martedì 6 ottobre 2009

Ho venti giorni


Ho venti giorni di tempo per convincere il mio tendine a rigenerarsi, a guarire. Altrimenti non c'è storia.
Il medico è quello che segue Renè, in corsa da sempre. Abbiamo prenotato la visita lo stesso giorno. E ieri il viaggio fino al paesino sperduto dalle parti di Novara l'ho fatto, ancora una volta, insieme a lui. A parlar di stupidate, come sempre, mentre la mia auto percorreva l'autostrada troppo velocemente, come sempre anche quello. Lui comunque capiva, nascosta tra le pieghe stirate delle mie risate, la preoccupazione e, tra una scemata e l'altra, mi ci infilava dentro un "Vedrai comunque che te lo aggiusta, lui è uno bravo, e l'intervento cerca sempre di evitarlo". E così alla fine, quando sono entrato nella piccola sala d'attesa, con le foto appese al muro di tutti quegli atleti, tutti quei campioni che lo ringraziavano per i servizi resi, quasi quasi cominciavo a crederci, cercando di non dar peso a quello che invece sentivo io, e che diceva tutt'altro.
Nell'attesa che visitasse Renato ho potuto leggere un servizio su una rivista specializzata di running dedicato al vincitore dell'Elbaman, che ho potuto vedere da vicino. Lui, partendo alle 7 del mattino ha prima nuotato per 3.8 km, poi ha percorso 180 km in bici ed alla fine ha "passeggiato" per 42 km a (3h 19'!!!), arrivando primo alla fine, e neanche troppo sfinito.
Io, invece, mi sono tuffato in piscina e mi sono lesionato il tendine.
Non è che sia proprio giustogiustogiusto.
Il medico è un ex triatleta anche lui, occhiali e baffi ed aria severa. Penso che più o meno abbia la mia età. Alla parete dello piccolo studiolo una marea di attestati e riconoscimenti.
Ascolta la mia disavventura, mi chiede i miei tempi al chilometro e poi mi mette a pancia sotto sul lettino e inizia a visitarmi, torturandomi ferocemente.
Non ci mette molto. "Tu il tendine praticamente te lo sei giocato. Potevi romperlo con quel tuffo e ci sei arrivato a tanto così" mi dice brusco, continuando a schiacciare senza pietà. Io non mi lamento, ma stringo i denti.
Poi un paio di punture e mi fa sedere mentre comincia a scrivere una marea di cose e nel frattempo me le spiega, preciso e stringato. Non si dilunga, elenca le cose da fare.
Secondo lui non c'è alternativa all'intervento.
In pratica il processo degenerativo ha portato il tendine al lumicino. Non potrò mai più tentare uno scatto neanche per prendere un tram, pena la rottura. Posso forse evitare l'intervento e correre ancora, ma per saperlo adesso abbiamo una scommessa da provare a vincere, anche se non so quanto ne valga la pena.
Abbiamo venti giorni di tempo per rimetterlo in senso 'sto balordo.
Venti giorni di assenza assoluta dalle corse, vietatissime, e sono state il mio polmone degli ultimi mesi. Venti giorni di ghiaccio, 2 volte al giorno, di nuoto al posto della corsa, di medicine e stretching. Venti giorni di laserterapia, di scarpe da corsa anche sotto lo smoking e zoccoli da infermiere in casa, io che a casa mia adoro camminare a piedi nudi sul parquet che ho messo anche in cucina.
Tra venti giorni mi vuol rivedere e poi decideremo. Cioè lui deciderà e io gli dirò che sono d'accordo.
Decideremo se dovrò tornare di nuovo sotto i ferri, per poi ricominciare tutto da capo, ancora una volta. Stringere i denti e ripartire. Riperdere tutto e ricostruirlo pian piano, soffrire e sudare, dipendere da qualcuno per andare avanti ed indietro da casa allo studio e viceversa. Rivedere lo sguardo amorevolmente preoccupato di mia figlia, che, da quando è nata, di odore di ospedale ne ha respirato fin troppo.
Potessi ripararmi e rigenerarmi utilizzando la stessa energia che è quella che mi ha permesso di riprendere fili spezzati, e che conservo ancora per quello che succederà domani lo farei. So che posso farlo. Ma il tendine è uno stupido pezzo di tessuto, non ascolta, non capisce che cosa ho ancora intenzione di fare, non si rende conto che non bisogna tenere in conto gli anni che sono passati ed i chilometri percorsi e che bisogna tirarsi su le maniche e trovare una soluzione. Invece si consuma inesorabilmente. E di rotti e ricuciti ne porto dentro almeno un paio, lo so.
Mi giro e mi rigiro tra le dita la mia stilografica di turno. Ho messo via la Souveran e l'ho sostituita con una più leggera Omas 360 Blu Venice, con quella superficie quasi di velluto al tatto che però stavolta non mi da la consueta sensazione di appagamento.
Stanotte non ho praticamente dormito, rimanendo in una leggera coltre di confusione, pensando e ripensando a cosa fosse meglio e cosa no. Stamattina alle 6 sono sgusciato silenziosamente dal letto sotto lo sguardo interrogativo ed assonnato di mia moglie, ho dato due bacini a quel delizioso incavo sul collo della mia bimba senza svegliarla e me ne sono venuto via, silenzioso sulle mie scarpe da running sotto la giacca. Fuori dall'auto ho potuto assistere ad un'alba rosa carne, fredda ed assoluta, mentre le rasoiate prodotte dalla voce tagliente e ruvida di Bob Dylan mi giravano intorno.
E dai che ci riproviamo.

2 commenti:

  1. E tutto è bene quel che finisce bene (in un modo o nell'altro ;) ).

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  2. @Ifigenia: sì, anche se è finita in maniera diversa rispetto a quello che speravo.

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