martedì 25 giugno 2019

Ricomincio da me

Le persone crescono, si avvicendano le fasi della luna, i rapporti si evolvono, a volte inspiegabilmente esplodono in mille fuochi d'artificio oppure si deteriorano e consumano senza particolari colpe, gli obiettivi nel tempo subiscono modifiche, gli sguardi si spostano oltre, i percorsi variano, strade incrociano altre strade, traguardi a lungo sognati si allontanano, capita che perdano improvvisamente di significato. 
Io stesso, nonostante mi veda sempre uguale ma so che non è così, muto sottopelle, cambio orizzonti e carattere, rivedo le mie priorità, mi piego ma non mi spezzo al variare del vento che, alle volte, cerca di travolgermi, strapparmi dalle mie radici, se mai ne ho avute.

E’ un momento non facile. La vita facile non la è mai, schiacciasassi senza pedale del freno, e non puoi rallentarne il corso per valutarne cause e conseguenze, con te o senza di te va prosegue inesorabilmente avanti, mi domando se ci sia qualcuno che possa pensarla diversamente. Il lavoro mi dà soddisfazioni anche se mi prende tutto, mano gigante che stritola le mie risorse, monopolizza la quasi totalità delle mie energie, i giorni si susseguono ad altri, le settimane si snocciolano una via l’altra senza sosta, ne inizio una nuova con la strana consapevolezza di averla già terminata ancor prima di partire ed anche il sabato, che un tempo serviva per smaltire gli eccessi e metter giù un qualche post da tranquillo, adesso è diventato una costante che mi prende fino a tarda sera. La domenica mi costringo ad andare a correre e fortunatamente, anche se controvoglia, mi do sempre ascolto. E mi fa bene, quell'ora di asfalto pestato e musica nelle orecchie a liberarmi la mente ed il cuore allontana la rabbia, quella cattiva e definitiva dalle vene, che si distilla nelle gocce di sudore, si dissolve nel fiato e me la lascio alle spalle, quasi disintossicato, liberato da una sorta di veleno maligno. Posso dire che, soprattutto grazie a quest'ora di fatica e feroce ostinazione la mia fedina penale non riporta, ad oggi, alcun tentato omicidio.
Ho cambiato il modo di vedere le cose ed il mio conseguente modo di agire. Mi son fatto crescere la barba e mi son comprato un paio di scarpe nuove, di discreta figaggine. E' un sacco di tempo che non pensavo per primo a me. Anzi che non pensavo a me e basta.

Ho fatto un profondo esame di coscienza ed ho deciso che basta. Basta con quello che non va, che non mi piace o che non si può. Ho rielaborato le priorità, mettendomi risolutamente al primo posto, sopra tutto e tutti, un po' di fottuto egoismo dopo anni ed anni a preoccuparmi sempre prima degli altri ci sta. Ho allontanato con un gesto della mano la “gente”, gli inutili, gli approfittatori, i questuanti, i succhiatori di energie, i maestri del lamento. Ho eliminato dal mio intorno i bugiardi e quelli delle mezze verità, che sono ancora peggio, chi prende sempre senza pensare a voler ricambiare non certo per ristabilire un equilibrio ma perché ti va di farlo. Ho rimosso chi si sente superiore, chi il bene te lo concede un tanto al chilo, chi vuol far comunella per recare danno ad un terzo, chi vuol esserti forzatamente amico unicamente per i propri scopi. L'ho fatto con una semplicità disarmante senza preoccuparmi delle conseguenze, l'ho fatto senza distinzione di sesso, età, parentela, amicizie datate o meno, voilà, una rapida passata di scopa a liberare i cocci e via nell'indifferenziata della mia esistenza. Ho allontanato il fastidio di chi non si preoccupa di cosa pensi, di quelli a cui non manchi, chi prende senza chiedere, chi puntualmente arriva solo nel momento del proprio bisogno e dopo aver preso scompare. Ho smesso di cercare attenzioni ed accomodamenti, di ragionare con gli imbecilli, quelli dei “perché sì” e degli “si è sempre fatto così”, un persona dotata di intelligenza e saggezza una volta mi ha detto che discutere con questi non serve e che, da fuori, non si riesce a comprendere chi sia l’imbecille dei due.

Ho smesso con le frasi accomodanti, con le parole di convenienza e quelle di circostanza. Ho rinunciato a tentare un dialogo con chi parte dal presupposto di avere la ragione assoluta in tasca, con quelli che se non ti va bene così va bene uguale, con quelli dell'ho deciso che facciamo, con i fondamentalisti e con le persone sterili, inutili figure senza spessore, che ti vagano intorno come le ombre della città incantata di Miyazaki.
Mi sono imposto di dire quello che penso, sempre ed al di sopra di ogni pseudo convenienza di ritorno che ti vorrebbe zitto ed accondiscendente, un po’ come l’orientale della pubblicità, che sovrappensiero dice “Idiozie!” al capo vestito di bianco, ma senza l’alito rinfrescato alla menta dal magico chewingum.

Ho sfrondato tanto ma ho la sensazione di aver perso poco, l’ho fatto per una mera questione di sopravvivenza, ho tagliato basso, quasi rasoterra, non mi sono permesso di andare per il sottile. Ed ho fatto dei sacrifici che, probabilmente, andavano fatti e qualche danno, mi si scuserà. Ho smesso di essere presente dove probabilmente lo ero troppo, e se da un lato questo poteva sembrare una cosa buona, per tanti versi non lo era più, la sensazione che quello non fosse il mio posto era sempre più pressante. Il bene, quello vero e forte, a volte presenta strade contorte.
Diversamente dal mio carattere L’ho fatto senza arrivare alla misura colma e pertanto senza urli o strepiti. Non ci sono state prese di posizione, grida o parole rabbiose che in passato mi hanno contraddistinto. Ci sono state porte chiuse definitivamente senza doverle necessariamente sbattere, telefonate che non meritavano risposta, una semplice, irresistibile e precisa voglia di girare le spalle ed uscire di scena a cui ho dato ascolto. E quando ti allontani da qualcosa, che sia un posto, una persona o una situazione e stai bene nel compiere quel gesto, quando non ti ostini a rimanere, a tentare di sanare ciò che sanabile non è, vuoi per codardia o rassegnazione, scopri che fai tanto bene perlomeno a te stesso.

Ho semplicemente modificato i miei percorsi, riesumando le mie sfide più antiche, le ho tirate fuori come le bocce con la neve dentro, dalla scatola su in soffitta e le ho riposte in bell'ordine, sulla mensola grande, quella che riceve quella luce speciale di traverso al calar del sole che le fa splendere di luce dorata. E mi sono “bastato” nuovamente, non ho più concesso a nessuno di stare al centro del mio mondo e delle mie attenzioni senza il mio permesso.

“Alla via così”, direbbero quelli che sanno andar di vela, assecondando il vento, cercando dove spira più forte, inseguendo le nuvole e l'orizzonte.

Ricomincio da me.
[On air: Negramaro: Basta così]              

mercoledì 19 giugno 2019

Notte prima degli esami

[Quando l'ultimo giorno di scuola dell'ultimo anno di liceo suona la campanella dell'ultima ora, tu sei convinto che quello sia l'ultimo secondo della tua adolescenza. Senti il bisogno di sottolineare l'evento con una frase storica, tipo: "Che la forza sia con noi!" oppure "Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo!".]

Di quel mio tempo di allora ricordo il caldo di una Torino assolata che scorreva dietro i finestrini del 13 non stracolmo come di solito e la tortura del busto per la schiena. E quel senso di cambiamento imminente. E Paola, che riempiva i miei pensieri ed i miei fogli, di parole a voce allora non ne usavo un granché. Abitava in collina, suo padre era medico, non l'ho più vista da allora. Il mio Liceo, il "Volta", era a due passi da piazza Statuto. Non ero particolarmente estroverso, non avevo amicizie forti e inossidabili, di quelle che pensi ti legheranno a qualcuno per tutta la vita, scrivevo molto e disegnavo altrettanto, bianco e nero quasi sempre. Il mio mondo era poco più ampio della mia camera con il tavolo laccato bianco, ribaltabile, che richiudevo la sera per fare spazio. Lo usavo come un gigantesco foglio di appunti e schizzi e cose che poi con regolarità irritante mia madre resettava con un'energica passata di acqua calda e Vim. Solo il ritratto di Lucio Dalla con il basco ed un Herbert Von Karajan con la bacchetta in punta di dita erano stati graziati dalla smania pulitrice della genitrice e resistevano nel tempo. 
Alle radio spopolava Enola Gay degli OMD, io ricordo soprattutto "Futura" e "la sera dei miracoli" di quel Dalla unico, che ascoltavo con la mente sospesa, ancora e ancora. La mia strada era ancora tutta da scrivere, la mia voglia di studiare completamente assente, il mio voler crescere era bruciante ma al contempo non ero così sicuro di esserne capace, i miei affetti confortanti erano tutti lì presenti, la mia vita era la mia famiglia, la mia casa in montagna, la certezza del consueto ritorno al mio mare come ogni estate, quando poi finalmente ritrovavi il profumo della focaccia nei carugi, le pietre calde la sera e il tramonto che si spegne sull'orizzonte.
E' cambiato tutto. Il mio mare, anche se mi è rimasto cucito addosso non mi appartiene più da anni, nella casa in montagna non riesco ad andarci senza trovarmi invischiato dalla sensazione di essere fuori posto, i miei affetti di allora sono svaniti, i ricordi felici corrosi, ho quella sensazione di non appartenere a nessun posto, a nessuno.
I miei diciott'anni di allora, la freschezza di quei momenti sembrano dietro l'angolo ed insieme lontanissimi, sono forse ancora lo stesso ragazzo schivo dallo sguardo diffidente ed una corazza più rigida delle stecche del busto che sopportavo. E mi domando se questo mio stare abbia mai avuto uno scopo.

Poi però osservo te, e inevitabilmente sorrido. 
Guardo te che rispetto a quel me di allora sei così tanto diversa, anche se dicono tutti che hai gli stessi miei occhi scuri, di sicuro ogni tanto hai i miei silenzi. Guardo te e provo a sovrapporre cosa sei tu e cosa ero io alla tua età. Ed è inutile dire che vinci a mani basse.
Sei decisa, sicura e bellissima nella tua giovinezza splendente, hai le idee chiare di come sarà la tua strada, hai entusiasmo e volontà e carattere e i tuoi peluches nel letto, hai quello sguardo altero ed un po' selvatico che ti rende incredibile ai miei occhi, sei padrona del tuo tempo e cosciente di esserlo, ci credo che "quello" ti guarda sempre con quello sguardo che è un misto di adorazione esagerata e soggezione. 

Ci intendiamo ancora, a volte abbiamo bisogno di uscire a camminare in silenzio allo stesso modo, come l'altro ieri sera, insieme senza parlare, sapendo di esserci vicini reciprocamente. Hai una smania di crescere, di affrontare sfide, di prendere il mondo tra le tue mani che un po' ti invidio, se confrontata come ero io alla tua età.  

E in questa notte, che fa caldo e fatichiamo a prendere sonno, che io se tu sei sveglia è difficile che mi addormenti, che ti sento nel tuo letto che armeggi ancora con il cellulare cercando suggerimenti su cosa scriverai domani mattina, mentre la gatta fa la matta come suo solito e zampetta da una stanza all'altra cercando di prenderci i piedi ti dico solo che ti voglio un bene forte e saldo come in nodi che abbiamo imparato andando per mare e che sono orgoglioso di te, di quello che sei, forse non te l'ho mai detto, ma lo sono tanto.
E' questo il tuo tempo, prendilo, usalo a mani basse, vivi, corri sotto la pioggia, ridi, piangi qualche volta, vai ai concerti, balla, abbraccia, emozionati a vedere un arcobaleno, sorprenditi, sii sempre affamata della vita, di quello che puoi trovare dietro l'angolo. Vivi senza timore, con consapevolezza, vivi senza risparmiarti, senza pensare di non essere abbastanza, non ti porre limiti, mai. 

Domani inizierà la tua maturità, quei giorni matti a studiare tutto di tutto e oddio non ce la farò mai e fammelo ripetere ancora una volta e papino puoi stamparmi questo prima di uscire dallo studio. E vorrei dirti solo di stare tranquilla domani ed i giorni a venire, in fondo è un banalissimo passaggio obbligato, ci siamo passati tutti. Gli esami, quelli veri sono altri, le responsabilità, quelle serie, arriveranno man mano, l'ho imparato su di me e posso solo dirti che ho piena fiducia in te, saprai affrontare tutto con calma e responsabilità.

Passeranno questi giorni, arriverà l'estate liberatrice, nuovi mari in cui tuffarti, hai già programmato la tua vacanza in Croazia con i tuoi amici, ci sarà pure quello, tu non vedi l'ora, mentre io sono combattuto tra la voglia di tenerti vicina e la felicità nel vederti felice. 
E anche se adesso fatichi a prendere sonno posso solo assicurarti che questi saranno giorni che ricorderai per tutta la vita. E ti auguro che, di giorni da ricordare per tutta la vita, questo tuo incredibile futuro tutto da scrivere te ne possa riservare tanti, tantissimi altri.


E buonanotte prima degli esami, 
piccola mia.
[On Air: Notte prima degli esami]                



lunedì 20 maggio 2019

Fiocco rosa in casa D&R

Non vi preoccupate, che da "quel" punto di vista non c'è problema.

Da quel triste giorno cha ha visto Tabata (felina dai modi aristocratici che governava sul suo popolo di umani (noi) con regale condiscendenza) lasciarci dopo quattordici lunghi anni di regnanza e presenza sempre molto discreta, ci è stata restituita una casa inaspettatamente vuota e silenziosa. E quando, a distanza di qualche settimana, ritrovavi un ciuffetto di peli bianchi intrappolato dietro il comodino, te lo tenevi pensieroso tra le dita solo per un attimo. 
La consorte ne aveva approfittato immediatamente per dire "a posto così". Perché Tabata è stata unica e non la si rimpiazza, però siamo obiettivi, avevamo pelo ovunque e così adesso siamo anche liberi per le vacanze e non dobbiamo sempre discutere su a chi tocchi pulire la lettiera. Quindi, almeno per il momento, di altri gatti guai se ne parliamo.
Sì, come no. 
La mia Ciccia ed io, ovviamente eravamo di parere opposto. Anche se lei è un donnino oramai, prossima maturanda, innamorata, autonoma, patentemunita, decisa e determinata, che ha sempre meno tempo per il sottoscritto, e magari non ha più tempo neppure per un nuovo animale in casa. "Prima non ero mai sola però - mi ha detto un giorno - quando studiavo mi giravo e lei era lì, vicino a me, che sonnecchiava tranquilla. Adesso non più".
Un animale, anzi un componente della propria famiglia, che ha visto crescere tua figlia e che è cresciuto con lei, che è stato suo compagno di giochi da piccina, che l'ha assecondata mille volte mettendosi in fila insieme ai pari razza di peluche, non si rimpiazza, non si può. Non si sostituisce un affetto, non si fa come il cambio armadi ad inizio stagione. 
Si cerca però, forse, almeno si spera, di colmare quel vuoto fatto dall'assenza dello strofinio sulle gambe la mattina mentre mi facevo la barba, quella sottile, discreta mancanza che trovi nell'angolo vuoto dove c'era la sua ciotola, nella sua poltrona preferita che non ha la sua impronta.  
E così, quasi per caso, nell'incerto girovagare dei successivi finesettimana, si finiva per transitare casualmente in bucolici paesini ove (e qui bisogna fare anche l'espressione stupita) - oh.. ma che combinazione!! - si teneva guardacaso proprio un'esposizione felina, un raduno di patiti dei gatti, un fiera itinerante del miagolio. 
In quelle occasioni, anche la consorte, pur se inizialmente contrariata, quando pensava di non essere osservata si soffermava, pensosa, a fare un grattino sotto al mento di un cucciolo sonnecchiante a caso, o a parlare con un allevatrice, e quando rievocava la nostra "gatta di casa", lo faceva immancabilmente con gli occhi lucidi. 
Lo so bene che gli animali si adottano e non si comprano, che nei gattili ci sono frotte di pelosini meravigliosi in grado di dispensare fusa a raffica, che cercano una sistemazione ed un divano comodo su cui sonnecchiare ed affilarci le unghie sui bordi. Nelle esposizioni sembra più un supermercato, ma le razze sono tante e diversissime e poi cercavamo nel mucchio di zampe e musini e code in movimento, quello che ti facesse fermare imbambolato di fronte alla gabbietta, come era capitato anni fa con Tabata. Nei nostri giri sia il sottoscritto sia la mia Ciccia eravamo rimasti colpiti da un batuffolo di un bel pelo grigioazzurro, il muso tondo e l'espressione imbronciata, che si era arreso subito alle sue coccole. La proprietaria ci aveva parlato a lungo delle caratteristiche della razza - Scottish Straight - e ci aveva detto che era in arrivo una cucciolata. I prezzi non erano proibitivi e poi, considerato che dal lieto evento devono passare almeno tre mesi per lo svezzamento, c'era almeno all'apparenza un sacco di tempo. Anche la consorte sembrava tranquilla.
Inaspettatamente però, pochi giorni dopo dall'ultimo tour gattofilo, proprio alla consorte arriva da parte della veterinaria che aveva avuto in cura Tabata la foto di un cucciolo piccolo, tigrato, dall'espressione timida e smarrita ed un paio di splendidi occhioni. Me la gira con la scritta "sta cercando casa ed affetto. Andiamo a vederlo?" "Andiamo sì, ma senza impegno, che con la proprietaria dell'allevamento siamo quasi in parola", le rispondo.
E così, qualche giorno dopo, partiamo alla volta di un paesino vicino, ma, come abbiamo ribadito più volte, "senza impegno, siamo venuti solo a vedere e basta". Qualcuno aveva fatto scivolare nel baule dell'auto un trasportino, chissà poi per quale motivo, tanto andiamo lì "senza impegno", pensavo io.
Arriviamo dalla veterinaria, in sala d'aspetto c'è una signora con in braccio il cucciolo. E' proprio carino, piccino, con lo sguardo timoroso, delle belle zampotte con i gommini neri ed una coda lunga. La signora ci spiega che abita in un condominio in cui si è stabilita una gatta randagia e a turno se ne occupano un po' tutti. Con l'ultima cucciolata ha avuto due gattini, lei ne ha preso uno, ma la convivenza in casa con il suo cane si è dimostrata difficile da subito, non può tenerla. Ci spiega che è un gatto "molto docile ed affettuoso, particolarmente tranquillo". 
Mia figlia se lo prende in braccio, lo sguardo le si apre in un largo sorriso di felicità mentre gli dispensa un po' di grattini ed il micio accoccolato bello comodo ricambia con un sommesso ronron di ringraziamento. La consorte mi guarda e nello sguardo incerto  leggo chiaramente "e adesso cosa facciamo?"
"Vado in macchina a prendere il trasportino, che ce lo portiamo a casa", le dico.
E così, in barba a tutti i propositi del senza impegno, ripetuti all'andata, al ritorno siamo nuovamente gattonmuniti. 
"Dobbiamo trovarle un nome", dico guidando, e nella mezz'ora successiva ne escono i più disparati, Zlatan, Thor ed Ironman, proposti da me vengono bocciati senza appello. "Minou, Matisse e Pallina (dalla consorte) vengono giudicati troppo scontati, e proseguiamo senza trovarne uno che piaccia a tutti e tre.
"Lo chiameremo Yuma", dice ad un certo punto mia figlia. Prova a chiamarla con quel nome e per tutta risposta il cucciolo (anzi la cucciola) decide di fare un po' di pipì nel trasportino, in segno palese  di approvazione. "Visto, piace anche a lei", ribatte la Ciccia. 
E così Yuma fu. 
E, sia chiaro, siamo andati solo a vedere, ma senza impegno.
Fatta una rapida capatina a svuotare il primo negozio di animali dove compriamo di tutto, pappe di tutte le marche, lettiere, giochini, una serie di ciotoline di varie forme e misure, arrivati a casa lasciamo libera Yuma di appropriarsi dei suoi spazi, di curiosare, annusare, muoversi. La cucciola sembra avere una particolare propensione agli spazi chiusi e così passerò la restante parte del fine settimana a togliere lo zoccolino dei mobili della cucina per farla uscire da sotto il frigo.
Il lunedì, del cucciolo  "molto docile ed affettuoso, particolarmente tranquillo" è rimasto ben poco. In cambio ci siamo trovati con un diavolo della Tasmania in versione bonsai, un esserino che ti fa gli agguati da dietro il divano cercando di acchiapparti il naso, che si arrampica sulle tende e sulla zanzariera ma che poi miagola perché non riesce a scendere, che quando le prepari la ciotola se non ti dai una mossa ti si arrampica addosso per arrivare al ripiano della cucina, lasciandoti lungo il corpo due fila di stimmate che Padre Pio lévati. Le orchidee (vanto della consorte), colpevoli di averla provocata ostinandosi a rimanere sullo stesso davanzale su cui lei si mette per osservare fuori, si sono suicidate buttandosi di sotto, soccombendo miseramente. Quel due soldi di cacio si è dimostrato una testa dura di primo livello, che se ha una cosa in mente non gliela levi manco a morire. La prima volta che l'ho vista cercare di prendere una mosca al volo, piccola com'era, ho riso. Due minuti dopo però, tutti i portafotografie presenti nella stanza non erano più in piedi e la mosca era stata catturata. 
E poi, come estrema manifestazione di affetto, morde, mordicchia in continuazione, ti prende la mano e cerca lo spazio morbido tra pollice ed indice, o il polso e lì si affanna, fino a quando sei costretto a prenderla per la collottola. La scorsa settimana, una persona, guardandomi le mani piene di graffi ha osservato "non sapevo che anche tu tagliassi così tanta legna". 
E così, abbiamo di nuovo un gatto, anzi (pardon) una gatta. 
Ma, nonostante non fossimo preparati a questo uragano in miniatura, nonostante il silenzio e l'ordine siano stati alla fine di breve durata, l'adoriamo. L'adoriamo quando si addormenta raggomitolata abbracciando al collo la Ciccia mentre quest'ultima guarda la televisione, l'adoriamo quando si fa spazio sotto le coperte per andare a dormire come ogni sera al suo fianco, l'adoriamo anche quando trova un cassetto del comodino socchiuso e la mattina trovi tutte ma proprio tutte le calze tirate fuori.  
Un animale non si rimpiazza, un amore non si sostituisce, il ricordo di Tabata rimarrà con noi per sempre come è giusto che sia. Ma nel cuore trovi sempre uno spazio intatto, un pezzettino a disposizione, e quello, da adesso in poi, è tutto suo, senza riserve.



Benvenuta, Yuma


giovedì 25 aprile 2019

Ancora no

Aprile 2017. 


Ne ho parlato già qui. Ogni tanto, un paio di volte all'anno, devo lavorare di dita, muscoli, gambe e scarpette su minuscoli appigli. Alle palestre di arrampicata corre l'obbligo della verifica annuale per poter essere utilizzate ed il sottoscritto ha l'onere, oltre che il privilegio, del collaudo di due di queste, collocate all'interno di altrettanti istituti scolastici torinesi.
All'inizio era facile, quando eri giovane di sguardo nascosto tra i capelli sempre troppo lunghi, quando i muscoli erano fasci guizzanti ed elastici inesauribili di energie, quando gli anni non gravavano sulle dita ammorsate sugli appigli, quando la spensieratezza unita a briciole di incoscienza tintinnavano pigre sui rinvii. 
Poi, con il passar del tempo, è passata molta dell'incoscienza. Sono cominciati gli sbuffi, i denti serrati, la fatica dolorosa, tutto questo dovuto sì all'avanzare dell'età, ma principalmente alla mancanza di abitudine ad addormentarsi su una branda da rifugio il sabato sera, con una manciata di stelle luminosissime che scintillano nel buio gelido delle montagne e ti scrutano attraverso una qualche finestrella in legno. 
E' comunque ancora dannatamente bello, a cinquanta e passa anni suonati, nonostante la fatica sia ogni anno crescente, ritrovarsi alla fine del lavoro, seduto per terra di fianco alla corda arrotolata, spossato e sporco di sudore e magnesite, a massaggiarsi le articolazioni doloranti nessuna esclusa. 
L'anno scorso mi sono trovato senza compagno a farmi sicurezza. Solitamente mi faccio accompagnare da un ragazzo di studio a cui insegno le quattro manovre fondamentali per farmi sicurezza e calarmi e poi al resto ci penso da me. Arrampico, mi metto in sicurezza una volta in cima, verifico lo stato dei punti di ancoraggio, poi mi sposto di lato, di via in via fino a scendere dall'ultima di queste, appeso, con le braccia da cui hai spremuto ogni briciolo di forza possibile. Questa volta non ho un collaboratore disponibile, ne avrei sì uno, ma pesa la metà di me e per una mera questione di fisica, il mio farmi calare vedrebbe lui salire a razzo verso l'alto ed il sottoscritto filare giù a terra con effetti infausti. 
Telefono a Renè, il quale, reduce da un ultimo intervento al tendine d'Achille non può assolutamente arrampicare, ma farmi sicurezza quello sì, senza problemi. Si regala un giorno di permesso, tanto lì dove lavora può far praticamente cosa vuole. Ed andiamo, felici e spensierati, un giorno lontano da tutti a fare un po' i matti, cosa che ci riesce ancora abbastanza benino. 

sabato 6 aprile 2019

A million dreams


Ci sono parole che mi rimangono impresse, ci sono volti che non dimentico, passassero mille anni, ci sono istanti che dal nulla ritornano a galla senza un motivo, a volte basta nell'aria un profumo che ti è stato troppo vicino o una voce che risuona dall'altro capo del telefono, per ritrovare intatte sensazioni all'apparenza dimenticate. C'è una piazza che quando le cose girano più sbagliate ritrova sempre i miei passi senza che quasi me ne accorga e mi dona sempre la stessa incredibile emozione. 

E poi ci sono musiche che mi suonano dentro, di anni fa come di ieri, che passano dagli auricolari al cuore mentre corro, o la mattina presto nei miei viaggi in auto, che si propagano nell'epidermide regalandomi brividi, e si accostano al bordo delle palpebre inumidendole e scivolano via.
Mi è rimasta addosso una "One" degli U2, millenni fa, inscalfibile, non posso non riascoltarla senza ritrovare l'atmosfera di quello studio, io giovane neolaureato di belle speranze così sfacciatamente entusiasta, Lei la chiamavo proprio One, faceva un mestiere così simile al mio, era bellissima e matta come un cavallo. Chissà dove sarà ora. Una notte di rabbia violenta come solo gli innamorati pazzi stracciati sanno provare, insieme a due miei amici (probabilmente l'alcool aveva fatto la sua parte, uno dei due si sarebbe sposato l'indomani) abbiamo spostato tutti i segnali stradali delle vie del centro della sua città fino a fare convergere tutta la circolazione nella piazza dove abitava lei, senza vie di uscita
Nel corso della vita altre, non tantissime, sono passate come l'acqua del fiume, qualcuna è caduta nel dimenticatoio, ascolto e non riesco a recuperarne il disegno nascosto che le rendeva così speciali, quasi sicuramente non sono più il me stesso di allora. Altre però sono rimaste, sintomo che quella parte di me non si è arresa. Il Canone di Pachembel ad esempio, testimone del passaggio alla mia vita adulta. Blucobalto dei Negramaro ha coinciso con le mie parole qui, un'incredibile canzone di Elisa ed una di Jovannotti sono come tatuaggi musicali che so per certo non scoloriranno.

Alcune mi affascinano senza un motivo, quel preciso connubio tra voce, note e molto spesso video è la combinazione giusta per attraversarmi senza fatica, chissà perché.

Ricordo benissimo quanto mi abbia coinvolto il tributo della nazionale di nuoto sincronizzato all'evento 1D Day, o  il groppo in gola e l'incredibile energia associata al brano di esordio dei Rockin'1000, la riuscita di un sogno di un folle visionario come Fabio Zaffagnini, riuscire a far suonare e cantare insieme 1000 persone. E visto che siamo in tema di folli visionari cosa possiamo dire del lancio della Tesla verso Marte sulle note di "Life on Mars" di Bowie.  Io l'ho trovato da brividi, brividi veri. 

Che volete, dietro la mia rude scorza da plantigrado burbero e solitario molto probabilmente si cela un mollaccione e pure di una certa età. 

In questi giorni invece ascolto questa quasi a ciclo continuo, la ritrovo molto spesso la mattina in radio, la metto al pc mentre lavoro, ogni tanto me la canticchio sottovoce mentre mi concentro su un progetto. Perché non è solo l'incredibile voce o la musica, ma è perché mi ci ritrovo, perché in queste parole ci casco dentro con tutte le le scarpe, è esattamente come sento di essere. Perché ho un milione di sogni in cui sperare che mi tengono a galla, e voglio ancora sognarli tutti, dal primo all'ultimo. Perché mi ostino, perché sono e voglio ancora sentirmi vivo. Ed i sogni reggono il "voglio" e non i "vorrei", se no che sogni sono. 
E quindi voglio scoprirli, voglio la fatica del costruirli, l'emozione del realizzarli. Voglio i fallimenti ed i successi, per esperienza so che saranno molti più i primi dei secondi, ma fa parte del gioco. Voglio avere gli occhi che riflettono un tramonto in parete, voglio correre una seconda maratona, voglio sentire il cuore accellerare i battiti senza un motivo, voglio prendere il vento giusto e l'onda migliore. Voglio passione, voglio sbagliare, voglio incoscienza e un pizzico, il giusto, di sana follia.

Alcuni mi dicono accontentati, comincia a guardare alle spalle, valuta la strada percorsa. Ad una cena di qualche giorno fa con amici, più di uno ha parlato di pensione, e quanto manchi e speriamo solo che arrivi. Io, l'unico, ho risposto che non ci penso nemmeno, non mi sento pronto. Tutti, compresa la consorte, mi hanno guardato come si guardano gli stolti, mentre le parole della canzone (They can say, they can say it all sounds crazymi ritornavano in mente.

Forse alla lunga avranno ragione loro, non so. Ma per il momento mi piace ostinarmi a non voler considerare il percorso del tempo ed a continuare a guardare ogni cosa con occhi diversi. I milioni di sogni aspettano. 

E giusto per lunedì vado ad arrampicare. In una palestra dove l'anno scorso a momenti i miei sogni stavano per interrompersi bruscamente. Ma questa è un'altra storia che racconterò, prima o poi.  

venerdì 8 marzo 2019

Scrivo in treno

E’ una novità che mi piace, mi si confà, e mi dà una discreta soddisfazione.
Mi sono recentemente meritato un portatile nuovo, molto figo, sottilissimo; ho detto al socio che costituiva una sorta di indennizzo dovuto al fatto che che lo debba sopportare, lui, titolare di cattedra del corso “ho il cervello che non funziona” associato ad un master in “meno male che ne hai ancora voglia tu, di lavorare”. E lui non ha battuto ciglio.
Ho sempre guardato un po' in tralice quelli che scrivono sul pc in treno, in aereo, sulle panchine alla stazione, incuranti del mondo che gli circola intorno. Che cacchio di lavoro dovranno svolgere di così urgente, 'sti yuppies incravattati del terzo millennio, ho sempre pensato, avranno da salvare il mondo dagli attacchi un hacker velenosissimo, magari staranno ultimando una formula che gli varrà il Nobel per l’astrofisica, o molto più semplicemente se la stanno tirando a pacchi?
Io che alla mia “bella” età invece, molto spesso passo la maggior parte del tempo a guardar fuori dal finestrino. E mi ci perdo, dietro ai filari di alberi che scorrono al contrario, sussulto all'improvvisa tumultuosa pressione sul finestrino data dal passaggio di un treno contrario e mi interrogo sempre su quali vite abbiano fatto parte della mia vita per quell'attimo irripetibile e viceversa; io che se non mi vedono i controllori appanno ancora il vetro con il fiato per disegnare improbabili nuvole ed animali fantastici. 
Lavorare non lo ritenevo concepibile, ragionevole, sensato, con così tante cose da fare, bah. Che spreco di immaginazione, sognare resta sempre la maniera migliore per impiegare il nostro tempo. 

Un viaggio in treno è una meraviglia sempre, sa di nuovi arrivi, di intrecci, di baci lasciati sul predellino, di biglietti stracciati e di altri ripiegati con cura e riposti in una scatola che li conserverà per anni, di occhi che ti carezzano allontanandosi, di pensieri che volano liberi sulle rotaie, odora ancora dei festosi viaggi da piccolo per andare al mare alla casa dei nonni e dei miei sogni intatti di allora.
Poi però, complice un cantiere in una cittadina  che, in treno, è molto più comoda da raggiungere rispetto all'auto, che c'è una riunione indetta all'ultimo minuto e ho una corposa relazione ancora tutta da preparare eccomi qui, seduto nello scompartimento con il mio nuovissimo HP superfigo sulle ginocchia. 

E il tragitto di andata è stato una vera sorpresa. 
Il ritmico rumore treno rilassa, mi isola, mi aiuta a concentrarmi, intravedo lo scorrere del verde, delle cascine in lontananza, dei cavi dell'alta tensione con il loro apparente movimento ondulatorio, ma non ne vengo disturbato, anzi. Ho scritto, per mezz'ora filata, senza una pausa né per dovermi fermare a pensare, le parole venivano giù da sole, tutte belle ordinate, proprio come adesso. E a momenti non mi accorgevo di essere arrivato alla stazione e se non chiudevo tutto in fretta e mi catapultavo giù proseguivo diritto filato verso il mare, potrebbe essere una buona scusa da tenermi per una delle prossime volte. La riunione è andata benissimo, la relazione era esattamente come doveva essere.
Al ritorno, dopo aver sbrigato un paio di pratiche veloci, mi è venuto lo sghiribizzo di provare a tornare qui, che a questo posto mio ho così tante cose da fargli sapere, che ci sentiamo sempre troppo poco, ma io so che lui sa e sa aspettare. 
E allora ho provato ed anche in questo caso, come durante il viaggio di andata, le parole hanno cominciato a mettersi in fila, pazienti, ad aspettare il loro turno, senza prevaricare, senza decidere di svanire per la troppa attesa. I pensieri del treno scelgono come arrivare, sono quasi tutti lievi, "setacciano", aveva detto una volta chi ne sa a pacchi. Ed in dieci minuti eccolo qui, un post nuovo di zecca, senza nemmeno rileggerlo, finito di scrivere con il sole che disegna strani riflessi sulle poltroncine blu mentre gioca a nascondino tra i palazzi alti, cosa che sta a significare che ho oramai abbandonato il verde delle campagne cuneesi per ritornare nella mia città natale. Sulla destra muove lentamente la collina, laggiù in fondo intravedo Superga con la sagoma della sua bellissima basilica barocca, conservo in un cassetto i chiodi originali che tenevano unite le lastre di copertura in piombo, recuperati su un ponteggio insieme a mio padre, quando lui era il leone ed io un ragazzino ansioso di compiacerlo, secoli fa.
E' ora che con uno sguardo da yuppie annoiato abbassi lo schermo (noi non spegniamo, lo abbassiamo con un languido sospiro di rassegnazione) e lo riponga nella borsa. 
Oddio, a ben guardare sarebbe molto più trendy uno zainetto tecnico, ma per il momento mi devo accontentare della terribile 24ore Samsonite grigio acciaio di quando ero studente al Poli (che faceva tanto studente del Poli, appunto). 
Ma vi prometto che presto rimedierò, per essere perfettamente à la page, in linea con gli standard internazionali.

P.S. Nel manuale di istruzioni del mio pc figherrimo ho letto che ha installata un'applicazione che lo rende in grado di ascoltare perfettamente le mie parole e scrivere come sotto dettatura. Proverò sicuramente ad usarlo, magari in un prossimo viaggio, chissà che razza di post ne verrà fuori.

Magari saprà lo stesso di nuvole ed animali fantastici, disegnati con il dito su di un vetro appannato.

On air:  Pat Metheny Group. Last train home        

lunedì 28 gennaio 2019

la mia Grande

La vita, nei momenti migliori, corre così in fretta che non ha senso cercare di stargli a pari. 
E così tu, che mi sei stata in braccio fino ad un attimo fa, la mia Ciccia, l'altro ieri mostravi con un pizzico di orgoglio composto la patente appena ottenuta. Poi ti sei impossessata della seconda chiave dell'auto di tua mamma e quella sera stessa sei uscita da sola per la prima volta. 
Ad aspettarti in garage (anche per evitare che per qualche manovra ancora impacciata la mia auto a fianco avesse la peggio) c'ero io che "venga Dottò!, a piano Dottò, e non dimentichi la mancia Dottò!" ti facevo da parcheggiatore abusivo. Eri raggiante.

Sei stata la mia piccola fino a due battiti di ciglia fa, lo sei ancora, alle volte, sempre un po' meno marcata, ma lo sei. 
Hai fretta di crescere, di andare, di esplorare da sola, di scoprire il tuo mondo.

Io no.

Io voglio ancora essere il tuo Totson, come usavi chiamarmi, adesso scopro di aver un bisogno straziante degli abbracci che dispensavi senza fine, ho voglia della conta dei peluche, delle fiabe - ricordi quelle che ti inventavo? - sussurrate piano fino a sentire il tuo respiro morbido a farmi compagnia. Sarà stupido, sarà sbagliato, ma non riesco a pensarla in modo diverso.

Sei diventata grande così improvvisamente che ancora non me ne capacito.
Ricordati - mi dicevano - i momenti di lei appena nata passano così velocemente che non ne conserverai memoria, sembrerà strano ma sarà così, guarderai le vecchie foto e non ti sembrerà vero tutto quanto, dimenticherai le nottate sveglio a sentirne i respiri, i biberon, le gattonate.

Non è così, è peggio. Non mi sembrano veri questi quasi diciannove anni, questi seimilasettecento e passa giorni trascorsi con te da quel due di marzo di quell'anno là. Ti ho appena messo i braccioli e comprato una maschera, la prima volta che hai visto il mondo sott'acqua il tuo sorriso estatico non riusciva a farti tenere stretto il boccaglio, ti ho portato in seggiovia, insegnato lo spazzaneve e ti ho fatto assaggiare la cioccolata calda al rifugio, non mi sembra accettabile, la quantità dei ricordi non ci rende giustizia, voglio il rewind ed un play molto lento, voglio assaporare quell'amore incondizionato ed unico, ne voglio ancora, voglio non averne sete, mancanza. Voglio le camminate mano nella mano tra i nostri boschi, voglio levare le rotelle dalla bicicletta nuova ed accompagnarti levando pian piano la mano senza fartene accorgere nella tua prima ed incredibile pedalata tutta da sola.

Forse è proprio così che stiamo facendo. Hai levato le rotelle e ti stai avventurando nella vita. Forse un po' esitante, porse ancora incerta ma tranquilla che sono qui dietro, non ho ancora staccato completamente la mano. 

Oggi sei addirittura apparsa in tv, un primo piano al servizio del TG regionale. "Sono famosa porco schifo" mi hai scritto, scherzando. Nello spezzone del video ho visto solo una liceale incredibilmente bella, altera, dai capelli lunghi e lo sguardo un po' selvatico, attenta a seguire una conferenza. 

Poi sei passata in studio. Hai preso un pullman, hai attraversato la città con una sicurezza che non ti apparteneva e sei scesa qui vicino. Sei venuta a studiare. Ti ho comprato un panino per pranzo, uno di quelli che so che ti piacciono tanto. Poi, poco dopo le 17, insieme a quello che ti guarda come la Madonna del Carmelo vi ho visti andar via mano nella mano, a prendere la metro, a specchiarvi abbracciati nelle vetrine dei negozi, prima di tornare, voi due insieme, a BucodiculoPlace. 

Non mi è riuscito avvicinarmi per un bacio. Mi hai guardato un po' con quegli occhi da zingara, hai indovinato il mio malessere, quel sentirmi vagamente, timidamente fuori posto. Qualcosa di me hai capito. Ma hai sorriso.

"Ci vediamo questa sera, Totson", hai sussurrato sottovoce, sorridendomi con quegli occhi profondi come solo tu sai.

"E mi sentii quasi male guardandoli andare
ed invidiai il loro incontro, quel tutto da fare
tutto quel tempo davanti, quel loro sperare
e l’incoscienza orgogliosa della loro età"

[On air: Stadio: Swatch]