venerdì 18 febbraio 2011

Il mare che mi porto dentro


Ci sono al massimo tre posti dove mi sento in maniera assoluta e confortante a casa. Nessuno di questi è dove vivo attualmente.
L'ultimo in ordine di apparizione è il mio studio, con grande disappunto della consorte, ma che volete farci, è mio, l'ho realizzato praticamente con le mie mani e ne conosco ogni goccia di colla a caldo che lo tiene insieme, è comprensibile.
L'altro è la casa in montagna, che sono quelle cime aguzze così vicine, dai vetri della finestra,  il giardino con gli abeti maestosi che sono cresciuti insieme a noi e la stanza dove è nata mia madre che adesso è diventata la sala. E' anche lo spazio che custodisce il mio più lontano ricordo di bambino: avevo tre, forse quattro anni ed il veterinario era venuto a porre fine alle sofferenze del vecchio pastore tedesco di mia nonna.
L'altra è qui. Non so se sapete dov'è, ma è, a detta di tanti, uno tra i luoghi più belli d'Italia. Per me è unico, ma per motivi esclusivamente miei. Qui hanno trascorso la loro vita insieme i miei nonni paterni, qui è nato mio padre e qui ho passato tutte le mie vacanze estive per quasi trent'anni. L'aria che ho respirato, che odora di mare e frittura, di grida del mercato del sabato e della risacca nella notte quando il mare sembra placido e sonnolento, quell'aria mi è entrata dentro ed ha lasciato tracce indelebili prima di uscire. Questo posto mi appartiene. O io a lui, è uguale.
E se chiudo gli occhi un istante mi sembra subito di sentire il tacchettare degli zoccoli che, scendendo rapide scale dai gradini diseguali, rimbalzano sui muri di carugi stretti e scrostati. Ed ecco subito dopo l'arco la fontana della Compagnia, dove andavamo a dissetarci da bambini dopo le estenuanti partite a calcetto sul piazzale assolato della chiesa, con il muretto, le panchine e gli oleandri profumati. Ritrovo nei miei pensieri mai dimenticati Tony e Fabrizio, i miei amici da adolescente, le loro case, le loro famiglie e le nostre risate intatte.
Ecco Musetta, la nostra barchetta, che dondola pigra sull'acqua di quel minuscolo porticciolo. L'avevamo portata giù legata sul tetto della Fulvia, in un viaggio epico. E la prima volta che l'abbiamo messa in acqua ci siamo saliti su in quindici ed è affondata subito, ed abbiamo perso il motore.
Questo posto sono tanti fotogrammi, tenuti legati insieme con l'elastico.
E' il caldo d'estate, torrido, che dopo pranzo ti obbligavano a riposare nell'attesa di poter uscire di nuovo, è la processione di persone in fila per recarsi al mare, ed i trecentoepassa gradini ad andare e quelli molto più lenti e pesanti a tornare indietro. E' la spiaggia della Fossola, di sassi lisci e tondi e di un'acqua così trasparente che nessun mare per me sarà mai così. E' la focaccia profumata, calda e salata che la mattina presto portava su lentamente mio nonno dal forno del paese e che stranamente andava a nozze con il dolce del caffelatte. E' la domenica alla messa e mia nonna che ci andava apposta in ritardo perché "Chi vuol esse ben guardata vada a messa cominciata" e poi le paste, enormi, a pranzo. E' la salita faticosa al Santuario, una volta all'anno, su per sentieri che si perdono tra i terrazzamenti dei vigneti. E' la frescura all'interno della chiesa e tutti gli ex voto dei marinai che mi affascinavano sempre, con quei quadri colorati raffiguranti navi bombardate che affondavano tra le fiamme e persone con le mani alzate e la madonna che sbucava da sopra una nuvola.
E' quella casa, vecchia e brutta e penso di non aver mai abitato in una casa più vecchia e più brutta e bellissima, con le persiane verdi con le bacchette per lasciarle scostate, con l'odore dell'origano che riempiva le stanze e i fili da stendere che cigolavano e mia nonna che prepara i ravioli sul tavolo imbiancato di farina.
Manco da lì da quando è mancato mio padre ed altri ci si sono insediati. Non ci sono più andato per rispetto, ma questa è una storia lunga e forse anche difficile da comprendere. Ma quel posto continua ad appartenermi, è parte di me, come un braccio o una gamba. Non l'ho perso. Semplicemente non posso farlo.
Ma ho l'assoluta convinzione che se, adesso, improvvisamente venissi catapultato in un punto qualsiasi del paese lo riconoscerei all'istante, da un lampione sbilenco o dal soffio del vento, senza dover voltare lo sguardo per orientarmi. Lo capirei probabilmente anche ad occhi chiusi. E mi ritroverei a casa. Rivedrei la cucina con l'acquaio in pietra, il pavimento in linoleum giallo e le vetrine con i bicchierini per i liquori, disposti ordinatamente in fila. Ritroverei un sorriso ripensando alla festa ed alle risate che c'era tra tutti quando si andava a prendere la farinata dalla Pia, così calda e croccante e ricorderei lo spavento di quella volta che mio padre era stato punto con una tracina andando a pesca e ce l'avevano riportato a casa più morto che vivo.

A quest'ora, adesso, dall'unica panchina della passeggiata della lissa, sotto all'albero contorto, il mare scuro che si è fuso nel cielo riempie completamente lo sguardo e c'è sicuramente quel silenzio di pace che è solo il rumore incessante delle onde. Le luci delle lampare all'orizzonte appaiono e scompaiono e quelle degli altri paesi, lontani sulla costa, sembrano cadere nel loro stesso riflesso tremolante. Preceduto dal solito scampanellio ogni tanto sbuca un treno dalla galleria ed il rumore dei vagoni che passano veloci improvvisamente riempie l'aria. Poi rimane indistinto il suono di ferro su ferro che piano si smorza e cade, insieme al turbinio di polvere ed a pezzi di carta che hanno volato impazziti per un minuto.

Ed ecco, sono veramente qui, appoggiato a quella ringhiera verniciata di azzurro di cui saggio la rugosità con la punta delle dita, che guardo il mare e ne respiro ancora una volta, forte, più forte ancora, l'odore.

martedì 15 febbraio 2011

Solo. Come (e con) un cane.

Ed inanello i giri uno dietro l'altro, al mio parco. Il fiato si fa più forte, non è più come all'inizio, quando la benzina durava così poco ed arrancavo subito dopo il primo chilometro. Adesso ho la percezione dei muscoli mentre spingono portando in avanti le gambe e, per la prima volta, ho la consapevolezza di stare correndo ancora una volta. E lentamente, il tempo per percorrere dieci chilometri, si srotola riducendosi. 
Ed ho corso anche oggi, che mi han detto che son "fuori come un geranio da balcone", che pioveva e faceva freddo, ma un freddo signori che neanche la mia maglia bionica stavolta poteva far più di tanto. Musica nelle orecchie a tenermi compagnia, è da un paio di settimane che alterno i miei brani all'ascolto di "In the Music" di Lucilla Agosti su RMC che incontra i miei attuali gusti.
Mi piace correre se piove, sempre, quando cadono quelle goccioline rade d'estate e le fronde degli alberi le raccolgono e ti proteggono, quando vien giù fittissima e pensosa come oggi o negli improvvisi piovaschi dei primi caldi. Mi piace, mi ci immergo, mi avvolgo e mi bagno di fuori e di dentro.
Oggi non c'era veramente nessuno, tranne due che andavano come missili e pochi sparuti altri che, per fortuna correvano più piano di me, in questo spiazzo di verde ed asfalto stranamente deserto, nessuno tranne un passante indistinto lontano nei lunghi rettilinei sotto gli alberi ancora spogli e grigi, nessuno tra le pozzanghere punteggiate di centinaia di cerchi e di coriandoli spiaccicati a macchie sull'asfalto.
Vuote le panchine, vuote le altalene ed i campetti di tennis. Non c'era il solito vecchietto che corre, curvo, tenendo stretto il suo sacchetto con il ricambio, che ogni volta che lo sorpasso lui cerca di accelerare il suo passo ed io rallento leggermente il mio. Più furbo di me, per oggi.
Non c'erano le foglie sbriciolate accumulate ai margini del vialone di ieri, assenti i primi profumi che hanno iniziato ad accompagnarmi da qualche giorno.
E non c'erano i miei nuovi tre amici, che in poco tempo siamo diventati abitudine l'uno per l'altro.

Perchè, da qualche giorno, ho tre amici nuovi

Il primo è un Lhasa Apso bianco e nero ed il secondo il suo padrone. Il Lasha Apso  dovrebbe essere un cane. Ma è un cane bonsai, uno strapuntino riccioluto, un soldo di cacio di cane tutto pelo e niente arrosto che puntualmente, ogni volta che gli passo accanto mi punta e risolutamente mi arriva addosso facendo il ferocissimo, tutto latrati e denti in bella mostra. Ora, io dei cani ho paura, ma a tutto c'è un limite. E 'sto Cugino di Campagna dei cani lo fa apposta, l'ho osservato bene, mettendomi in coda dietro agli altri runners, con loro niente, li lascia passare e non li considera, ma con me è diverso, mi scruta da lontano, inizialmente la prende larga, si gira annusando l'erba facendo finta di niente e poi appena sono a tiro parte alla carica. E percorrendo quotidianamente dieci chilometri sono almeno dieci volte che lo incrocio e che lui fa finta di addentare le mie caviglie. Perché fa finta, il topo. A pochi passi si ferma, altrimenti rischierebbe di venir calpestato e lo sa bene. E non serve deviare, lui mi aspetta. E se n'è accorto anche il suo padrone, che l'altro ieri l'ha portato al parco al guinzaglio. Ma quando l'ho visto legato, anche se sapevo che se ne sarebbe fregato comunque, ho pensato che non fosse poi così giusto. Era il suo svago, il suo modo di divertirsi, forse gli stavo antipatico o non gli piaceva il colore della mia tuta. E così non appena è partito alla riscossa, in un turbinio di pelo e abbaiate stridule, mi sono fermato, inginocchiandomi, e l'ho preso alla sprovvista, carezzandolo e chiedendogli il motivo di tanta rabbia, proponendogli invece di accompagnarmi per un giro e facendogli rispettosamente notare il divario di altezza tra noi due. Ed ho scoperto che quella pulce non aspettava altro che un minimo di considerazione, ed in un attimo è stato tutto uno scodinzolio e leccatine. Fine della guerra, ho pensato.
Ma non appena mi sono rialzato il botolo ha immediatamente riacceso le ostilità. Esasperando anche il padrone, un anziano pensionato, che si è scusato confessandomi di non poterci far niente e con il quale ho scambiato qualche chiacchiera. Ed abbiamo iniziato a salutarci giro dopo giro, giorno dopo giorno, ed è andata a finire che adesso, mentre il primo mi abbaia, il secondo mi osserva arrivare da lontano, mi sprona se mi vede stringere i denti e sorride quando interrompo l'allenamento per accarezzare le orecchie del suo animale. 

Il terzo è un bambino di colore, con gli occhialini tondi e i capelli tagliati cortissimi. In un tratto il parco fiancheggia una scuola materna. All'ora di pranzo, specie quando fa bel tempo, le maestre fanno uscire i bambini a giocare. E questi irrompono nel viale, contenti e gioiosi, a rincorrersi, a giocare a pallone e ai quattro cantoni. E se non fai attenzione cercando di prevederne le mosse rischi che te ne metti  qualcuno sotto le suole.
Beh, lui non gioca tanto insieme agli altri. E' più spesso in disparte, magari è nuovo, o è un pò come ero io alla sua età, spero non sia dovuto alla diversità del colore della pelle. E mi osserva passare, ci osserva passare, l'ho visto il suo sguardo stupito ogni volta, di ammirazione reverenziale quasi, per noi così grandi che corriamo ancora ad inseguire i nostri sogni. E così un giorno gli ho fatto un sorriso ed un cenno di provare a seguirmi e tanto è bastato. Per quei trenta-quaranta metri in cui s'incrociano lo spazio dedicato ai loro giochi e la mia corsa mi corre a fianco, cercando sempre di battermi. E il giro dopo lo vedo, eccolo lì che mi aspetta, da solo ma non è solo come l'avevo visto prima, è lì che mi attende e si prepara, e in quei dieci secondi si libera e corre e si impegna e non è più da solo, ma è il mio terzo nuovo amico che corre felice insieme a me.
Tranne questa volta. Involontariamente li ho cercati, anche se immaginavo di non trovarli. E mi son sentito più solo a non vederli, da sotto i capelli che grondavano di pioggia.
Un poco, ma un poco soltanto.

lunedì 14 febbraio 2011

Ed un Buon S.V. a...

A me, innanzitutto. A me ed al mio cuore, felice a volte, un pò matto ed un pò no, un pò disperato ed un pò no, a seconda di come spira il vento.
A me ed ai miei capelli lunghi che non faranno né ingegnere né quasi cinquantenne, ma li adoro e chissene.
Alle mie scarpe da running che mi hanno portato molto più lontano di quanto avessi mai osato sperare.
Alle mie stilografiche, ed alla bellezza di ogni particolare che le compone e che fa di ognuna di esse una piccola opera d'arte.
Alla mia necessità di scrivere in quelle volte che l'inchiostro sembra fluirmi direttamente dal di dentro.
Al mio lavoro, che la voglia di farlo bene e di cercare di migliorarmi sempre non mi passi mai.
Alla prossima volta in cui immergerò le dita nella magnesite, guardando in alto a cercare la via.
A chi respira.
Ai miei amori passati, puliti e veri, onesti e sfacciatamente bellissimi tutti, nessuno escluso e che, in fondo, passati non lo sono stati mai.
Ai miei amori di adesso, per le stesse identiche pulsanti motivazioni del punto precedente, oltre a qualcuna in più.
A cosa ancora potrà venire in futuro, se verrà. Quello che ho già avuto basta ed avanza.
A mia figlia, l'unico ed assoluto e bellissimo, totalmente disarmante nella sua completezza.
Alla mia consorte, per tutto quello che è stata in grado di darmi.
Ed a voi, gentili ed innamorati lettori di questo blog.

domenica 13 febbraio 2011

Limiti della tecnologia

Per farvi sorridere vi faccio parte di un divertente inconveniente capitatomi oggi.
Sono in studio, consegna urgente e figlia (11 anni) costretta al seguito ed obbligata a studiare il corpo umano per il compito di scienze di domani. Mi è costato un gelato, una mezza risma di fogli e rimettere in ordine matite pennarelli e colle sparse da tutte le parti. Lei si annoia, certo, ma io posso farci poco, devo lavorare e non posso darle retta più di tanto. Per farla stare tranquilla mi viene un'idea: la metto con le cuffie davanti ad un computer e su youtube le scelgo i filmati di "esplorando il corpo umano", così lei impara lo stesso ed io riesco a finire.

Me la dimentico e mi concentro sulle ottomila cose da fare.

Ad un certo punto, però, sento che mi chiede, seria: "Papà, cos'è la masturbazione?"

Attimo di panico ("ho scritto youtube o youporn????"). Mi giro di scatto per scoprire che qualche fine umorista ha inserito una puntata "clonata" nella serie, con le voci di quei malati dello Zoo di 105!
Ho passato mezza giornata sui libri di scienze, alla fine.
Ritornerò domattina all'alba, che è meglio.

sabato 12 febbraio 2011

Anema e GORE

Il più bello del parco era sicuramente chi vi scrive, oggi. Magari non proprio il più veloce, ma non andiamo a sindacare. E poi, lo stile, ce lo volete mettere o no?

Ma andiamo con ordine.
Ieri è venuta a trovarmi mia sorella maggiore - normalmente identificata con l'appellativo de "la pazza", giusto per distinguerla dall'altra ("la stronza"). In altri momenti la chiamo anche "la Guru", "la fondamentalista" o "AreKrisna", a seconda delle situazioni. L'altra invece, sempre "La stronza".
Non è normale, ve lo assicuro. La sua vita è stato tutto un susseguirsi di passioni estreme e contrapposte, dall'istruttore di sub all'eremitaggio. Tanto per fare un esempio tra mille,  a partire dall'età in cui si abbandonano le pappette  e per i successivi venti-venticinque anni nessuno in casa mia ha mai potuto assaporare il gusto delle cosce di pollo, che lei si è sempre allegramente divorata con prepotente diritto di primogenitura. 
Poi ha rinnegato il passato, e di colpo è diventata vegetariana. Convinta. Ed ogni sua cena a casa sua è un incubo, ve lo assicuro. Mortadelle di tofu, wurstel di seitan, pasta di alghe in salsa di soia tanto che mia figlia, subito dopo, mi obbliga a giurarle "maipiù" sul menù del primo Mc Donald's in cui ci rifugiamo per rifarci la bocca.
A complicar le cose, in seguito è anche entrata a far parte di una congregazione spirituale e lì ce la siamo definitivamente giocata. Per fortuna non sono fondamentalisti islamici, altrimenti non rimarrei sorpreso di vederla uscire la mattina presto con la sua bella cintura di esplosivo a tracolla.
Pensate che abbiamo a lungo sospettato che ogni appartenente a quella "setta" fosse esattamente come lei. Solo in seguito abbiamo saputo che loro, gli appartenenti alla setta medesimi, in fondo quasi normali, pensavano la stessa cosa di noi, cioè che quelli della nostra famiglia fossimo tutti esattamente come lei. Ambedue abbiamo tirato un respiro di sollievo.
Era lei l'anello debole, insomma. Mentalmente debolissimo, sottolineo.
Comunque il tema del post non era lei, mi scuso del deragliamento e proseguo.

E' venuta a trovarmi a qualche giorno di distanza dalla festa del suo cinquantesimo compleanno. Per la cronaca, vi dico solo che fortunatamente c'era anche cibo "normale", e così mi sono ingozzato di salatini, noccioline e... salatini (fine del cibo normale). C'era del vino "analcolico" (ho proposto il ripristino della pena di morte solo per il produttore) ed anche del cuscus "alternativo" fatto  sostituendo ogni componente che normalmente è nella ricetta del couscous tradizionale (mancavano difatti anche le "o") con Kombu, Dulse, Nori e via discorrendo.
Per la ricorrenza aveva anche diramato una "wishlist" in cui, tra occhiali senza lenti e letture tantriche compariva la richiesta per  una stilografica, quest'ultima esclusivamente di colore azzurro per non far sbarellare i suoi chakra già estremamente provati.
Compito mio, ovviamente.
Beh, questa l'ha veramente conquistata. Così, mentre la contemplava con gli occhi sbarrati, ho potuto svuotare il mio piatto di cuscus dietro la statua di Visnù intagliata nel Kamut. Ho divagato di nuovo, ma sapete, avrei materiale a sufficienza per dedicarle un post, da consegnare in seguito nelle mani di studiosi di antropologia criminale. 

Comunque, per farla breve :-) a qualche giorno di distanza si è presentata in studio. A nulla è servito dirle al citofono "Non compriamo niente" o "L'ingegnere non è in studio" pronunciato con la voce in falsetto. E' voluta entrare a tutti i costi, recando un voluminoso sacchetto con il marchio di un notissimo negozio specializzato in articoli per runners.

Un regalo per me, che da quaran..  cioè da quando son nato, festeggio il compleanno sempre il primo di gennaio. E' facile da ricordare, si segna da subito sull'agenda nuova dopo il disegnino delle trombette di capodanno. Ed invece no. Per sua stessa ammissione la mia ricorrenza è sempre stata messa in secondo piano, all'interno della mia famiglia. I miei festeggiamenti, da quando ho memoria, sono sempre iniziati con le frasi "Eh, scusa, è che subito dopo il Natale non è che siano rimasti tanti soldi, e poi siamo in montagna e qui non sappiamo cosa comprarti, che poi è anche tutto più caro, e poi abbiamo ancora il malditesta del doposbornia di Capodanno e tu che vorresti festeggiare sei anche un pò egoista", manco avessi io deciso di nascere proprio quel giorno perchè ammalato di protagonismo.
Questo ogni anno. Nessuno escluso.
Ho provato anche a dirgli "Organizzatevi", "Portatevi avanti con il lavoro poensandoci ad Ottobre", ma loro niente, ogni anno la stessa deludente (per me) storia. Ho ricevuto regali inutili ed immondi, e tra questi il più ignobile, il culmine delle robe orribili è rappresentato da una scatola in legno con coperchio, con su scritto "Ti parlano dietro", contenente quattro fagioli.
Non ridete.
Me l'aveva regalato mia sorella maggiore, ovviamente.
Beh, l'altro ieri la pazza ha avuto uno dei suoi rari momenti di lucidità. Ed è venuta a dirmi che è sinceramente pentita e si è ravveduta per tutte le ingiustizie inflitte. E conseguentemente ha svuotato un negozio a caso, per fortuna proprio uno di quelli che svaligerei volentieri anch'io.
Mi ha comprato, nell'ordine:
- Un  paio di calze da running Nike bellissime
- Un paio di calze da running Thorlo Experia incredibili
- Una maglia intimo per correre XBionic 3D Bionic Energizer che penso ce l'abbiamo io, Andrew Howe ed Oscar Pistorius. Tiene freddo quando fa caldo, tiene caldo se fa freddo, ti fa la pancia piatta ed i pettorali scolpiti e ti sussurra anche quanto sei bello mentre corri.
- Una tuta Gore per correre che è una F-I-G-A-T-A assoluta.

Mi ha lasciato, per la prima volta nella mia vita, quasi senza parole, che ho recuperato prontamente nel momento in cui, approfittando del mio momentaneo inebetimento ha provato a scassarmi gli zebedei con la sua missione di ricondurmi nel mondo dell'anima originale, mondo dal quale è caduta, in un lontano passato, una parte dell'onda di vita umana (giuro che è vera).
Mi ha definito "pragmatico" ed ha detto che mi vuole bene.

L'ho cacciata dallo studio con il sorriso sulle labbra.
E sorrideva anche lei, sicuro.

martedì 1 febbraio 2011

La neve a febbraio (quasi)

E' un regalo a sorpresa. Scartandolo ritrovi l'incanto di sempre, immutato nel tempo, lo vedi dai primi fiocchi titubanti, ricordi bene come facevi da piccolo, adesso che a volte ti senti padre e piccolo ancora nello stesso tempo, con quella mano calda nella mano e quel cuore addosso al cuore, quel sorriso vicino e quella voce che è tua e che mai nessuna voce sarà così, per te. Ti fermi e non pensi, non sai, ti perdi sospeso nel tempo rallentato che vede discendere i fiocchi, osservi dai vetri guardando verso la luce dei lampioni, per veder meglio se aumenta, per esser sicuri che non smetta, che non smetta mai, che ne faccia due metri, due nasi schiacciati contro alla finestra gelata ad appannare il vetro ed a disegnare cuori e chiavi di violino, ascoltando insieme il rumore del silenzio che fa.
E' uscire di nascosto, alle undici di sera, shhhh! dai, ridi piano che nessuno deve sentire che siamo scappati di casa, un padre ed una figlia insieme, due cuori matti così vicini che si toccano tra i fiocchi che scivolano. E' la bellezza avvolgente di una passeggiata nel mondo che tace, nessuno per strada, neanche il rumore del traffico lontano sulla statale, che così anche bucodiculoplace ammantato nell'incanto sembra quasi un paese di Dickens, con gli alberi carichi, le piazze coperte ed i campanili che svettano nella luce gialla e nello sfarfallio dei fiocchi illuminati che così sembran tanti di più. E' tenersi per mano e tirare fuori la lingua guardando verso l'alto, a vedere quella moltitudine di briciole che sbucano dal niente blu scuro della notte e roteando ti arrivano addosso, guarda quel fiocco che grosso, lo prendo io. E' sentire quel rumore che solo la neve fa quando  i passi compattano quella già caduta, è osservare le strade candide ed ondulate di marciapiedi e tombini dove non è ancora passato nessuno ed inventarsi le orme più bizzarre, di elefanti ubriachi, pantere e piedi nudi dello Yeti. E' camminare tenendosi sempre per mano e ridere ridere ridere, che le risate rimbalzano sul manto sul silenzio e sul candore di mille brillanti riflessi delle luci, e così sono più cristalline e più belle anche le risate della tua bimba, è il fiato di fumo che esce ma non senti freddo, tu d'altro canto mai, mai, ma neanche la tua piccina, lo credo bene, che lei prima di uscire si è messa duemagliequattromaglioniduegiubbottielagiaccaaventodisuamadre ed il berrettone con il pompon e le sciarpe con i pompon, che così imbaccuccata sembra l'omino Michelin che ride, che cade e rotola e ride.
E' fare la gara a scivoloni, giù per la discesa, a prender la rincorsa e vedere chi rimane in equilibrio più a lungo, e giocare poi a palle di neve e gelarsi le dita  e ridere ancora, nascosti dietro agli alberi, a cercar di colpire il ramo carico sopra la testa, in questa notte che notte non è, con un chiarore che si riflette sui fiocchi e sul bianco e si amplifica e si espande.
E' fare il pupazzo di neve più grande del paese, cominciando facendo rotolare una palla e finendo spingendo faticosamente un cilindro che in due non si riesce quasi più a girare, è cercare i due rami per le braccia ed essersi ricordati di sgraffignare dal frigo una carota per il naso e due olive per gli occhi. Sono i tuoi capelli più lunghi che mai e più ricci, così bagnati dalla neve, che coprono gli occhi che non si sono ancora saziati, nonostante gli anni passati a vederne, di nevicate così, di meraviglie così.
E' tornare a casa felici e bagnati, bagnati fradici con le mani gelide intrecciate e ridere ancora piano, chiusi in bagno ad asciugarci a vicenda, in due sotto lo stesso cappuccio dell'accappatoio.
E' vedere addormentarsi tua figlia, che scivola nel sonno dicendo speriamo che non smetta stanotte, papà, con un sorriso sereno che è così bello e che, come la neve che cade, non ti stancherai mai di guardare. 
Speriamo che non smetta mai, bimba mia.