mercoledì 1 luglio 2009

Appeso con due dita alla vita - Paco

Il vento teso proveniente dal termine della valle, alla sua destra, gli scompigliava i capelli riccuti e neri, screziati dalle prime striature grigiastre. I piedi calzavano le sue nuove scarpette: un paio di "Solution" nuove di pacca, avvolgenti, perfette che si era regalato come premio dopo una lunga e faticosa settimana di lavoro.

Si trovava sulla sosta del quarto tiro dello spigolo Fornelli, completamente da solo. E slegato.

Adorava, arrampicare slegato, quando poteva, e lo faceva spesso quando era solo, lì in falesia, a giocare con le nuvole e a ritrovare se stesso. "L'unica differenza è la testa" soleva dire ai pochi compagni di corda che ogni tanto incrociavano le sue vie. Non erano tanti, quelli che lo conoscevano bene, alcuni trovandolo addirittura simpatico. Il suo carattere taciturno ed un ombroso metteva spesso a disagio i più, sempre un poco spacconi e chiassosi, con i loro pantaloncini attillati e le magliette chiassose anche loro, ma solo una volta tornati alla base, per farsi belli con le ragazze. Lui no. Lui in parete era silenzioso, attento, cosciente. Assaporava l'anima della via, sentiva il profumo dei movimenti; le venature della roccia gli parlavano e gli raccontavano il percorso, accompagnandolo durante la salita; era come avere in tasca le istruzioni, che spiegavano i passaggi cruciali. Ed una volta tornato giù non assaporava nessun trionfo e non aveva voglia di mettersi a fare lo stronzo in pubblico. Gli bastava solo il momento che aveva appena vissuto.

Ora era di nuovo lì. Le scarpe su appigli saldi erano un proseguimento naturale della roccia su cui erano appoggiate. Nelle orecchie, lenta e rilassante, Someday di Malika Ayane: "Riding the clouds Day by day by day Chasing a missing mountain Try, try, try I'm raining to chase the rainbow Day by day by day Chasing a missing mountain Bye and bye and bye Someday I'll fly - I'll be with you". Il suo inglese era stentato, ma se l'era fatta scrivere tradurre da Sveva (la sua Sveva), che lei l'inglese sì che lo conosceva bene. L'aveva letta e riletta ed alla fine l'aveva imparata a memoria e l'aveva inserita dieci volte di fila nel lettore MP3.

La mano sinistra era protesa, indice e medio conficcati saldi in una fessura verticale profonda. Lui gurdava in alto, verso quell'unico passaggio dove avere la sicurezza di qualcuno che ti regge la corda non sarebbe stato malaccio. "Ma l'unica differenza è la testa", si mormorò tra a denti stretti. Facile a dirlo. Il braccio sinistro allungato, quello destro penzoloni, per sciogliere i muscoli un poco doloranti. In parete non c'era nessuno, tutta la zona della Parete dei Militi, la celebre palestra di arrampicata di Bardonecchia, era deserta. Neanche una macchina parcheggiata giù in basso, non un turista con il naso all'insù. Appoggiata ad un larice contorto, sola, lo controllava la sua vecchia Transalp, con cui aveva condiviso tanti torrnanti e tanti sentieri sterrrati, e con la quale, un paio di volte sfortunate, aveva grattato lo stesso asfalto.

Il sole cominciava ad abbassarsi vicino alle cime delle montagne. Il calore sulle braccia abbronzate anche a marzo cominciava ad allontanarsi, preludio di un pomeriggio che si stava rapidamente tramutato in sera. Alle sue spalle i Re Magi osservavano muti i suoi movimenti mentre alla sua destra il grande ed il piccolo Séru riportavano ancora le ultime lingue di neve sporca.

"Dovevo partire prima", pensò. "Qui rischio di dover scendere al buio. O di dormire in parete". Sorrise, tra , al pensiero di quella volta che ci aveva dormito (o meglio che NON ci aveva dormito), con Renato, in due con un sacco a pelo ed una bottiglia di genepy. Alla fine, mezzi sbronzi, avevano buttato di sotto il sacco a pelo, blu, nuovo e suo, osservandolo precipitarle fluttuando nel vuoto finchè si era perso nel buio di sotto. Erano poi scesi alle tre di notte, accompagnati dal chiarore magico della luna piena, ed erano tornati a casa mentre gli amici avevano già allertato i soccorsi. Il sacco a pelo non l'avevano mai più ritrovato.

I muscoli erano abbastanza riposati. Inserì tre dita della mano destra nel sacchettino colorato della magnesite, fissato dietro all'imbragatura, osservandosi poi le punte delle dita, imbiancate della polvere sottile. Con un soffio fece soffiare via in una nuvola di polvere la magnesite in eccesso. Il passaggio chiave lo conosceva bene, i movimenti erano quelli che aveva fatto decine di volte: allungare la mano sinistra dall'altra parte dello spigolo, portare in alto i piedi, puntellandosi e spingendo dal basso con l'altra mano. Poi, rapidamente, girarsi dall'altro lato, completamente esposto sullo strapiombo della parete piena e ruotare il braccio destro, verso l'appiglio conosciuto alla memoria ma non alla vista, con la consapevolezza cieca di aver "risolto il problema " un'altra volta.

Ancora il vento tagliente, lo fece trasalire. Stava aumentando in fretta e le ombre incominciavano già ad allungarsi. I colori della roccia e dei larici giù nella valle si facevano caldi e dall'altra parte del cielo azzurro la luna aveva già fatto la propria comparsa. Il Tabor era coperto da nuvole gonfie in rapido mutamento, indorate dall'ultimo sole. Si soffermò a ricordare di quando, bambino, lui e Leonardo, il suo amico di infanzia, si mettevano distesi sui prati d'estate, un filo d'erba in bocca, a fantasticare sulle forme delle nuvole, e Leonardo era sempre più bravo ad individuare nuove figure. Poi Leonardo era andato via ed era rimasto lui solo, e le nuvole candide, a farsi compagnia.

La marmotta che aveva segnalato ripetutamente e fastidiosamente la sua presenza, con fischi striduli che oltrepassavano anche le cuffie dell'MP3, doveva ormai aver deciso che non era pericoloso e si era finalmente tranquillizzata, mentre la coppia di aquile che ormai conosceva da tempo, continuava a cercare correnti favorevoli, girando altissime sopra di lui in ampi e pigri cerchi. Adorava scoprire la presenza degli animali, intorno a se quando era in montagna, a ritrovare se stesso nell'umida oscurità dei boschi: sapeva riconoscere i richiami delle diverse specie, e trovare le tracce dei loro percorsi. Gli sembrava di farne parte, di quella natura che amava, animale tra gli animali. Gli tornò alla mente l'incontro inaspettato con il lupo, su, nel silenzio innevato della Valfredda, un istante in cui le loro due anime si erano ritrovate improvvisamente di fronte, a meno di tre metri di distanza, immobili a fissarsi con i fiati caldi che uscivano in piccole nuvole dalle narici. Poi lui si era rapidamente dileguato in un silenzio di piccole orme nella neve leggere e senza fretta, ed era sparito, fantasma scarno ed ossuto, così come era apparso.

Era decisamente ora di darsi una mossa. L'appiglio nascosto, lo sapeva, era lì dietro. Bastava crederci, bastava non esitare ed avere fiducia nell'esperienza derivante dalle cose vissute. Se solo ci fosse stata la tranquillità di una sicurezza; ma autoassicurarsi non gli era mai piaciuto, era scomodo e fastidioso. E poi, si diceva, mica devo andare a cadere proprio qui, dove anche i sassi mi danno del tu!. La catena era proprio a portata di mano, la corda comunque ce l'aveva nello zainetto leggero che portava sempre, retaggio di quella volta che si era stirato il tendine del piede ed era tornato da basso con le braccia a pezzi e su un piede solo (aveva usato anche i denti..) . Bastavano due nodi e cinque minuti, tra sbrogliare la corda e rimetterla via subito dopo aver superato il passaggio. Bastava cedere all'insicurezza di se stessi, alla paura che sotto sotto, già cominciava a minare le sue certezze, risalendogli pian piano dai piedi e facendogli tremare le gambe. Già, bastava cedere. A se stesso. Alle ombre scure che, da qualche tempo, gli correvano dietro.


Con una leggera scrollata di spalle lo zaino precipitò giù per la via, rimbalzando sui passaggi che aveva percorso poco prima, con il suono ovattato e lontano accompagnato dai tintinnii dei moschettoni che c'erano dentro.

"Adesso sei tu contro te stesso" si disse. "Adesso prendi quella mano e la metti dove sai, e superi 'sto cazzo di passaggio, come hai già fatto e come sai che puoi fare benissimo. Muoviti, che è tardi".

Malika Ayane aveva finito i dieci brani. Adesso toccava a Tiziano Ferro, che in troppe canzoni raccontava quelli che erano stati i suoi dolori, quasi come se gli avesse piazzato una webcam nascosta e lo avesse spiato di continuo negli ultimi due mesi. Mise la mano nel taschino e staccò il jack, lasciando che Tiziano continuasse il suo muto lamento. "E' l'ora, sbrigati".

Alzò lo sguardo per la ventesima volta verso quel pezzo di roccia che gli impediva di vedere ciò che lo separava dalla sua sicurezza, che conteneva nella sua ruvida e fredda scorza tutte le sue paure. Intravide le aquile, che volavano più basse, curiose, per la strana sorte di quel puntolino là sotto.

"Io sono l'aquila, sono il vento ed il larice che si appoggia alla mia moto. Sono il rumore delle pigne secche sotto i piedi. Sono il lento mutare delle nuvole in cielo ed il suono del vento tra le betulle. Sono il lupo che ho incontrato; questo sono io, che sono stato in piedi su tutte le cime che, da qui, riesco a vedere". Sorrise, pensando al lupo, e alle aquile, sorrise pensando a Sveva, che nello stesso momento stava dando da mangiare alla vecchia e che non sapeva che lui era lassù in quel momento, sicuramente lo immaginava in giro a cazzeggiare. A pensarla. Sorrise, ricordò il suo profumo, la sua vicinanza, le loro notti. E chiuse gli occhi.

Si immerse completamente nei suoi sogni, nei suoi ricordi. Le sue emozioni lassù, solo e disarmato, lo investirono come una folata, prepotenti e lui ci si immerse. Ad occhi rigorosamente chiusi entrò in una nuova dimensione, fatta di consapevolezza; di colpo tutto aveva preso un'altra importanza. Non c'era la paura del vuoto, di cadere, non c'era niente. Sapeva dov'era e questo bastava. Si mise a fischiettare un motivo tranquillo, e le sue emozioni gli danzarono intorno. La mano destra si spostò, spingendo. Alzò prima la gamba sinistra, dall'altra parte del dietro e poi la gamba destra. Spostò la mano sinistra su un appiglio, ci si appese e via.

La leggera rotazione passando sull'altro lato dello spigolo, il sentirsi appeso al vuoto durarono circa un secondo, ma a lui pareva che tutto, improvvisamente, andasse al rallentatore. La mano destra finalmente abbandonò l'appiglio sicuro e, con tutta calma risalì, non a cercare a tentoni, ma a pretendere l'appiglio che sapeva essere lì. E lì era: ci si appese con due dita, con una forza a cui non sarebbe certamente riuscito a sfuggirgli.

Poteva, nel buio di quello che non gli confermavano gli occhi, ma alla luce abbagliante dei suoi pensieri, fare ancora qualche movimento, sulla parete che ormai lui, nel suo passaggio cruciale, aveva superato e così fece uscendo alla fine dalla via fino ad incontrare nuovamente i primi larici contorti e rugosi, aggrappati ai ripidi prati, continuando a fischiare sommessamente, un suono liquido che riusciva a propagarsi nel silenzio di quella che si annunciava come serena una notte di stelle.


Riaprì gli occhi. La sera aveva ormai preso possesso della valle. In fondo, sulla destra, intravide le luci accese ed il fumo che usciva in rade volute dal camino del Rifugio. Poco distante sentì un fioco e sommesso rumore.

Su di un larice, a meno di venti metri da lui, erano appollaiate le due aquile, immobili come statue. E lo guardavano.



Cazzo, devo di nuovo lavorare!!! (Work in progress)

2 commenti:

  1. Lo sapevo che eri bravo! E, secondo me, sei anche un pò... Paco, o mi sbaglio? (ma poi perché proprio Paco..). Buonanotte da....
    Sveva? (mi dispiace per la tua gamba e... anche per tutto il resto). Bacio e continuana scrivere, che mi piaci!

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  2. Un altro commento sul blog? Miii!! Non ci posso credere! Entro un paio d'anni arriverò a quota 10! Scherzi a parte, non penso realmente tu sia Sveva, anche perchè, forse, Sveva alberga nella mia fantasia, alimentata da incontri e sogni provenienti dalla vita reale; quindi, casomai, sarai un pezzettino piccolo di Sveva, della quale sicuramente ho ancora tante cose da scrivere. Perchè Paco? Anche qui è storia lunga, e vedrò di spiegarlo più avanti. E parlerò di come ha incontrato Sveva, così, forse, capirai quale pezzettino sei.
    Grazie per i complimenti, comunque e per gli auguri. Se mi conosci realmente (ho qualche dubbio...) sai che è una cosa che respiro da sempre e scrivo perchè... è così che deve essere e non può essere diverso, punto. Tutti i litri di inchiostro spremuto dalle mie meravigliose stilografiche sono lì a dimostrarlo.

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