mercoledì 15 luglio 2009

Con quella faccia un pò così, quell'espressione un pò così che abbiamo noi quando vediamo....



Genova, ovviamente...
Ieri è stata decisamente una bella giornata. Premetto che continuo ad essere fermo, ed a tutte le magagne che mi affliggono (caviglia, ginocchio) si è aggiunto anche il classico colpo della strega, che mi ha colpito mentre, alle sette di un mattino di qualche giorno fa, stavo decidendo come potare una rosa. Tre giorni con un male d'inferno che mi impediva anche di dormire. Quando uno non ha più l'età... Niente di più sbagliato: io l'età non ce l'ho ancora. E dato che ne ho sicuramente passate di molto ma molto peggio, mi sono armato di antidolorifici, antinfiammatori e fasce che quando camminavo ero rigido come un corazziere alla parata.


L'altra sera dopo aver scritto "le donne di Paco", ho incontrato il Renè di Paco, proprio quello vero. Abbiamo fatto un'uscita per soli uomini (eravamo in sei) in una birreria western dove una manica di esagitati in jeans, stivali e Stetson calcato in testa ballavano, ed abbiamo passato una bella serata come non eravamo più riusciti ad organizzarne da tempo (colpa mia.. sempre il lavoro), bevendo birra (un unico boccale: 3.5 litri!), parlando delle nostre montagne e del nostro buon vento trascorso insieme. E' stato così insolito scrivere il racconto basandomi su di lui e incontrarlo che stavo quasi per chiedergli cosa ne pensava di Patti.... Magari glielo farò leggere.
E' stato piacevole riscoprire che l'affinità è rimasta, che non siamo cresciuti, che siamo sempre pronti a combinarne una e che le nostre zingarate sono sempre in grado di far scappare un sorriso alla cameriera di turno. In fondo non siamo cresciuti poi tanto.

Ed oggi la schiena sembra quasi tornata a posto. Il male c'è ancora, ma è una voce lontana che senti indistinta. Sono di nuovo qui, pronto per rimettermi in pista, in tutti i sensi e ancora una volta. E ieri ho rirespirato il mare, ed è stato meglio di mille creme, un'iniezione di antidolorifico dal sapore di salmastro direttamente nell'anima. E mi sono subito sentito bene.

Adoro Genova. Quando mi chiamano per un lavoro lì mi sembra di aver pescato il jolly. Genova è bella anche nelle zone più degradate, è il sole che scalda sulla pelle già a febbraio, non quella cosa liquida e nacosta dalla nebbia che si vede da noi. E' il mare che senti sempre, è il dialetto strascicato che riempie i miei ricordi di quando ero ragazzino, è la focaccia che profuma, avvolta nella carta oleosa, le case eleganti, le chiese a strisce, i saliscendi e le innumerevoli scalinate. E' elegante, continuamente nuova ad ogni svolta, distesa, languidamente appoggiata sulle colline, che coccola il suo mare in mille anse, dove le vele, dondolano pigramente, beato chi ce le ha. Ah, dimenticavo: ci abita, a parer mio uno tra gli ultimi geni italiani dei giorni nostri: Renzo Piano, che per me vuol dire il Beaubourg, e quindi Parigi, e qui divagherei per ore. Torniamo a Genova.

Ieri siamo partiti presto, affrontando l'autostrada con minore entusiasmo delo solito, complici sti cazzi di Tutor che mi impediscono di esprimermi al meglio. Non ci posso far niente, ma a 130 km/h mi abbiocco. Mi piace guidare, da sempre, ed anche se non ho più a disposizione i 130 Cavalli della mia vecchia Delta Martini, il mio piede è sempre abbastanza pesante. Devo anche dire che ho avuto un buon maestro, mio padre, detentore ancor oggi, sullle strade della Valsusa, di una multa da record..

Complice un incidente in corrsispondenza di lavori in corso che ci ha ritardato l'appuntamento di circa un'ora ed il condizionatore della mia auto che funziona solo a cazzotti (è una lunga storia) sono arrivato stressato al mio appuntamento con il mare, quello sprazzo di azzurro che si confonde con il cielo e che si intravede dopo l'ultima galleria dell'autostrada: ricordo che da bambini facevamo a gara per chi riusciva a vederlo per primo, il mare, laggiù, con il lontano scintillio, preludio delle vacanze a cui anelavamo come l'aria. Erano tempi diversi: mio padre guidava una Lancia Fulvia berlina, tutte le macchine andavano a benzina, solo i camion a gasolio; l'aria condizionata esisteva solo sulle macchine dei ricchi, noi invece aprivamo il deflettore, e non si stava poi tanto male. Non c'erano telefonini di sorta, l'autoradio non aveva rds, frontalini intelligenti o altro: aveva i pulsanti di sei stazioni, il lettore a cassette e l'antenna estraibile. Le cinture se le mettevano solo gli svedesi, che guardavamo straniti. Il viaggio era lungo, molto più lungo e faticoso di oggi, ma per noi voleva dire che andavamo a casa, l'altra casa che ancor oggi considero "nostra", dove ho passato più di metà delle estati della mia vita.

Eravamo bambini allora, ed avevamo tutta una vita davanti. Eravamo felici.

Ieri notte ho sognato casa nostra al mare. Ma adesso.... mi aspetta una pizza! Scappo.

Nessun commento:

Posta un commento