mercoledì 22 luglio 2009

Appeso con due dita alla vita - Tomahwak 3

Il volo questa volta se lo era preparato. Non l'aveva subito, non gli era stato imposto e rubato, quel pezzo veloce di vita: l'aveva vissuto, con la consapevolezza folle che ne valeva la pena. Ed era vero. L'urlo strozzato del gruppetto l'aveva sentito, prima ancora che uscisse involontario dalle loro bocche, quando aveva pensato: "Ecco. Adesso lo fanno".
Si era lasciato andare con una leggera spinta in fuori. Ed era andato giù, diritto come la goccia d'acqua della sua doccia che perdeva da sempre. Quella cadeva sempre lì, mai un centimetro più avanti. Aveva visto rapido il punto di mezzo passare, il rinvio con la fettuccia verde a cui si era assicurato. Ed il colpo nelle reni dato dall'imbrago non l'aveva sorpreso. Era stato solo di un poco più soffocante di quando qualcuno ti cala velocemente per farti il solito vecchio scherzo e poi ti ferma con uno strattone. Aveva visto il colore della fettuccia e gli era venuto in mente il colore verde della coppa di gelato che prendeva ultimamente, "una da due euro, cocco e yogurt, grazie!"; sempre gli stessi gusti da almeno sei mesi. Ed ancora non si era stufato. "Dovrei avere una ragazza gelato, cocco e yogurt, magari non mi stufo".
"Mi andrebbe un gelato", disse calmo. Si trovava un pò più in basso di prima, fermo, calmo e serio con lo sguardo puntato in basso, diretto verso Renato, come se quel momento fosse la cosa più naturale del mondo. L'amico era stato veloce, ma aveva capito quello che voleva fare quel matto. Non l'aveva fermato recuperando tutto quello che aveva potuto, ma gli aveva concesso il tempo per un rapido battito d'ali. Ciononostante le braccia gli facevano un male della madonna, ed aveva il fiatone. Paco non era certo un peso piuma.
"Scusa?? Non è che ho capito male? Voli due volte in meno di cinque minuti e la prima cosa che ti viene in mente è che vuoi un gelato? Sai ho visto balconi molto meno fuori di te! Sicuro che prima non hai battuto anche la testa, per caso?"
Si guardò intorno e vide la gente: tutti a naso in su. Alcuni erano ancora in apnea, ma tutti, nessuno escluso, avevano la bocca aperta. Istintivamente pensò al gioco del buttare la pallina nei vasi dei pesci rossi, quando ci sono le giostre. "Oggi sarebbe il giorno giusto per vincere la bambolina" gli venne in mente, immaginandosi la scena. Ritrovò il suo spirito goliardico e, rivolto all'amico, aggiunse: "Allora, dato che adesso ti sei sfogato, vuoi darti una mossa o mi fai fare la bella statuina fino a questo pomeriggio? O devo venire su a portarti davvero il gelato? Che gusto vuoi?" Paco, sempre girato, sempre appeso, sorrise, in una fila di denti candidi nel volto abbronzato: si stava ancora immaginando la ragazza gelato, dolce e cremosa. "Che stupido, immagino saranno sempre i soliti cazzo di yogurt e cocco!" Paco gli fece il gesto di colpirlo in silenzio con una pistola fatta con le dita, che rimise nel fodero immaginario. Poi si girò e ripercorse rapido i movimenti che aveva già eseguito poco prima, ritornando in un lampo subito sotto lo spit a cui non si era volutamente assicurato.
Renato trattenne nuovamente il fiato: "Dio no; ti prego, non un'altra volta, non ti sei sfogato abbastanza? Guarda che la corda l'ho comprata usata alla Lidl, non è proprio sicuro che tenga, e poi te l'ho già detto che ti trovo ingrassato?" Per tutta risposta Paco alzò la mano destra mostrandogli il dito medio, poi spostò il braccio indietro e prese un rinvio dall'imbrago per assicurarsi. Al "clic" prodotto quando ci fece passare la corda dentro, molti di quelli lì sotto emisero un sospiro di sollievo, Renato incluso. Ora di gente a guardarlo ce n'era un discreto gruppetto, anche uno con la telecamera, che stava riprendendo chissà da quando.
"A Dottò, scusiii, guardi che io sono il suo agente, il manager" lo interpellò Renè: "Lei sa cosa sono le royalties? Qui da noi si fa così: dunque, lei può riprendere il mio protetto, se ci paga in generi voluttuari, principalmente alcolici e devono essere tanti, ma non solo, perché a noi bere a stomaco vuoto fa male; in alternativa va bene lo stesso se ha una figlia carina, ma sarebbe meglio due".
L'uomo con la telecamera rise, e gli disse che era pronto a rifocillarli con quanto aveva nel camper lì vicino, che di roba ce n'era abbastanza. Renè aggiunse, con ka voce alla Totò: "Lo dico per lei, si lasci servire da me che sono un uomo di mondo: ci ripensi, se ha due figlie; non so se le conviene darci libero accesso alla dispensa: quello lassù", indicando Paco", è peggio di un'idrovora".
Aveva ritrovato rapidamente la battuta, di fronte ad un discreto pubblico e stava avendo il suo consueto successo. Poi d'impulso si girò per guardarsi dietro ed aggiunse, senza aspettarsi risposta, rivolto a Patti che lo guardava e non rideva: "Ma cosa ci fai tu agli uomini? Oh cazzo, adesso devo recuperare tutta questa corda, che se quello mi cade un'altra volta stavolta fa un buco per terra profondo mezzo metro!".
Paco nel frattempo aveva ripreso ed aveva ripreso rapido, agile, deciso. Ascoltava le battute scherzose dell'amico là sotto e ne sorrideva. Si sentiva bene, bene, bene. Non gli dispiaceva quello che gli era appena capitato, la rapida scarica di adrenalina l’aveva reso più forte e si sentiva pronto. Adesso era pronto. Signori in scena. Finalmente.
Incominciò ad aggredire la via con una decisione che sapeva di non avere mai avuto. Si inventava passaggi di forza e di equilibrio, sostenendosi con due dita e movendosi preciso. Arrampicava come un grande. Aveva una sensazione di se stesso sulla parete che non aveva mai provato e che gli permetteva di andare oltre. Era quasi contento. Pensava a quello che avrebbe raccontato a Mondo, quando si sarebbero incontrati nuovamente, accucciati di fianco alla stufa che scoppiettava, con le scintille che morivano uscendo e le tazze fumanti in mano, complici di un segreto tutto loro.
Ogni tanto sentiva partire qualche applauso proveniente dal basso nei momenti che quelli di sotto giudicavano più critici, mentre a lui apparivano impegnativi sì, ma di una semplicità disarmante. Incominciò a fischiettare, come gli capitava quando gli girava nel modo giusto, e sapeva farlo bene. Gli venne naturale mettersi a fischiare “Blowing in the Wind” di Bob Dylan; era un brano che adorava da molto tempo prima di One ed a cui non pensava più da mille anni. E adesso era lì, in testa tutta per lui, fresca come allora, pronta nel Juke Box della sua memoria. Lui mise giù la monetina e questa sali, dai polmoni alla lingua, transitando stretta attraverso le labbra socchiuse, uscendo libera mentre lui continuava a salire a tempo quasi non facesse sforzo, modulandola e usando tutto il fiato che aveva dentro. E il suo fischiare si propagava, rimbalzava in parete, e chissà dove andava finire. Forse non finiva.
Sotto erano tutti a guardarlo con il naso in su. Renato si era impossessato del berretto dell’uomo con la telecamera, se lo era messo per terra davanti ai piedi esclamando: “Musica & spettacolo, eccezionalmente solo oggi signori: fatevi avanti gente, per una generosa offerta”. Non era possibile: era il Renato di sempre.
Paco aveva ormai raggiunto l’altezza dove stava Bruno, che aveva assistito a tutto e lo stava fissando. Era stanco e si vedeva. Era sudato e un poco della spavalderia l’aveva persa, strappata pezzo per pezzo dalle difficoltà incontrate lungo la sua via. E quella comunque era una via tosta, non dimentichiamolo. Paco lo guardò bene arrivando su; lo vide stanco ma comunque non vinto, sudato e muscoloso, col minuscolo moschettone alla cintola dell’imbrago che gli faceva dondolare il cellulare e, nonostante quel particolare assurdo, involontariamente lo ammirò. Ci voleva grinta e quello ne aveva a pacchi. Istintivamente, sempre fischiando, gli sorrise.
“Hai finito di fare il buffone?” Gli tirò addosso invece l’altro. Era seccato e la frase gli uscì sibilando, stretta tra i denti. Paco si ricordò la sua prima impressione nei confronti di Bruno e quasi si pentì di avergli sorriso, ma rimase sereno: “Veramente avrei appena cominciato: sai, oggi mi va così, che vuoi farci, sono un pò "descentrà"; noi gente di montagna siamo come il cattivo tempo: imprevedibili, non sai mai quando ti arrivano addosso.” Gli disse, saltando noncurante uno spit con uno slancio che fece partire un altro applauso ed afferrando rapido appigli inesistenti, leggero come un gatto. Gli sembrava di arrampicare sulla luna. Lo guardò fisso e poi, stavolta senza sorridere, aggiunse: “Sai, dovresti provare a prenderti un po’ meno sul serio, rilassa sai? Goditela la parete, non cercare di vincere, perché non è con me che stai facendo una gara ma con lei. E lei non la vincerai mai”.
Bruno stava cercando qualcosa di tagliente da rispondergli, a quel bastardo saputo, una secchiata d’acqua gelata per levare il sorriso beffardo che gli faceva montare mille cristi, ma non ne ebbe più il tempo.
Incominciò tutto con un suono sottile, uno scalpiccio di passi di piccoli folletti maligni che correvano giù dalla parete. Poi tutti insieme vennero giù quelli grossi, e la scarica di sassi li investì. In pieno.
“Pietree!!!” gridarono quasi all’unisono da sotto sia Tony sia Renato. La gente si disperse in un lampo, come quando la goccia d’acqua dell’acquaio impatta contro il ripiano di marmo, mentre i due si allontanarono quel minimo necessario per continuare a far loro sicurezza. Il signore con la telecamera non si era invece mosso, continuando a riprendere in su. Era brutta, brutta davvero. Istintivamente i due si acquattarono contro la parete, abbracciandola, bimbi attaccati alle gambe della madre, cercando di offrire il minor numero possibile di parti esposte alla furia del momento. Nessuno dei due aveva il casco. Bruno era assicurato, mentre a Paco per assicurarsi mancava ancora più della lunghezza del suo braccio. E l’altro rinvio sotto non l’aveva volutamente messo. Non riuscì a fare a meno di pensare: “Cazzo, devo far regolare l’orologio dei desideri: va indietro di una mezz’oretta abbondante”, e poi più niente. La scarica era decisa: i sassi venivano giù fischiando anche loro, ma la canzone non gli piaceva affatto. Quelli piccoli erano un morso feroce, che lacerava piccoli lembi di pelle e scappavano via, ma quelli più grossi invece facevano male, e parecchio.
Era durato il tutto meno di cinque secondi e come era arrivato tutto era finito, con gli ultimi ritardatari che, rimbalzando, si perdevano nel vuoto. Poi silenzio.
Paco si staccò dalla parete, tossì, sputando saliva, sangue e polvere e si guardò: la testa gli girava appena, un fastidioso moscone ci sbatteva rabbiosamente dentro. Cominciò a muovere le dita delle mani. Dai capelli ai piedi era bianco di polvere, gli sembrava di essere stato pestato per bene ed un rivoletto di sangue gli partiva da un ampio taglio sul dorso della mano e proseguiva giù giù in tutto l’avambraccio, terminando in piccole goccioline scure che si smarrivano sulla roccia, mischiate alla polvere. I suoi pantaloni avevano subito l'ultimo e definitivo assalto. Guardò di riflesso Bruno ma per un secondo non comprese: tra la polvere e le botte ricevute aveva la vista annebbiata ma c’era qualcosa che non tornava. Scosse la testa come per metterlo meglio a fuoco.
Bruno era una maschera di sangue ed aveva una mano piegata sinistramente all’indietro, segno di un polso chiaramente fratturato che lui si guardava instupidito. Sembrava ubriaco. Un masso aveva colpito la roccia proprio sopra di lui sull’occhiello dello spit ed era esplosa in mille schegge appuntite. Si era istintivamente messo il braccio davanti agli occhi per proteggerli, e quel gesto glieli aveva salvati, ma il resto era un casino e grosso. I pezzettini micidiali l’avevano colpito dappertutto: la canotta era a brandelli e del cellulare non c’era più traccia. Un pezzo di pietra grosso come un pugno gli aveva girato il polso e gli aveva mancato di un soffio la tempia.
Paco si riscosse. L’attenzione si concentrò come uno zoom della sua Nikon sul punto d’impatto del masso. Il moschettone del rinvio si era crepato, della leva di chiusura non c'era più traccia e la corda, mezza colpita anche lei e mezza sfilacciata, stava cominciando a sfilare fuori dall'asola.
“Molla, molla mollaaa!!!” Gridò di colpo Paco, rivolto a Renato, mentre inconsciamente, si era già preparato a spostarsi, abbandonando la sua posizione. Aveva bisogno di corda e subito. Quello non sarebbe rimasto su ancora per molto e se fosse caduto una corda in quello stato non avrebbe retto allo strappo. L'altro di tempo non ne avrebbe avrebbe avuto più.
Paco non guardava sotto, non vedeva e non sentiva, non gliene fregava un cazzo del mondo. Doveva arrivare lì ed arrivarci subito. Fissava duro quel lembo di corda obbligandola con quello sguardo a fermarsi. Avrebbe voluto fermarlo, 'sto cazzo di tempo. Schioccava le dita: "CLIC", e lo fermava.
Tutto fermo: il sole, le nuvole, un merlo che passava veloce a meno di tre metri da lui e che invece rimaneva sospeso nell'aria, immobile.
Tutto fermo: i gitanti là in fondo sul sentiero, il suono dei campanacci delle mucche della margaria, il vento e le voci della gente improvvisamente in silenzio ed immobili. Tranne lui che, con tutta la calma e l'attenzione che serviva, si spostava, arrivava dall'altra parte, metteva quello al sicuro e poi: "CLIC!" e la giostra della vita riprendeva a girare, prima piano piano e poi regolare. I rumori interrotti a metà si riattivavano, ed i movimenti sospesi continuavano. Avesse avuto quella possibilità stamattina... "CLIC!" e forse non sarebbe neanche venuto su, impiegando quell'assenza di sè per passare del tempo, anzi del non tempo solo con Patti. Ed invece era lì. Il merlo era passato in un frullo d’ali e lo scampanio non si era fermato.
Aveva raggiunto la sosta in un secondo e si era assicurato, aveva cominciato a parlare e non aveva più smesso. Parlava con voce monocorde, bassa e profonda, per tranquillizzare Bruno e non trasmettergli l'angoscia delle cose che non era in grado di cambiare che lo stava attraversando, mentre dava ordini rapidi e secchi ai due di sotto.
"Renato, sei vivo? Tanto anche se hai preso un sasso in testa si è sicuramente rotto lui e quindi fai quello che dico. Ho intenzione di andare a prenderlo al volo quindi mollami corda come se non ne avessi affatto. Non ho tempo per scendere e salire, quindi attraverso, si dovrebbe poter fare. Se non ce la faccio e cado tienimi, proverò poi da sotto a risalire sulla sua via rimanendo assicurato dall'alto, e Bruno, ascoltami, TU NON TI MUOVERE, non hai niente, stai tranquillo, tienti bene che arrivo subito. Tony, tu non fare niente, tienilo così com'è, non mollare e non metterlo in tiro, che la corda non è messa bene". Era un eufemismo.
Erano a metà parete. Le due vie non erano poi distantissime. C’era solo da fare in fretta. Se solo Bruno avesse potuto mettersi in sicurezza. Bastava un cordino, ed una mano che funzionasse. Sembrava un cameriere che porta un vassoio senza il vassoio, e stava a guardarsela messa in quella strana posizione, come ipnotizzato.
Il più rapido traverso della sua vita. Arrampicare in orizzontale era sempre stato strano, per lui che cercava sempre la via della “goccia d’acqua”, come gli dicevano i libri dei vecchi, dei Comici e dei Bonatti che aveva divorato da piccolo. Andare di lato era strano, quasi innaturale. Belli invece i traversi delle dolomiti, dove aveva anche fatto dei pendoli da paura, quasi correndo orizzontale alla parete, come se la forza di gravità fosse nel fianco della montagna e non sotto di lui. La corda lo richiamò indietro. Renato non era stato abbastanza veloce: “Scusa”, gli disse da sotto, dandogliene: “E’ che sto contando i centimetri, non è che ce ne rimanga poi tanta”.
“E’ che sei uno spilorcio, ecco quello che sei, dovevamo usare la mia. Ti avevo detto di comprartela da sessanta metri e non da cinquanta” - “Primo, tanto me la porto sempre io nello zaino, tu trovi sempre mille scuse tra cui il fatto che hai la moto per lasciarla a casa, e secondo te l’ho già detto che facevano i saldi, c’era solo più questa ed un’altra fatta per il campeggio, non sono neanche sicuro di aver preso quella giusta; beh, pensando ai voli che mi ci hai fatto sopra, devo aver scelto quella buona. Comunque dopo di oggi non ci appendo più neanche i salami. Mi sa che me ne devi una nuova”. Continuando a danzare, Paco guardò il nodo davanti all’imbrago sorridendo. Edelrid 10.2mm, c’era scritto. Avrebbe retto a ben altre cadute.
Bruno era nel limbo. Sentiva i rumori, sentiva voci ovattate e non riusciva a vedersi altro che quella mano tirata all’indietro davanti ai suoi occhi che non si levava da lì, chissà perché. Non aveva dolore, solo un “uuuuuuuuuuu” sommesso che suonava incessante. Per il resto la visione lattea delle cose che lo circondava lo faceva sentire in un bozzolo. Non aveva capito ancora cosa era successo. Si sentiva acquoso, e qualcosa di dolciastro e appiccicoso gli impiastricciava la faccia.
Poi lo vide.
Vide che stava venendo verso di lui, quel bastardo. Sì, era proprio un bastardo: non gli bastava farsi bello facendo a momenti anche le capriole su quella via, non gli bastava salire come se camminasse invece che arrampicare; non gli bastava averlo sputtanato e metterlo in ridicolo davanti ai suoi amici, raggiungendolo in due minuti mentre lui ci aveva sputato l’anima a salire: adesso voleva anche rubargli la via! Ma gliel’avrebbe fatta vedere lui, a quel fesso. Non l’avrebbe raggiunto mai, avrebbe vinto lui. Era solo a due metri; era ora di muoversi. Se non fosse stato per quella sensazione che aveva. Si sentiva drogato. Paco stava cercando di muoversi più in fretta che poteva, e mentre si avvicinava a Bruno, che continuava ad assomigliare ad uno zombie, continuava a parlargli piano per farlo stare tranquillo.
Era stato quando era su un passaggio delicato, a meno di due metri da lui che vide l’altro muoversi: sembrava che avesse deciso di riprendere a salire. Per un secondo pensò solo che stesse cambiando posizione, poi di colpo lo vide: quello stava veramente per ricominciare a salire.
“Bruno, ascoltami. Fermati. Con quella mano non puoi muoverti. Bruno, aspetta, non muoverti, Bruno, mi senti? Bruno, ti ho detto di non muoverti. Dammi un minuto ed arrivo. Ascolta! Cazzo, Renè, questo è andato, non mi sente! Tony, dirgli di fermarsi!” Finì la frase quasi urlando.
Bruno avvertiva che quello stava veramente arrivando. “Non ce la fai, bastardo che non sei altro, non arrivi a prendermi, ti faccio vedere io come si arrampica, altro che montanaro”. Pensava ma non riusciva a parlare. Si sentiva in un sogno, forse stava sognando veramente. Se solo qualcuno avesse levato quella mano storta da davanti ad i suoi occhi. Decise di mettere la sua mano destra (ma dov’era?) sulla roccia per riprendersi la via che era sua, solo sua e fece per andare su.
La scarica di dolore quando appoggiò le dita sulla roccia e ci si appese fu devastante. Come se gliel’avessero attraversata con un ferro rovente. L’urlo gli uscì da dentro, così profondo e rabbioso che per un attimo pensò di non essere stato lui. Poi il velo nero dell'incoscienza gli calò definitivamente sugli occhi.
E per la seconda volta in quella giornata, qualcuno in parete si lasciò andare…

Paco capì che non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungerlo. Era in bilico, aveva bisogno di uno slancio per arrivare alla catena ma la sua posizione era troppo precaria. Avesse mancato la presa avrebbe cominciato un pendolo che l’avrebbe sbattuto dietro lo spigolo Fornelli. Ma non c’era più tempo. Decise di provare. O la va o la spacca.
Fissò dove doveva arrivare. Era lungo, forse troppo, ma poi l’altro appoggiò la mano sulla parete, urlò e si sbilanciò all’indietro. Paco saltò.
Una massa di riccioli biondi, con una maglia rossa con le sigle di alcuni sponsor era lì. Sopra Bruno. Con una mano si teneva alla roccia. Con l’altra aveva afferrato Bruno al braccio muscoloso in una morsa ferrea, proprio mentre stava perdendo l’equilibrio. Lo teneva inchiodato alla parete, e sembrava non facesse alcuno sforzo. Era lì e lo vide arrivare alla fine del salto, con le dita che mordevano la catena. Paco era senza parole.
“E… e tu da dove spunti?” Le chiese alla fine. L’aveva guardata negli occhi ed era stato ricambiato da uno sguardo sincero che gli aveva scavato nell’animo. Lei alzò lo sguardo verso l’alto, l’alto della roccia magari più su, in silenzio, con i riccioli che giocavano impertinenti con il vento. Poi gli disse “Vedi di assicurarlo alla sosta con un cordino, che questo pesa”.

…… Ciao Cristina!!! .


[Note per quelli del mio studio a cui, non ho ancora capito ancora perché, piace cosa scrivo (sospetto che sia perché è mia la firma sui loro assegni): 1) Visto che pensate che a scrivere faccia meno danni che a lavorare sul serio, perché non vi prendete quella cinquantina di grane che affollano la mia scrivania così posso soddisfare la vostra curiosità e dirvi cosa succede? Noo? Allora pazientate. Scrivo solo quando posso, e solo se mi scappa proprio.2) Ho comunque imparato, riscrivendo per metà (grazie alla rompi.. Giorgia che proprio non poteva aspettare che finissi e così un pezzettino gliel’ho stampato e l’ho potuto recuperare..)Tomahwak3, che sarà pure piacevole scrivere di getto, buttare giù tutto come ti viene, dal cuore alla tastiera, anche se fai un mare di errori, ma è meglio mettersi su word e POI, solo una volta finito, riportarlo sul post, visto che, non so perché, nel momento in cui ieri, avevo proprio ma proprio finito di scriverla…. Ho perso tutto!!! Qualcuno sa se c’è un backup dei post?]

1 commento:

  1. non sono una rompi solo un po'curiosa in quanto donna... forse sì anche un po' rompi, ma ti sto simpatica ammettilo e ringrazia visto che grazie a me ne hai salvato almeno un pezzo. giusto per saperti organizzare vorrai mica he vada in vacanza (parto tra 15 giorni grazie all'assegno che mi hai firmato tu) senza sapere che fine fanno sti quà?

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