martedì 1 settembre 2015

L'estate addosso


Ne è passato, di tempo, dall'ultima volta che mi sono fermato qui, tra queste righe.
Ne son capitate una marea di cose, alcune belle alcune brutte. Capita, ne scriverò prima o poi, ho tante cose da buttar giù, spero di averne tempo e capacità.

Ho chiuso per l'ultima volta il portone dello studio delle rose, ho fermato per un attimo il respiro ed il cuore e mi sono allontanato senza voltarmi indietro. 
Ho un posto nuovo, ma che non mi appartiene ancora. Non è male, tutto sommato.
Ho cambiato auto. Superato il giro di boa dei cinquecentomila km la mia vecchia Audi cominciava ad aver qualche piccolo problemino. Quella nuova (meno vecchia è più corretto) è discretamente cattiva. Ma soprattutto, è confortante non dover prendere a cazzotti il cruscotto, per l'aria condizionata.
Ho cambiato l'ordine dei sogni. Non li ho spenti tutti, certo che no.

E sono andato in vacanza, come non mi accadeva da non so quanti anni. Ne avvertivo un bisogno disperato, una fame opprimente, chiudere problemi e grane ed i pensieri laceranti in un baule e nascondere la chiave, via tutto, in valigia poca roba ed un paio di maschere, una per me ed una per la Ciccia, che mi aspettava là nell'isola lontana, lei già abbronzata e bellissima, ancora di più se si può. 

Ed adesso qui. A guardarsi nello specchio e vedersi con la pelle scura che ancora non ha smesso il profumo del mare, ed il sorriso facile.

E se dovessi pensare a queste due settimane passate troppo in fretta direi solo quanto, quanto di tutto quello di cui mi si sono riempiti gli occhi.

Quanto sole, quanto mare, questo è scontato.
Quanto inebriante il profumo della focaccia calda nei carugi di Genova, quanta attesa per l'imbarco, quanto nero ed oscuro e caldo di vento il mare della traversata, quante stelle cadenti in un cielo di pece, cosa stai lì a cercare le stelle che è tardi e chissà che desideri nascosti avrai mi è stato chiesto, ma i desideri non si possono svelare altrimenti non si avverano, ho sogni bellissimi che proprio non riescono a spegnersi ed hanno bisogno del fuoco cadente delle stelle per ravvivarsi.

E poi di là nell'isola lontana quanto caldo, quante strade polverose, quante eliche in file disordinate a girare pigre sui crinali che ne hanno mutato, snaturandolo, il profilo.
Ed ecco i sorrisi, gli abbracci, la gente che chissà perché aspetta proprio te, quanta gente, gli abbracci il cibo di qui che ha un sapore diverso, l'eresia del vino nero messo in frigo, i fichi raccolti dalla pianta e mangiati caldi di sole, tutto inframmezzato all'aria di festa ed alle parole di una lingua sconosciuta e l'affetto, quanto smodato, esagerato affetto, continuo sempre a stupirmi, io che sono plantigrado inside.

Ed eccolo lì, finalmente il mare azzurrissimo, le lunghe distese di sabbia e le mie corse a sfinirmi della mattina presto, quando il caldo concede un minimo di tregua. E poi la sveglia alla Ciccia ancora sonnacchiosa, le lunghe nuotate, le apnee in due a tenersi la mano, le scoperte di piccoli tesori, le conchiglie che lei scova sempre quelle più grandi e belle, e tanto per non smentirsi ha pure ripescato un Euro, i banchi di pesci guizzanti e velocissimi dai riflessi d'acciaio che catturano il sole. E le arancine di Arà con la squisita cortesia delle ragazze, le scacce calde, lo spettacolare gelato del Caffè delle Rose che con un nome così non potevo mancarlo, il pesce comprato dai pescatori e cucinato lì. E le partite a carte la sera, il passeggio elegante e le mille bancarelle, i profumi, il barocco elegante di Scicli, la decadente e bellissima Modica con la cattedrale di San Giorgio che ti esplode addosso. 
Ed una settimana è già passata ed allora i saluti e gli abbracci e la commozione sincera di chi è stato con te in questi giorni e ti vede andar via, ma cosa piangi come un vitello che c'hai un'età e che dovresti esser invece ben felice di liberarti di noi ed invece non vede l'ora di rivederti e l'anno prossimo non mi potete dire di no, altrimenti "Mariaaa, vidi chi mi affiennu".

E via da quest'isola, si attraversa quello stretto di mare insieme a chi già pensa al ritorno ma noi no, per noi non è ancora tempo, ci aspetta il lusso di un altro mare ed una marina sciccosissima, nuovi orizzonti, amici mai troppo lontani, mai in fondo persi. E lì ritrovare l'abitudine dei gesti, una barca di cui ne conosci i segreti, il gonfiarsi delle vele, la bolina stretta, la Ciccia novello marinaio che si affanna sul winch, il mio "pronti alla virata!" e la vela che si svolge e prende il vento, il timone tra le dita a seguire la rotta dei pensieri, i delfini a farci l'onore di accompagnarci, le tartarughe pigre che appaiono per respirare e se non sei più che attento te le perdi, una sola balena ma vicinissima. Ed i bagni in rada con quell'acqua verdissima, le stelle marine da mostrare a chi non sa nuotare e da riportare gentilmente sul fondale. E poi l'esercito di meduse del pomeriggio a pretendere il loro spazio nel mare e nuovo vento per trovare il porto alla sera, con il sole a disperdere mille riflessi infuocati sulla scia. E poi la stessa fotografia di mia figlia e delle sue due amiche, ma scattata dieci anni dopo, tre bambine ridenti allora e tre donne quasi fatte adesso ma con gli stessi occhi che ridono e ancora poi parole, parole e risate e passeggiate, ad osservare una luna pienissima specchiarsi vanitosa nel mare.

I tanti chilometri per attraversare l'Italia con le centomila macchine del ritorno dell'altro ieri, che sono stati la nostra parentesi chiusa, li abbiamo percorsi come in sogno.

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