Dopo avergli rapidamente ripulito la faccia dal sangue e dalle schegge steccato il polso, l’aspetto di Bruno era decisamente migliorato. Lei, quando non arrampicava, lavorava in ospedale come infermiera, e nella sicurezza dei gesti doveva anche essere brava. Mentre preparavano la manovra per calare Bruno, definitivamente svenuto, la ragazza piovuta dal niente e lui chiacchierarono un po’. Gli disse che si chiamava Cristina e che era da quelle parti per un rapido allenamento. Era sulla parte alta della stessa via con un compagno quando aveva visto staccarsi il fronte della scarica, aveva visto Bruno colpito e si era calata per dare una mano. Si fermava solo pochi giorni e poi partiva, verso montagne lontane. Era una che viaggiava con un alto numero di giri, con altri sogni, altre mete. Aveva già partecipato a spedizioni Himalayane ed era salita su tre 8.000, e ne aveva in programma altri. Paco ne rimase impressionato; a lui bastava trovarsi a trenta chilometri dalle sue montagne per trovarsi perso, Lei aveva altri e molto più lontani orizzonti, pur rimanendo di una semplicità disarmante. Avevano fatto su la corda di Renato e l’avevano preparata per una doppia, gettando quella di Bruno, inservibile. “Sicuro che ce la fai a portartelo giù in doppia? Gli chiese mentre lui sbuffava, cercando di buttarselo sulle spalle, legandolo come un salame ; “Tranquilla, è grosso ma non pesa poi tanto di più di quello che mi sta facendo sicurezza in questo momento e che ho portato giù più di una volta mentre mi cantava a squarciagola Tre Joli Tambour”. Poi aggiungendo in un bisbiglio, ma non troppo basso “Sai, ho il sospetto che beva!”
“Ti ho sentito, sai”, gli gridò da sotto Renato “E non erano poi tutte queste volte come dici tu: cioè una me la ricordo, le altre no..” Ciononostante sorrise, ripensando alle volte che si erano portati giù sostenendosi l’un l’altro, dopo avere festeggiato la riuscita di una via dando fondo a tutto quello che gli avanzava nello zaino.
Solo quando Paco si mise in piedi, con l’altro ben stretto, pronto per scendere in doppia, Cristina gli sorrise, preparandosi a tornare da dove era venuta: “Ci si vede, un giorno l’altro. Abbiamo fatto un buon lavoro insieme. A proposito: sai che non arrampichi affatto male? In quell’ultimo passaggio veloce col salto mi hai ricordato Dan Osman?”. Si girò e, nel giro di pochi rapidi movimenti, rapida come era arrivata, era già sparita.
Paco la guardò arrampicare per un lungo attimo: se ne incontrano poche di donne così. Poi si riscosse, provò a verificare che non fosse troppo squilibrato con quell’energumeno addosso e si preparò a scendere in rapidi balzi. Aveva preparato il Prusick in alto, nel timore che gli rimanesse incastrato nel discensore, ed aveva fatto bene. Riuscì a scendere in tre rapidi balzi, piegando bene con le gambe per ammortizzare al tremine di ogni salto, incurante del calore sprigionato dalla corda sul metallo. Portare giù un peso morto e riuscire a controllare equilibrio e la velocità della discesa non era facile. Cercò di fare più in fretta che potè, nel timore che quello gli scivolasse e che lui non avesse poi la forza di impedirlo. Non aveva neanche toccato terra che già qualcuno glielo levava di dosso e lo sistemava sulla sdraio che lui stesso si era portato, mentre nel frattempo giungeva l’ambulanza con il primo soccorso.
Per un attimo Paco si sentì sollevato: sollevato dal peso del bestione, sollevato dalla tensione di quel compito, sollevato dall’assenza delle sue nuvole nere, compagne inseparabili degli ultimi due anni. Nessuno lo stava considerando, gli amici di Bruno ci si accalcavano dando fastidio ai paramedici: l’uomo con la telecamera la teneva in alto tentando di superare il muro di gente. Renato gli comparve vicino, e con la mano gli strinse forte il bicipite. La frase “hai fatto un gran lavoro”, Renè non la pronunciò mai, ma Paco la sentì lo stesso. Si stirò la schiena dolorante, cercando di impedire a tutti i dolori che aveva accumulato in quella magnifica e pazza giornata di reclamare finalmente il loro tributo. Renato Tirò fuori dallo zaino un tubetto di antinfiammatorio e fece per passarlo all’amico. Il tubetto fu prelevato dalle lunghe dita sottili di Patti, che era ancora lì dietro di lui. Non si era avvicinata all’altro. Rapidamente svitò il tappo e gli disse “Siediti, ci penso io. E’ il minimo che posso fare, per avere fatto ciò che hai fatto”. Poi sorrise, finalmente non più femmina fatale, ma disarmata e disarmante, solo Patti e la sua fila di denti bianchi. Allungò la mano“Penso che nessuno ci abbia ancora presentati. Piacere, Patti”. E quello là steso è mio fratello”. Paco porse la sua e ricevette una mano fresca, con una stretta decisa, segno di un carattere forte. Poi gli fece il gesto come per dire “siediti” e Paco si girò e si appoggiò sul suo zaino, mentre le mani di Patti incominciarono lentamente a massaggiargli i muscoli della schiena.
Paco riusciva a sentire le dita di lei percorrergli la schiena; unte dalla crema, affondavano, accarezzavano vecchie nuove cicatrici, risalivano e lo manipolavano come si fa con la pasta del pane. Gli dava i brividi. “Questa è una che almeno le mani le sa usare. Mi sa anche tutto il resto”, pensò maliziosamente, cominciando a fantasticare, su di lei, sulle sue mani, su loro due, con il “Clic” che fermava nuovamente il tempo. Fu riportato alla realtà da Renato, che stava facendo su la corda, controllandone con eccessiva cura ogni centimetro e scuotendo la testa. “Sentimi bene:”, gli disse: “a parte il fatto che a farti sicurezza ho anch’io un fastidioso dolorino dietro il collo, ma se lo chiedo io viene a massaggiarmi quello della telecamera, che Dio lo benedica, ma mi puoi spiegare come fai a correre dietro alle donne anche quando sei in parete? Chi era quella? Ti ha almeno lasciato il numero di telefono? Avrà almeno un’amica: l’importante non è che sia carina, basta che sia compiacente." Guardò il gruupo di gente dinanzi a lui.
“Ti ho sentito, sai”, gli gridò da sotto Renato “E non erano poi tutte queste volte come dici tu: cioè una me la ricordo, le altre no..” Ciononostante sorrise, ripensando alle volte che si erano portati giù sostenendosi l’un l’altro, dopo avere festeggiato la riuscita di una via dando fondo a tutto quello che gli avanzava nello zaino.
Solo quando Paco si mise in piedi, con l’altro ben stretto, pronto per scendere in doppia, Cristina gli sorrise, preparandosi a tornare da dove era venuta: “Ci si vede, un giorno l’altro. Abbiamo fatto un buon lavoro insieme. A proposito: sai che non arrampichi affatto male? In quell’ultimo passaggio veloce col salto mi hai ricordato Dan Osman?”. Si girò e, nel giro di pochi rapidi movimenti, rapida come era arrivata, era già sparita.
Paco la guardò arrampicare per un lungo attimo: se ne incontrano poche di donne così. Poi si riscosse, provò a verificare che non fosse troppo squilibrato con quell’energumeno addosso e si preparò a scendere in rapidi balzi. Aveva preparato il Prusick in alto, nel timore che gli rimanesse incastrato nel discensore, ed aveva fatto bene. Riuscì a scendere in tre rapidi balzi, piegando bene con le gambe per ammortizzare al tremine di ogni salto, incurante del calore sprigionato dalla corda sul metallo. Portare giù un peso morto e riuscire a controllare equilibrio e la velocità della discesa non era facile. Cercò di fare più in fretta che potè, nel timore che quello gli scivolasse e che lui non avesse poi la forza di impedirlo. Non aveva neanche toccato terra che già qualcuno glielo levava di dosso e lo sistemava sulla sdraio che lui stesso si era portato, mentre nel frattempo giungeva l’ambulanza con il primo soccorso.
Per un attimo Paco si sentì sollevato: sollevato dal peso del bestione, sollevato dalla tensione di quel compito, sollevato dall’assenza delle sue nuvole nere, compagne inseparabili degli ultimi due anni. Nessuno lo stava considerando, gli amici di Bruno ci si accalcavano dando fastidio ai paramedici: l’uomo con la telecamera la teneva in alto tentando di superare il muro di gente. Renato gli comparve vicino, e con la mano gli strinse forte il bicipite. La frase “hai fatto un gran lavoro”, Renè non la pronunciò mai, ma Paco la sentì lo stesso. Si stirò la schiena dolorante, cercando di impedire a tutti i dolori che aveva accumulato in quella magnifica e pazza giornata di reclamare finalmente il loro tributo. Renato Tirò fuori dallo zaino un tubetto di antinfiammatorio e fece per passarlo all’amico. Il tubetto fu prelevato dalle lunghe dita sottili di Patti, che era ancora lì dietro di lui. Non si era avvicinata all’altro. Rapidamente svitò il tappo e gli disse “Siediti, ci penso io. E’ il minimo che posso fare, per avere fatto ciò che hai fatto”. Poi sorrise, finalmente non più femmina fatale, ma disarmata e disarmante, solo Patti e la sua fila di denti bianchi. Allungò la mano“Penso che nessuno ci abbia ancora presentati. Piacere, Patti”. E quello là steso è mio fratello”. Paco porse la sua e ricevette una mano fresca, con una stretta decisa, segno di un carattere forte. Poi gli fece il gesto come per dire “siediti” e Paco si girò e si appoggiò sul suo zaino, mentre le mani di Patti incominciarono lentamente a massaggiargli i muscoli della schiena.
Paco riusciva a sentire le dita di lei percorrergli la schiena; unte dalla crema, affondavano, accarezzavano vecchie nuove cicatrici, risalivano e lo manipolavano come si fa con la pasta del pane. Gli dava i brividi. “Questa è una che almeno le mani le sa usare. Mi sa anche tutto il resto”, pensò maliziosamente, cominciando a fantasticare, su di lei, sulle sue mani, su loro due, con il “Clic” che fermava nuovamente il tempo. Fu riportato alla realtà da Renato, che stava facendo su la corda, controllandone con eccessiva cura ogni centimetro e scuotendo la testa. “Sentimi bene:”, gli disse: “a parte il fatto che a farti sicurezza ho anch’io un fastidioso dolorino dietro il collo, ma se lo chiedo io viene a massaggiarmi quello della telecamera, che Dio lo benedica, ma mi puoi spiegare come fai a correre dietro alle donne anche quando sei in parete? Chi era quella? Ti ha almeno lasciato il numero di telefono? Avrà almeno un’amica: l’importante non è che sia carina, basta che sia compiacente." Guardò il gruupo di gente dinanzi a lui.
"Dì un po’: ma lo sanno questi qui che ti danno le spalle che sei l’eroe del giorno?. ‘Spetta me che glielo ricordo io”. Detto fatto, salì agile sul cofano del SUV, tanto Bruno non vedeva, mise le mani a cono davanti alla bocca e disse:“……….
[Domani mattina continuo, giuro, (se mi sveglio presto..). Adesso mi aspettano un paio di rotonde, per vedere quanta pedalina ci lascio.]
un bacio di corsissima dal mare. Non é facile rubare un attimo al mio mondo, ma ti leggo ugualmente. (Dì a quella Patti di non far troppo la furba)
RispondiElimina@Sveva:
RispondiElimina[Renato salì sul cofano del SUV e bastò la forza impressa in quel gesto: non bloccata da alcun freno a mano, l'autovettura in folle si mise in movimeto, lenta, schiacciando inesorabilmente Patti sotto le enormi ruote motrici. Di lei rimase fuori solo il braccio, con la mano dalle unghie laccate che aveva spremuto fino in fondo il tubetto di antinfiammatorio...]
Va meglio, così?
Bravo. Va già decisamente meglio.
RispondiElimina