venerdì 22 gennaio 2010

Solo i pazzi...


Possono pensare di correre oggi!
Questo mi han detto oggi. Ed in effetti, un grado sottozero, alle due del pomeriggio era una temperatura pressochè proibitiva. Eravamo in dieci, quindici al massimo in tutto il Parco. Il vecchietto che in realtà è un bradipo travestito era l'unico che andava più piano di me.

Ma.
Basta non essere normali. Questa ce l'ho, sicuro.
Bastano i guanti (quelli ci vogliono) ed un paio di occhiali dalle lenti gialle. Ce l'ho anche questa.
Basta una tuta invernale, di quelle lunghe aderenti con gli inserti rifrangenti che fan tanto figo. Ops. Questa mi manca.
Basta mettere nel lettore "Gioia Infinita" dei Negrita a tutto volume, per venti minuti, che ti immagini il mare. Fatto
Basta uno scaldacollo (o sciarpo, ma in realtà si chiamano "neckwarmer", scusi signora maestra) che ti tiene caldo il fiato. Ok, ce l'ho anche questa
Basta riempirti di pensieri caldi, di idee, di progetti e di sogni. Check. Ho fatto il pieno.

E vai, e dopo un pò il freddo non lo senti più, vabbè che io il freddo non lo sento davvero quasi mai, che giro in camicia spesso e SEMPRE con il cappotto aperto - è una questione di stile - vabbè che in un'estate afosa di tanti e tanti anni fa siamo andati, per trovare refrigerio, in cima al Bianco a quota 4810 e trenta gradi sottozero - per orientarci avevamo solo la cartina... dei vini del Piemonte e della Valle d'Aosta - vabbè che idee, progetti e sogni ne ho così tanti che quasi sudavo, ma ad un certo punto ho dovuto tirar su le maniche e levarmi i pantaloni della tuta (tranquilli, sotto avevo i pantaloncini da corsa).
Il freddo all'improvviso è passato.
I venti minuti son volati.
Pure io, probabilmente.

mercoledì 20 gennaio 2010

Fanc@lo. Alla paura


E così ho ripreso.
La scorsa settimana, venerdì, il freddo che trapassava le mie tre magliette - Una Asics, una Nike a maniche lunghe ed una Asidas, per non far torto a nessuno - una sopra l'altra, il solito cappellino calcato sugli occhiali. ed il walkman di sempre con qualche brano nuovo.
Ho cambiato le lenti, gli occhiali presi da Decathlon hanno tre paia di lenti ed ho messo quelle gialle. Il mondo mi è subito sembrato più accogliente, la giornata ha perso quell'aspetto grigio che aveva fino ad un minuto prima, persino il sole sembrava che riscaldasse qualcosina.
Ho fasciato stretto il mio tendine di cristallo. Il medico l'ha definito "chirurgico" e ha detto che devo solo aspettare che mi chiamino dall'Ospedale. Ma nel frattempo, complici le vacanze di Natale, il tono muscolare è andato a farsi benedire ed è stato sostituito da fette di panettone rimpinzate di mascarpone, per cui è meglio che mi ridia una sistemata, in modo da ridurre il più possibile i tempi di recupero dall'intervento. "Puoi correre", ha detto il mio luminare, lui che ha aggiustato cani e porci, atleti titolatissimi ed emeriti sconosciuti e che non è riuscito a compiere il miracolo "per quel che poi, senza esagerare, tanto peggio di così è difficile che lo riduci".
Quindi posso. Venti minuti, senza forzare, tre volte alla settimana e appena sento anche solo un dolore sussurrato DEVO smettere. Queste sono le regole. Poi nuoto quanto ne voglio (mi sono comprato delle robe fighissime!!!) e stretching a non finire. Ma posso correre, ancora una volta. Sarei scoppiato se non lo facevo.
La scorsa settimana peraltro è stata un inferno, per me e per chi mi gira intorno. Si perchè il lavoro, quando c'è, ti chiama con voce prepotente, ti obbliga ad essere efficiente, reattivo, combattivo. Devi avere sempre l'idea giusta al momento giusto. Devi guardare con ottimismo le cose, devi pensare "io posso farcela" sempre. Devi essere sul pezzo, un pò macchina da guerra ed un pò artista, comunque.
E devi portare avanti questo traballante carrozzone che hai costruito tu, stringere le viti, ricucire gli strappi e farlo proseguire, comunque, superando asperità ed ogni salita. Con tutte le difficoltà del momento. I lavori nuovi da cercare e quelli da consegnare, le divergenze con i soci, la gente che non paga, quelli che ti chiedono il progetto per ieri e così via. E non basta ancora, devi essere positivo, devi tenere le briglia con fermezza, sfoggiare il sorriso a trentadue denti smagliante che serve per tranquilizzare la truppa -  Tranquilli che sta andando tutto benissimo!!! - e ragionare a compartimenti stagni, suddividere i problemi grossi in tanti problemi piccoli che risolverai uno per volta e poi, la sera - non troppo tardi però - chiudere la porta dello studio lasciando dentro i problemi irrisolti e trasformarti immediatamente in padre amorevole che torna a casa sorridente, fresco e riposato, abbraccia la famiglia dando una carezza al cane che gli porta le pantofole.
Ma, a parte il fatto che la nostra gatta V.I.C. (che sta per Very important Cat, è titolatissima, pedigratissima e dotata persino di un sito internet tutto suo. Come lettiera usa la Birkini di Hermés) mai si abbasserebbe, non è poi mica sempre così facile.


E quindi può capitare che tu cada, quando non puoi appoggiarti.
Che cada in giorni così, che non vorresti neanche che cominciassero.  Giorni che sai che sono storti ancora prima che suoni la sveglia, ti ronzavano malevoli ancora nei sogni. Giorni in cui non ne hai voglia, semplicemente.
Di niente: delle inutili discussioni con i colleghi, del lavoro tutto da fare, e ingegnere quando me lo riesce a consegnare, e del mutuo da pagare, e dei compiti la sera ancora da fare e ti sembra questa l'ora di arrivare. Ogni cosa sembra fatta apposta per la tua personale corsa ad ostacoli. Ed allora ti viene da dire "Fanc@lo, fate voi". Basta, lasciatemi in un angolo, decidete, fate e disfate, organizzate, vedete, io non ci sono, non esisto, mi faccio negare al telefono, mi chiudo nel mio bozzolo in posizione fetale, nascosto in una stanza buia, e guai a voi anche solo se bussate.
E quindi vedi nero, e del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto non c'è più traccia, probabilmente ti han bevuto l'acqua di nascosto e fottuto il bicchiere. Ti inventi mille paure, vivi male e fai vivere male gli altri.


Poi, per fortuna questi momenti cambiano. E non ci vuole poi molto. Basta un semplice gesto.


Allacciarsi le scarpe.


Prendi la moto. Fanc@lo al freddo. Arrivi al Parco. Ti prepari. Calzi le scarpe da running, le mie Saucony, che mi dicono sorridenti "Hei, ce ne hai messo di tempo!".
Le allacci, terminando con una secca stretta sull'ultimo nodo. Fai due respiri profondi, un altro ancora. Non è che respiri soltanto, assorbi, ti carichi e ti inebri di quell'aria che sa di passi leggeri sull'asfalto, di foglie macerate dal gelo e di traffico lontano. Guardi con occhi perduti, velati dalle lenti gialle, quel viale alberato. Sei di nuovo qui.
Un pò di stretching, poi la musica si accende nelle orecchie e vai. E parti. Piano, per carità. Lui ha detto piano, e piano vai, sei al chilometro, niente di meno. Non hai neanche il cardiofrequenzimetro, per come vai non serve. E il percorso riprende, nel punto esatto dove si era interrotto nel male di tre mesi fa. La corsa riprende il suo ritmo, ritorna in circolo, gira nel sangue. E fa il suo lavoro.
Il freddo è polare, fa quasi male al petto respirare ma l'effetto benefico e rigenerante non tarda ad arrivare. E piano piano ti si scioglie l'angoscia come sfuma il giaccio sul vetro della macchina.
E svolgi come i grani del rosario i problemi, le paturnie e le paure. E un passo via l'altro li guardi, obiettivamente. Te ne fai carico, non ti fai affondare sopraffare, ne valuti l'importanza, il reale peso ed in un attimo li superi.  Te li lasci alle spalle, uno per uno, come tutti quei passi di corsa che in poco tempo hai già macinato. Guardi la strada, ti senti bene, tonico, fisico, vivo. Ritrovi gli angoli di sempre, i colori, il vecchietto che sembra una tartaruga e che d'estate corre con il sacchetto del ricambio in mano - adesso ha una tuta per difendersi per il freddo, un berretto di lana - e che continua, indefesso, a velocità da bradipo a percorre il parco in senso inverso al mio. Ha lo sguardo che sembra anche lui che dica Fanc@lo alla vecchiaia, alla pensione e al ricovero, io non mollo. E immediatamente ti sembra più simpatico.
E scopri altre cose di te. Cose che magari già sapevi, che hai sempre saputo ma che ultimamente ti sei ben guardato dal vedere. Scopri che a volte hai paura. Hai paura di non farcela. Hai paura di cambiare, di crescere di invecchiare. Di non aver più le forze per fare tutto quello che ancora vuoi, e di cose ne vuoi ancora tante. Hai paura di perdere, di perdere quello che hai, le cose meravigliose che hai, che basta che ti guardi intorno e quante ne conti.
Quante ne hai di cose meravigliose, quante. In un attimo sono tutte lì, reali, davanti a te, tue.
I problemi sono stati portati via da un soffio di vento, non li vedi, o si sono solo nascosti dietro, forse. Ma di colpo non sembrano più così importanti.


Fanc@lo alla paura. Alla paura che è piccola, ora, minuscola, inerte. Stretta nel pugno che si muove al ritmo della corsa. Domani magari sarà più forte, ma non è che sia necessariamente un male così grande. C'è, fa parte di te, delle cose, della vita. Ma sai che hai fiato, gambe ed energie per correrle a fianco, a lungo, sfiancarla e sorpassarla, basta un allenamento costante e un pò di determinazione in più. Ed ottimismo sempre. Il bicchiere è tornato ed è pieno, colmo d'acqua fresca.
I venti minuti sono già finiti. Mi fermo, da bravo, come ho promesso. Stretching per defaticare ed altri venti minuti agli attrezzi. Risalgo in moto rigenerato, metto il casco su un sorriso che parte dal cuore che per un pò difficilmente mi lascerà.


Oggi infine ho visto un video che mi ha emozionato, e mi ha anche dato parecchio da pensare. Magari voi lo conoscete già, l'avrete visto in televisione, ne hanno parlato dappertutto han detto, ma io non ne sapevo niente, giuro. Ne ho sentito parlare confusamente l'altra mattina nella trasmissione di Marco Galli su 105, verso le sette. Parlavano di un certo Nick in un modo che mi ha incuriosito. Una rapida ricerca su internet ed ecco qua.


Un poco mi sono vergognato, lo confesso. Ragazzi, abbiamo così tanta energia, dentro di noi, ma così tanta da fermare il mondo.
E se vi capiterà una contrarietà, una nota sbagliata, stonata, fate come me: "Fanc@lo al problema!"
e basta poco per ritrovare il sorriso.
D&R

sabato 9 gennaio 2010

Un precursore


Questa ve la devo proprio raccontare, per farvi capire di che pasta, che animo sensibile era questo blogger qua, quando ancora non pagava neanche il biglietto del tram.


E, giuro, è tutto vero.


Sì, ero proprio piccolino, sui 4 anni penso, ma già con quell'inventiva che mi caratterizzava e quella voglia di smontare e scoprire ogni cosa che mi hamo portato in conseguenza a laurearmi ingegnere.
Smontavo tutto, lo faccio ancora, i pezzi del mio smarphone Asus son lì tutti in una scatola a dimostrarlo, guardandomi malissimo.
Ricordo che quando i miei genitori avevano la necessità di affidarci a qalcuno, i parenti interpellati si affrettavano subito ad aggiudicarsi le mie sorelle, facendomi assistere a delle scene del tipo "prendo le due bambine e ci metto su anche due biglietti del cinema per voi ma lui no, vi prego!". Insomma, con me, chi arrivava per ultimo, perdeva.
Mi sentivo un pò come deve sentirsi il bambino più brocco all'oratorio, quando si formano le squadre per la partita di calcio.

Ho scoperto la differenza tra corrente continua ed alternata prendendo un motorino (smontato dal meccanismo che dava la voce al Cicciobello) e infilando i due fili che la collegavano alla pila da 1.5 Volt direttamente nella presa dell'ingresso. Avevo sei anni ed il botto me lo ricordo ancora adesso. Avevo automobiline velocissime, che mentre viaggiavano oltretutto dicevano anche "mamma, mamma", o cantavano vezzose filastrocche. Le mie sorelle per contro, non erano per niente contente.

Quando poi, molti anni dopo, ho affrontato i primi rudimenti di quello che sarebbe poi diventato mestiere, al Corso di Elettrotecnica 1, ho sorriso come quando ti raccontano di un vecchio amico, ricordando quel botto: io con la corrente praticamente ci parlo. Ma ho divagato, come mi capita spesso. Torno all'episodio.


Ero impegnato nelllo studio dei fluidi, in quel periodo. Avevo entusiasticamente scoperto che le pentoline di mia sorella maggiore, quelle con i manici, incastrate nella tazza del water e con un sapiente dosaggio dello sciacquone, si mettevano a girare vorticosamente ed erano qualcosa di molto simile alle turbine delle centrali idroelettriche. Un precursore, un genio in pantaloncini corti e bretelle, direte voi.
Ed i miei genitori niente. Mio padre dava la colpa al berretto troppo stretto che, in qualche maniera aveva limitato l'afflusso del sangue al cervello. 
E pertanto i miei, che non capivano il mio fulgido genio, invece di appoggiarmi e di seguire le mie crescite mi osteggiavano, mi nascondevano i fiammiferi ad esempio, come quella volta che ho incendiato il materasso (il quinto, in ordine di: prima un divano, poi le tende, un parquet appena vetrificato e... ah, sì, un albero!!!)  ma non divago di nuovo, torno al racconto.


Allora, ero lì, bello e concentrato con matita e taccuino, con il mio esperimento in corso che avrebbe potuto portare a grandi scoperte ed ampliare la mia conoscenza tecnica, quando un veniale errore di valutazione sulla portata dei liquidi ha scaraventato la pentolina dentro lo scarico incastrandola a fondo con un sonoro "plop" e creando immediatamente il mio primo invaso artificiale, con notevole stupore da parte dello scienziato in erba e sgomento improvviso da parte di mia madre, fino a quel punto ignara, richiamata dalle urla di mia sorella che, in camera sua, si era trovata con i piedi improvvisamente a mollo e molte pentole in meno nella sua cucina giocattolo.


Mia madre accorre fulminea e strappa via con mio disappunto tutte le altre pentoline (avevo in programma tutta una serie di simulazioni scientifiche). Controlla il bagno allagato e si rende conto che la pentola è incastrata troppo a fondo. Non si perde d'animo, è mia madre, l'ho allevata bene, tenendola sempre in guardia. Riflette sul fatto che, con tre bambini da 0 a 6 anni, un bagno solo (inutilizzabile) ed il primo idraulico all'orizzonte magari il giorno successivo, non può attendere oltre e, da donna risoluta quanto è ancora adesso (due mesi fa mi ha chiesto di acquistarle una motosega, ma anche questa è un'altra storia...) si mette a smontare il water per liberarlo dall'intoppo. E lì commette un errore gravissimo: non mi immobilizza al radiatore con il nastro adesivo da idraulico, come nei film.
E così, mentre è lì che traffica, tra pinze, chiavi inglesi e guarnizioni, affannata e sbuffante a mollo nell'acqua si dimentica di me.


Di me, il genio del crimine in braghette che, privato del principale obiettivo mi ero subitamente dirottato, assetato, verso altre fonti del sapere.
Mi ero immerso nello studio degli sport, analizzando le possibili migliorie per portare una ventata di innovazione nei giochi Olimpici, per sostenere il povero barone De Coubertin.


E così quando mia madre sente un rumore di vetri rotti e si precipita in cucina, abbandonando un bagno inagibile ed allagato non capisce.
Non capisce, trovando me, mia sorella maggiore e un bottiglione frantumato che era pieno di olio proveniente dalle Cinque Terre.
Non comprende che, sul pavimento a piastrelle rivestito di un sottile velo untuoso, stavamo sperimentando una nuova disciplina artistica chiamata "pattinaggio su olio", che secondo il mio modesto parere si poteva effettuare ovunque, senza grossi impianti costosi e addirittura senza pattini, permettendo spericolate evoluzioni anche sulla schiena, come stavo infatti sperimentando. Non si rende conto dell'inventiva, della voglia di creare, non mi guarda come mi aspettavo con quello sguardo pieno di orgoglio e quella nuvoletta con su scritto "Questo è mio figlio": cioè sì, su quella nuvoletta forse c'era scritto quello, accompagnato comunque con tutta una serie di improperi e disegni improponibili, ma lo sguardo, quegli occhi, in quel momento esprimevano tutto tranne che orgoglio. Ma per fortuna (mia) non ha tempo, per me, come vorrebbe.


E così, ancora una volta, con il bagno smontato ed allagato da una parte, la cucina invasa dall'olio dall'altra e noi due unti da far paura non si perde d'animo, ci pulisce alla belle meglio, sparge della segatura per rimediare al danno e cerca di evitare che le due masse liquide si incontrino drammaticamente sul tappeto del salotto.


Ed in quel mentre le telefona mia nonna.
Chiama sofferente, la povera vecchia, chiedendo a mia madre di mollare tutto eraggiungerla, perchè è sola in casa ed è caduta, rompendosi una spalla.
Ma mia madre però, al limite della crisi isterica risponde che questa volta proprio non può.
Non può perchè che la casa è un incubo, c'è olio ovunque, noi due siamo sporchi da far schifo e il bagno è inagibile e dice a mia nonna, testuali parole: "E' tutta colpa sua (indicando me), che non so cosa abbia in testa, e se non lo ammazzo oggi, giuro, non lo ammazzo più".


Io, allora, animo sensibile e discretamente impressionato dalla possibilità di terminare precocemente la mia tenera esistenza, mi allontano silenziosamente. Esserino galante, ricordavo vagamente una frase della pubblicità che le donne si conquistano con un fiore. Entro in sala, sgocciolando olio dappertutto, sul tappeto, il parquet e i mobili. Mi dirigo verso una sanseveria alta più di me, orgoglio e vanto di mia madre che lei curava in modo maniacale. Mi avvicino. La abbraccio e la tiro su, sradicandola. Torno indietro, verso di lei ancora in piedi accanto al telefono a muro, lasciando una traccia di foglie, perdendo pezzi di terra nell'olio, e mi dirigo verso di lei, che si immobilizza a bocca aperta, quando mi vede arrivare, che mi avvicino e con la pianta ormai miseramente stritolata tra le braccia pronuncio la seguente frase:


"Mamma, facciamo pace".


Mia madre non mi ha ucciso, allora per fortuna (mia).
Nella lunga nostra vita sotto gli stessi tetti ha sicuramente le ho procurato numerosi altri moventi, ma la ragione vacillante e l'amore di mamma alla fine hanno sempre prevalso.
Di sicuro quando ho abbandonato la mia famiglia per crearmene una mia ha tirato un lungo sospiro di sollievo. Le malelingue sostengono che il giorno del mio matrimonio si sia avvicinata alla mia novella consorte sussurrandole "Ed ora sono tutti c...i tuoi".
Ogni tanto mi ricorda che se mi avesse fatto fuora quel giorno, a quest'oggi sarebbe uscita da tempo di prigione.


L'avesse fatto non si sarebbe divertita così tanto, comunque, ribatto sempre io.
Io, che l'ho addestrata proprio bene.


D&R