettura in corsa: quest'ultima faccenda, al momento la turba ancora un po'.
Quello che invece sconcerta me è che, nostante le levatacce, le grane, il lavoro, la spesa, i figli e la fatica, in ambedue i viaggi, con qualsiasi veicolo, tempo o musica a palla di sottofondo, non la smette mai, nemmeno per un microsecondo di parlare. E' capace addirittura di lasciare una frase interrotta a metà la sera e riprenderla esattamente dal punto in cui l'aveva lasciata la mattina successiva. 
Quindi, ragionandoci su, non so bene a chi sia convenuto. Il mio analista infatti mi sta costando più del gasolio che risparmio.

Ma questa mia sintetica premessa era per farvi sapere che è oramai diventata quasi abitudine la mia uscita dallo studio in quell'orario che io definisco "presto". E quel presto sta a significare che arrivo quasi sempre per cenare al desco familiare ed affrontare subito dopo l'immane disavventura che vede impegnata la mia Ciccia contro i compiti. Roba che, al confronto, le peripezie di Fantozzi al lavoro sono noiose come un documentario sulla vita sociale dei cianobatteri. Voi obietterete che i compiti a quell'ora non si fanno, che una Ciccia che si rispetti dovrebbe andare a dormire presto. Ma la piccola ha le lezioni di atletica tre giorni alla settimana e poi non sapete voi, voi che non avete la fortuna di dimorare a Bucodiculoplace, che il paese medesimo, insulso in quasi tutti i rari momenti in cui ci sto pure io, in mia assenza invece si risveglia, si desta dal torpore, esce dalle nebbie che lo rivestono anche a ferragosto e rifiorisce e - come nel film della bella e la bestia - riprende una vita sociale intensissima, ci sono supermercati luccicanti da frequentare, bar al profumo di caffè ove oziare, innumerevole ed in continuo aumento parentame della consorte a cui far visita obbligata. Ci sono file di genitrici di compagne di scuola con cui confrontarsi, e pertanto non passa ogni sacrosanto giorno in cui io possa arrivare a casa e, anziché meritarmi come ogni umano un po' di sacrosanto riposo ed una poltrona su cui stravaccarmi, mi tocca attivare il cervello in modalità insegnante di sostegno e via, con rinnovato entusiasmo verso le incognite delle radici quadrate, via, verso le traduzioni di inglese più complesse - I am= io amo - via, verso i compiti di italiano, dove mia figlia riesce gradatamente a smorzare ogni energia, con lo sguardo fisso e quell'espressione vagamente beota che ricorda un abitante dell'isola di Pasqua al cospetto di un marziano appena sceso da una navicella. 

La osservo spesso e quello che leggo nei suoi occhi è il vuoto cosmico più assoluto e perfetto, provo perfino le stesse emozioni della particella di sodio nell'acqua Lete.

Esasperato, qualche volta ma sempre malvolentieri mi incazzo pure, alzo il tono della voce e lì ho scoperto che allora, con tale montessoriano metodo, miracolosamente una scintilla di vitalità negli occhi riappare, va via il torpore, l'apatia, quel piccolo cervellino riprende lentamente a macinare. Come dire, la devo tenere sempre sul pezzo, altrimenti la perdo. 

L'altro ieri però una piccola tragedia, inaspettata, si è consumata in casa D&R. 

Poco prima delle vacanze di Natale la Ciccia si era influenzata ed in sua assenza la professoressa di francese aveva assegnato il compito di imparare a memoria per l'anno nuovo la Galette des Rois, una poesiola scema incentrata su un dolce tipico dell'Epifania d'Oltralpe. Si tratta dell'equivalente della nostra focaccia della Befana e rappresenta la felicità dei dentisti locali in quanto al suo interno si trova una piccola statuetta di ceramica. Chi la trova perde sì due o tre molari, ma per un giorno intero viene riconosciuto re da tutti i commensali e può comandare zie, l'odiatissima cugina con l'apparecchio e persino il cane. Ma dimmi tu 'sti francesi. Arridatece la Gioconda e la Bellucci.

Tale giocoso nonché incantevole componimento in rima, le era stato detto al suo ritorno sui banchi, non era sul libro, ma lo si poteva recuperare tranquillamente in Internet. Detto fatto. Cerchiamo, troviamo. La cosa anomala però è che questi mangialumache che non sono altro pare abbiano scritto una caterva di componimenti sulla galette des Rois, una sfilza di opere di alto ingegno, come se non stessero aspettando altro, come se l'abbondanza di zuccheri nel sangue abbia ispirato il fior fiore dell'intellighenzia in rima, come se smaniassero dalla voglia di finire una frase per poter usare parfois, pois o niçois. 

Come dire a noi ce ne fa un baffo del vostro ermo colle o dell'illumino d'immenso, noi ci abbiamo la galette des Rois, sacrebleu.

"Sì è questo", dice lei dopo un'iniziale esitazione. Stampiamo, ce lo leggiamo, e per tutte le vacanze ripetiamo meccanicamente, fino allo sfinimento "Si tu trouves la fève dans la galette/Tu mettras la couronne sur la tête/Si tu n'la croques pas/Si tu n'l'avales pas/Alors ce sera toi/Qui sera la reine ou le roi!" 

L'altra sera però, come un fulmine a ciel sereno la Ciccia scopre invece che la poesia che abbiamo imparato è sbagliata. Dopo quell'attimo di sbandamento che coinvolge pure la gatta, le mie esternazioni represse ma comunque sempre votate alla tranquilla e civile critica nei confronti della mia adorata pargola e della sua di lei altrettanto adorata genitrice   (macazzocazzocazzosietetuttoilsacrosantogiornoingiroinsiemeamammeecompagnieanessunoèvenutoinmentedipensarciprimadistaseraporc@!#+*!!!) mi do un contegno e studiamo insieme una strategia di guerra. Non c'è santi, la mattina dopo ci sarà l'interrogazione ed arrivare con una poesia diversa potrebbe dare un minimo fastidio la docente, ed influire conseguentemente sul voto.
Si deve imparare entro stasera. Indossiamo l'elmetto, ci passiamo due dita di nerofumo sotto gli occhi e pronti alla pugna.
Google traduttore è una meraviglia, ci copincolli la poesia e se pigi quel tastino con l'altoparlante, una signora, dall'altro capo degli altoparlanti recita la stessa, con l'erre moscia d'ordinanza e la pronuncia più consona. Devi metterci ad arte qualche puntino nel testo per costringerla a darci un attimo di respiro altrimenti lei la dice tutta d'un fiato e la piccola si smarrisce già alla seconda strofa.

La piccola, complice però la fase digestiva tipica del dopo spaghetti con le cozze, si smarrisce comunque. E allora si traduce in italiano per trovare un senso alla cosa, gli si dà un senso logico, si organizza un percorso mnemonico, si ascolta e si ripete, si ripete e si ripete. 

Questo è un piccolo cameo del dialogo realmente avvenuto:
Ciccia: "...Qui a.. la fève et.... la couronne?
             ..........................................
             .........................................."

Io: " e poi?"
Ciccia: "Zitto che poi mi distrai!. Ehmm..... Qui a la fève et.... la couronne?...... et la couronne?... scusa, cosa c'è dopo la couronne?"
Io: "La carta".
Ciccia: "Qui a la fève... et... la couronne? ...La carta..... La carta? Sicuro che c'è scritto davvero la carta??"
Io: "MA NON LA CARTA, LA CARTA COME SI DICE IN FRANCESE!!!"
La consorte, da sotto: "MA COSA GRIDI, CHE I VICINI SENTONO!!!!"
Io: "E COSI' ALMENO SI FANNO UNA CULTURA, BONSOIR LES VOISINS!!!!"
Ciccia: "ZITTI CHE MI CONFONDETE E CHE MI TOCCA RICOMINCIARE!! Qui a la fève... et... la couronne? ...Com'è già che si dice carta in francese?"
Io: "... papier.."
Ciccia: "Qui a la fève... et... la couronne? Papier d'argent o papier d'or?"
Io: "No, è il contrario..."
Ciccia: "Ma così non fa rima!"
Io: "Ma neanche al contrario, non è che "on" e "or" facciano proprio rima!"
Ciccia: "Ma non è mica giusto!"
Io: "Adesso affitto un caccia e vado a bombardargli il Palazzo dell'Eliseo per rappresaglia, d'accordo? Ma vogliamo andare avanti?"
La consorte, da sotto: "MA CICCIA, HAI STUDIATO RELIGIONE?"
Io: "RELIGIONE????? MA DA QUANDO IN QUA SI STUDIA RELIGIONE????"
Ciccia: "Si, l'ho studiata oggi."
Io: "MA DA QUANDO IN QUA PORC@!#+*!!! SI STUDIA PRIMA RELIGIONE E LA SERA FRANCESE???"
Ciccia: "Qui a la fève... et... la couronne........?

Siamo andati avanti così fino all'esaurimento. 
Ad ora tarda, alla quarantesima volta che nonostante la correggessi mi pronunciava "souvent" proprio "souvent", esatto così come vien scritto, mi sono leggermente alterato. Ho provato a telefonare ad Hollande per far cambiare la pronuncia dalla lingua ufficiale francese ma non me l'anno voluto passare, ho preso tra le mani il volto della mia ciccia e guardandola fissa negli occhi le ho detto "suvon, suvon suvon!" per circa quindici volte di seguito.
Le si sono riempiti gli occhi di lacrime e mi ha detto: "Cosa ci posso fare se non sono brava come te?"
Sapete, io sono un orso, ma di quelli di pezza che si vincono al tiroassegno. Che basta centrare un barattolo e te lo porti a casa. Mi sono vergognato e la sono abbracciata a lungo, l'ho confortata, le ho asciugato le lacrime, le ho fatto il solletico facendola ridere e le ho spiegato che non riusciva ad impararla solo perché era tardi ed era eccessivamente stanca. Poi l'ho accompagnata a letto, mi ci sono sdraiato vicino, e sussurrandola come una ninna nanna, le ho recitato la poesia, un'altra volta, e un'altra volta ancora, così tante volte che non so, sempre tenendola abbracciata, fino a sentire il suo respiro abbandonarsi al sonno. 

Il giorno dopo, verso l'ora di pranzo mi arriva questo messaggino:
"Ho preso 9 della poesia, grazie Totsonino mio".

E adesso lo so che siete curiosi come delle scimmie, eccola in tutto il suo splendore, la nostra fatica di ieri:

Galette des Rois 

Qui a la fève et la couronne? 
Papier d'or ou papier d'argent? 
La galette était bonne 
Et la fève dedans. 

Petit roi d'amour aux yeux de velours 
Choisis la reine de ta cour! 

Gentil Roi, bois! Mais n'oublie pas 
Que le bonheur même des Rois 
Ne dure souvent qu'un seul jour..
E ditemi voi se è o non è una poesia di merda.

martedì 8 gennaio 2013

Chi ben comincia



"Si riconoscono esiti di rottura completa del legamento crociato anteriore", recita il referto della risonanza magnetica eseguita qualche giorno prima di Natale e ritirato l'altro ieri, oltre ad una decina di altre righe in cui vengono elencate sfighe e magagne di minor conto. Ecco spiegato bello lampante il motivo per cui da qualche mese in qua non  riuscivo più a correre decentemente. Era solo una conferma, il mio luminare lo aveva già anticipato scuotendo pensoso il testone, ma la certezza della situazione che traspare da quelle foto patinate fatte come si affetta il salame non mi ha certo tirato su il morale. 

A dare ascolto al mio meccanico poi, dovrei decidermi e farla finita una buona volta con l'accanimento terapeutico che sto operando da troppo tempo nei confronti della mia quattrocentoepassamilachilometrimunita vettura, ringraziandola con una amorevole pacca sul cofano per tutte le strade percorse insieme, per le troppe corse sempre al di sopra delle righe e lasciarla riposare finalmente, dimentica di iniettori consunti e di ruggine incalzante, a correre libera, là, nelle più alte autostrade del paradiso delle macchine, dove l'autovelox non esiste e le multe ti vengono contestate solo da ammiccanti poliziotte sexy, in shorts e camicetta sbottonata.... Oops scusate, l'immaginazione ha fatto uscire me di strada per un attimo. 

Non ha più senso ripararla, dice lui, non conviene. Sarebbe opportuno dargli ascolto, non fosse che, con le mie finanze al lumicino - più che un lumicino sono ormai ridotte ad un fuoco fatuo - mi posso permettere l'acquisto di un veicolo usato sì, ma non delle sue portiere. Ed a Torino senza portiere fa freddo per diversi mesi all'anno, vi assicuro. E Bucodiculoplace è pure peggio. Pensandoci bene mi sa che non mi ci rientra nemmeno un motore. Una bell'automobilina cabrio a pedali, in sintesi. Ho dato un'occhiata in rete in questi giorni e la desolante realtà mi ha schiacciato sotto tutto il suo peso: in pratica ho la possibilità acquistare solo autovetture più vecchie di quella che già possiedo. Ed alla mia età e per l'impegno che ci ho messo per arrivare fino a qui tutto questo è proprio una bella dose di stima in aggiunta. Il morale è alle stelle. Mi verrebbe da gridare Yuppieeee!, ma mi esce solo un  'fanculo mormorato piano.


Già. E poi c'è anche la faccenda dell'età a rompermi i cosiddetti. E quella torta che, nonostante avessi apertamente minacciato il pasticciere, è arrivata comunque, con il numero pure bello grande e la grazia di una candela sola per fortuna, ed allora ho provveduto a correggerla opportunamente. Cinq... non riesco nemmeno a pronunciarlo, a pensarci mi manca il fiato. E non ditemi che sarà per l'età, non vi ci mettete pure voi, sù.
Non è vero. Non può essere, tutto questo non ha senso, è sicuramente un colossale scherzo di pessimo gusto, un pesce d'Aprile tirato troppo per le lunghe. Una roba alla Truman Show che adesso esce qualcuno da dietro la tenda, la troupe con le telecamere e mi urlano "Sorpresaaaaaaaaaaaaaa!!!", mi spiegano che mi han ingarbugliato i conti e mi ridanno una carta d'identità con gli anni veri, quelli che sento, quelli che ha senso avere per poter ancora guardare lontano, per sperare, per correre forte, per averne di strada così tanta davanti da potersi pure permettere di sbagliare. O magari adesso mi do un bel pizzicotto e mi sveglio ritrovandomi magicamente con quelli che so di avere per certo, che ho pesato e vissuto rendendomene conto giorno dopo giorno e che sono qualcuno di più di quelli che ha la mia Ciccia, non tanti però. E via di botto gli spruzzi dei capelli grigi dalle tempie, via le lenti a contatto, nuova aria da respirare, da gonfiare i polmoni. Ma puoi pure farti venire il livido sul braccio a forza di pizzichi, le cose non c'è verso che cambino. 
A quell'età lì poi, uno dovrebbe aver una strada bella tracciata, definita e sicura. Certezze ecco, dovrebbe aver certezze, solidità e tranquillità, al posto di tutta questa irrequietezza, questa insicurezza, di queste folate improvvise che quando arrivano devo aggrapparmi per non cadere. Guarda invece quello che ho, quello che so di avere raggiunto, io che non so ancora neppure cosa farò da grande, se il madonnaro o l'astronauta, considera quanto siano deboli oggi tutte le mie certezze e le mie poche convinzioni, questo fragile e traballante castello di carte che ho faticosamente tirato su. Scruta nel fondo dei miei occhi che cercano nel buio di fuori di ogni sera, leggi dentro a questo cuore che gli basta una luna di sbieco per dar di matto senza sentir ragioni né consigli, che non ci crede lui di tutti questi anni passati, che non si arrende, perché è fatto così, è ancora così, ostinatamente casinista e disperato, a volte, un frullare impazzito d'ali nel petto tante altre, ma quasi mai tranquillo.
E' stato tutto così veloce che non ha senso. Non possono essere cosi tanti questi anni, quelli che dovrebbero aver fatto di me un adulto fatto e finito, io che adulto mi sento ancora molto al di là da venire. Sarò sicuramente eccessivamente immaturo, uno che stupidamente non si arrende all'evidenza dei fatti, che si ostina a non cambiare orizzonti ma non riesco, non son capace di vederla in maniera diversa.
E quindi no, quegli anni lì non possono essere i miei. Ci arriverò, tra dieci, quindici anni, forse. Ma non prima, e non sicuramente adesso.

In pratica, il duemilaetredici inizia decisamente nel migliore dei modi, accontentandosi di poco: come si faceva nel West basterebbero infatti due sole pallottole, per porre fine alle sofferenze di un malandato cavallo e del suo attempato e sgangherato cowboy. Ma con le trafile burocratiche per procurarsi il porto d'armi, la richiesta del finanziamento per potersi comprare un'arma (finanziamento che tanto so che non mi concederanno) le pallottole il cui prezzo è salito vertiginosamente negli ultimi tempi, mi sa che anche quest'opzione non me la posso proprio permettere. Sarà per un'altra volta. 

E quindi 'fanculo.
E non azzardatevi a farmi gli auguri.