Delle supergnocche da Grande Fratello ne aveva anche incrociate, languidamente distese alla base della falesia che lui frequentava, supergriffate intente a fare da supporter al superpalestrato di turno, bello abbronzato e con il rolex al polso anche in parete, da vero picio. Il suo abbigliamento invece non poteva essere più trasandato. Le maglie erano le stesse che usava in falegnamenria, a volte ancora piene di schegge di legno; i pantaloncini, l'unico capo di marca che si era mai permesso, li aveva da almeno 5 anni ed erano ormai consumati e bucati tra le gambe e nei punti dove la roccia non era stata tanto gentile con lui. Le scarpe sì, quelle le cambiava spesso, ma solo perchè quando non sentiva più il giusto feeling non riusciva a salire concentrato. Non possedeva un fisico con muscoli scolpiti, ma era magro e nervoso e riusciva a dosare le forze e rimanere in equilibrio su appigli microscopici, o appeso aggrappato nel vuoto con due dita della mano destra, rilassando tutto il resto. Arrampicava abbastanza agevolmente su buoni livelli e la sua punta l'aveva toccata su "Il soffio del serpente", una via valutata 7C e " I Ragazzi della Tao ", un 7A+, nel settore gare. In pubblico comunque arrampicava lento, misurato e non si inventava passaggi acrobatici solo per il gusto di farsi vedere. Quelli se li riservava quasi esclusivamente per lui solo, con l'unica eccezione di uno dei suoi pochi compagni di cordata che gli faceva sicurezza, quando danzava su appigli inesistenti, qundo la gravità sembrava non comprenderlo nel suo gioco a tirare tutto verso il basso; in quei monti si misurava solo con se stesso, cercando di capire e subito dopo sbriciolare quali fossero i suoi limiti, quasi tutti mentali. Ed in quei pochi inenarrabili momenti, ne era quasi sicuro, sentiva la parete viva, cuore pulsante che batteva lento, come un maglio enorme nelle viscere della terra.
Una volta sola aveva ceduto alla vanità e si era prodotto in un paio di prese che gli avevano fatto tributare un piccolo applauso da parte dello sparuto gruppo di turisti intenti a spiarlo, armati di binocoli, segretamente speranzosi di veder qualche caduta. Quelle evoluzioni, quel comportamento da gallo nel pollaio erano venuti fuori per due motivi: il primo era quel deficente borioso che aveva arrampicato di fianco a lui e la seconda era stata Patti.
Era una domenica di metà agosto di un anno fa. Il borioso era impegnato su "Albatros" e lui su "Tomahwak"; due vie lunghe di quelle già belle toste, con passaggi sul 6A-6C e punte sul 7A e che correvano parallele. Gli era risultato antipatico già a pelle da subito, quando era arrivato, grosso e con l'abbronzatura da lampada, chiassoso come tutto quel mezzo di circo ambulante che si portava dietro. Lo stronzo era sceso da un SUV che ancora un pò e parcheggiava direttamente in parete, mai che dall'alto venga giù una bella scarica quando serve.. Ne era sceso ed aveva lasciato portiera aperta e radio a tutto volume e si era fatto dare una mano a scaricare attrezzatura per 10 persone da quello che era probabilmente il suo schiavo personale, un ragazzino minuto e taciturno con due braccia da rocciatore di classe, nel cui sguardo rispettoso ed indagatore verso la via lui si era immediatamente ritrovato. Loro avevano deciso di tentare "Albatros". Il ragazzo, l'avrebbe saputo più tardi, si faceva chiamare Tony, e solo in seguito sarebbe diventato uno tra i suoi più fidati secondi di cordata, ma quello, e tutto quanto gli sarebbe capitato di lì a poco, Paco non se lo poteva immaginare neanche lontanamente.
Mentre Tony rifaceva su la corda, preparava l'imbrago suo e quello dello stronzo, metteva in bella fila rinvii, cordini e qualche nut, non aveva mai smesso, neanche per un attimo di studiare la via. Lo stronzo (si chiamava Bruno), invece era dietro il SUV ed armeggiava con qualcosa che non riusciva a tirare fuori. E nel frattempo, con una voce baritonale e sgradevole, diceva a tutti quanto era bravo, quanto era capace e su quali livelli di difficoltà era in grado di arrampicare, con una mano legata dietro la schiena. Che lui arrampicava sempre in palestra, che era molto meglio che in parete, e che nessuno degli sfigati che arrampicavano in parete avrebbero mai potuto stargli dietro. Dio, quanto gli stava sui coglioni!
Paco invece era arrivato presto, aveva lasciato il Transalp appoggiato al solito albero (il cavalletto non teneva), dall'altro lato della tortuosa strada sterrata e si era avviato, occhi alla parete, verso l'attacco delle vie, con il suo vecchio e sdrucito Invicta, che l'aveva seguito dappertutto, dal Bianco alle Tre Cime di Lavaredo, poggiato a tracolla su una spalla. Poi aveva buttato lo zaino a terra e si era seduto sulla corda, per studiare con attenzione le diverse salite indeciso tra quali scegliere, con il busto appoggiato ad un tronco di un larice che aveva passato gli ultimi trent'anni a crescere per adattarsi perfettamente alla sua schiena. E lì era rimasto, ad aspettare "il socio"di cordata di turno, Renato, e nel frattempo era rimasto immobile, fantasticando ed osservando il rapido mutare dei riflessi in parete, con le nuvole che corevano in cielo.
Renato, Renè per gli amici, "un cittadino con l'anima da montanaro", come lui lo definiva scherzosamente, era arrivato di lì a poco, su una vecchia Ford scassatissima di un colore che Renato stesso definiva "blu ruggine" e che avrebbe dovuto essere rottamata da almeno dieci anni e che invece, non si sa come, lui continuava ad usare, in barba a tutti gli Euro di questo mondo. Con Renato c'era un'intesa che andava oltre le parole ed un'amicizia che aveva superato il tempo ed ogni avversità. Simpatico e sempre pronto alla battuta, con lui aveva passato del buon tempo; sapevano capirsi con una semplice occhiata e riusciva sempre a strappargli una risata. Alle ragazze che conoscevano nei rifugli si dichiaravano gay e fidanzati, e successivamente, complici la notto di stelle e la grappa ai mirtilli chiedevano di provare ad essere "convertiti". E qualche volta ci riuscivano pure.
Era stato mentre chiacchieravano che era arrivato il circo; il fuorstrada il casino, lo stronzo in un battere di ciglia gli avevano mandato a puttane la serenità e l'aspettativa di una giornata di relax che l'aveva pervaso fino a poco prima. Lui si era immediatamente chiuso a riccio, in un silenzio immusonito e gli occhi scuri. Renato lo aveva subito capito e gli aveva detto: "Dai, lasciali perdere quelli, pensiamo alla via, che oggi ne abbiamo di lavoro da fare". Dallo zaino estrasse una bottiglia di vino rosso, con un 'etichetta strana: "Tò, valla a mettere al fresco nel ruscello ben nascosta, che ce la meriteremo, quando torneremo giù e farà il paio sicuramente con quei salamini che hai portato tu". Paco osservava l'etichetta, una lettera D maiuscola, una lettera u minuscola ed un 7 scritto a numero. Notando il suo sguardo interrogativo, Renè gli disse solo "leggi"; Paco pronunciò e sorrise: Du..set, dolcetto in piemontese. "Già", sorrise di rimando l'altro. "Dolcetto, appena imbottigliato: è un pò giovane, ma tanto tu berresti anche l'antigelo. Dai, prepariamoci". Era stato in grado di ridargli un poco di allegria anche quella volta.
Da dietro il suo SUV Bruno era ricomparso, vestito come un ballerino, con un paio di fuseau ed una canotta dai colori sgargianti che ne esaltavano il fisico muscoloso. Attaccato all'imbrago, con un moschettone minuscolo, aveva agganciato il cellulare. Paco era rimasto incredulo, a bocca aperta, che si era allargata in una risata quando Renato aveva esclamato "quello serve se qualcuno ti telefona per dirti quant'ses piciu, utilissimo in parete", a voce abbastanza alta da far ridere anche altri climber che avevano assistito a quella mascherata. Tony li aveva guardati con un sorriso di simpatia, si vedeva che li invidiava un poco. Il "picio" pareva invece non aver sentito. Aveva tirato finalmente tirato fuori dalla macchina l'oggetto misterioso: una sedia a sdraio di design, bellissima e sicuramente carissima, di un legno chiaro che dava la sensazione di essere liscio come seta. L'aveva posata delicatamente all'ombra del grosso fuoristrada ed aveva aperto la portiera lato passeggero, in attesa. Lei era scesa, flessuosa ed agile.
Ed il tempo si era fermato.
Era scivolata pigra giù dal sedile in pelle, che le aveva trattenuto il vestito in lino bianco, già corto, rivelando gambe lunghissime e abbronzate. Non era di lì, quella era una di un altro pianeta, una sicuramente con un sacco di grana. Paco non l'aveva mai vista, se lo sarebbe ricordato anche dopo una lobotomia: non c'entrava niente con il mondo delle arrampicate, sembrava uscita pari pari da una di quelle riviste di moda che vedeva dalle due parrucchiere dove ogni sei-sette mesi, andava a farsi regolare i capelli. Lui era rimasto fermo in piedi, con metà della corda in mano, impossibilitato a girare lo sguardo da un'altra parte, fissando quel volto perfetto, i capelli biondi tirati all'indietro e gli occhi nascosti dietro enormi occhiali neri. Lei era scesa dalla macchina con movenze misurate e sinuose, cosciente del fascino che sapeva di avere e che non dosava, spremendolo tutto fino all'ultima goccia. Con due dita aveva abbassato gli occhiali sul naso, quel poco che bastava per mostrare due occhi nocciola che lo guardavano, leggermente canzonatori. Quello sguardo lo aveva attraversato dentro, disarmandolo, mettendo a nudo tutte le sue paure ed i pensieri più nascosti e si era fermato dritto dritto poco sotto la cintura dei suoi pantaloni. Le sue labbra si erano aperte appena in un sorriso a matà tra il malizioso ed il divertito, e lui si era subito sentito un idiota.
"E' la seconda volta in meno di cinque minuti che ti vedo a bocca spalancata! Se ti è appena venuta una paresi muovi leggermente un piede. Altrimenti chiudila, prima che ti ci entri detto una mosca", aveva mormorato Renato, che gli era arrivato vicino. Poi si era girato verso la ragazza: "Bella manza.. Adesso vado ad informarmi dal picio su quanto costa e per il tuo compleanno te ne regalo un paio, non sei contento?", aveva aggiunto. Anche lui non aveva potuto fare a meno di notarla mentre usciva l'auto, ma Renè era diverso. Gli erano sempre piaciute le donne ma ormai era accasato e felice, con una moglie graziosa e decisamente più giovane di lui e due marmocchi impestati che adorava e che lo adoravano, anche se riusciva a ritagliarsi sempre del tempo per sè. "Dai, muoviamoci, che tra un pò ci sarà più gente in parete che pulci in testa a un cane", Aveva aggiunto Renato. Era decisamente ora di andare. "Faccoamo "Tomahwak", aveva detto distrattamente e sottovove Paco, mentre si legava per andare su da primo. Renato lo aveva guardato dubbioso: primo, il giorno prima avevano pensato di fare di monotiri e secondo Paco era sempre stato un "diesel", ci metteva più tempo a scaldarsi e di solito lasciava all'amico l'apertura delle prime vie. Si girò verso il SUV e comprese subito. "Guarda che non devi mica fare il fantastico per forza. E poi quella neanche ti si fila. Ma l'hai vista bene? Già, che scemo, certo che l'hai visto bene, non hai fatto altro che radiografarla da quando è arrivata. Ma hai visto come si è conciata? Sembra pronta per il Derby di trotto! Adesso vado a dirle che l'ippodromo l'hanno spostato a Vinovo".
Così facendo si voltò e si diresse verso la ragazza, lasciandolo di stucco. "Oddio, chissà cosa mi combina" pensava Paco, in un misto tra l'apprensione ed il divertito. Già, il suo amico era capace di tutto. Renato era continuamente una sorpresa, un vulcano di idee quando era ora di divertirsi. Ricordava mille zingarate combinate insieme, come quella volta che, di ritorno da un allenamento di corsa, sudati e in pantaloncini e maglietta erano capitati davanti alla casa di una ragazza che stava per sposarsi; loro erano entrati, spacciandosi per amici dello sposo e suoi complici di uno scherzo; avevano mangiato e bevuto, si erano fatti ritrarre dal fotografo baciando la sposa e poi erano spariti, immaginando la sorpresa di chi, successivamente avrebbe visto l'album di nozze. Lui era fatto così, ed in quel momento la cosa non lo faceva stare affatto tranquillo"
Dopo un breve conciliabolo che aveva sicuramente dato fastidio all'energumeno, che adesso non li stava guardando bene, Renato stava tornando da lui, facendo finta di sistemare il sacchettino della magnesite e nascondendo un ghigno che riusciva a stento a trattenere. Alle sue spalle la ragazza lo guardava attenta, ed quel sorriso speciale era diretto a lui. "Allora cosa le hai detto? E cosa ti ha risposto? Ma perchè ci sei andato? E hai visto come ci guarda male quell'altro?" buttò fuori in un fiato Paco. "Calma, calma" lo rassicurò Renato. "Gli ho detto solo che visto che eri rimasto folgorato da lei, se arrampicando cadevi ed io non ti facevo scurezza bene aresti voluto sapere il suo nome, prima di morire. A proposito, si chiama Patti e mi ha detto che sarebbe decisamente un peccato; a propostito, stai diventando rosso come un peperone di Carmagnola; a proposito," concluse strizzandogli un occhio ridendo, dirigendosi verso l'attacco; "hai visto che porta il perizoma? Dai che ti faccio sicurezza così ti puoi fare bello. Cerca di non inciamparti mentre cammini"
W.I.P......................... See you tomorrow!
...d'altronde gli okki sono lo spekkio dell'anima e non bisognerebbe mai fidarsi di ki non ti guarda veramente...gli okki sfuggenti sono quelli ke non sanno vedere i particolari!
RispondiEliminaE nella vita i particolari sono tutto e la funzione della bellezza è, e dev'essere, creare gioia.
Pura Vida siempre
by Slaymer
sai che questo è davvero un bello spaccato della vita di Paco?
RispondiEliminal augurio di Slaymer mi piace, posso addottarlo?
Pura Vida Siempre!
@Sys: lo sai che non mi ricordavo quasi di averlo scritto? L'augurio non è coperto da copyright. Da adesso è anche un pò tuo.
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