lunedì 6 luglio 2009

La sua prima cima. 2117 m

La settimana scorsa la mia Ciccia, come la chiamo affettuosamente io, mi ha vergognosamente tradito per andare a saltare sui teppeti elastici, cosa che mi ha permesso, mentre collaudavo la nuova motosega tagliando legna, di elaborare Paco e qualche altro racconto. Non so voi, ma a me capita sempre che, mentre mi immergo in qualche attività che coinvolga solo me stesso, mi metta ad elaborare nelle mie fantasie innumerevoli storie; queste prendono spunto dal mio umore, da ciò che vedo o sento, da quello che succede realmente e poi seguono autonomamente strade proprie, che non posso mai prevedere all'inizio. Così è stato per Paco, la cui storia sta lentamente germogliando, innaffiata dagli avvenimenti. Ma riprediamo il filo.
La mia bella bimba, al ritorno da tutti i suoi salti mi è corsa incontro, ma ho fatto un pochettino l'offeso ed il sostenuto, per avere anche solo potuto preferire qualcos'altro, abbandonandomi senza pensarmi assolutamente. Che stupido
Riesco sempre a sbagliare tante di quelle cose che la cosa più saggia sarebbe, una volta presa una decisione, fare l'esatto contrario.

Far sentire in colpa mia figlia e vedere dispiacere nel suo cuore e nei suoi occhi che invece dovrebbero sempre riflettere il cielo in un sorriso mi ha fatto vergonare di me stesso. Le mie nuvole, sempre pronte, non devono contagiarla mai; vorrei esser disponibile in qualunque momento a giocare, circondarla di serenità ed allegria sempre; vorrei proteggerla, preservarla da tutti i dispiaceri di questo mondo: so che non è possibile, ma almeno non dovrei dargliene io, di inutili e gratis.

Ci siamo riconciliati subito, come facciamo quando abbiamo qualche piccolo disaccordo o dopo che io sono proprio costretto a comportarmi da padre(anche se faccio tanta fatica). Ci siamo ripromessi che la settimana successiva, cascasse il mondo, saremmo andati in montagna, noi due soli. E così abbiamo fatto.

L'altro ieri siamo tornati su, a casa nostra. Non so in quante case abiterò, ma so che quando parlo di casa "mia" non parlo sicuramente del mio domicilio attuale (anche perchè prima che lo possa considerare mio devono ancora passare 15 anni di mutuo..). E neanche l'alloggio dei miei a Torino, dove ho passato quasi trent'anni. Casa mia, o meglio nostra è quella di Bardonecchia, con la sala che è la stanza dove è nata mia madre, con il giardino dove gli alberi, quasi tutti larici e qualche pianta da frutta (anch'essi piantati da mia madre insieme alla sua) hanno quasi tutti più anni di me e sono come vecchi amici dispensatori di tranquillità e di fresco, con i quali ti puoi fermare ad ascoltarne le storie, nel sommesso sussurro serale che raccoglie il loro spirito. Sono stati le mie prime capanne di quando ero bambino, ed adesso sono lo stesso gioco per mia figlia ed i suoi amici. Capita purtroppo che, inevitabilmente, qualcuno di questi, colpito da qualche malattia o parassita o anche solo per l'età, improvvisamente secchi e muoia, lasciando uno spazio di erba rada e gli altri alberi intorno di colpo meno vicini, a prolungarne il ricordo. Difficilmente verrà sostituito, al limte servirà da base per appoggiarci sopra un vaso di fiori, un piccolo omaggio.

Tutto quello che vedo a casa mia ha una storia: ogni albero, ogni rosa, il cancello verde che ruota cigolando con il singolare mecanismo di apertura, la baracca da cantiere trasformata in uno stracolmo capanno degli attrezzi e giochi di bimbi, il lungo tavolo in legno con le panche ed il pergolato sovrastante. Abbiamo fatto praticamente tutto da noi, per trasformare in un piccolo paradiso quello che era l'avanzo di un cantiere, quando i miei genitori hanno ristrutturato la vecchia casa di mia nonna, circa quarant'anni fa. Abbiamo sacrificato, per anni, interi fine settimana, in cui ritornavamo a Torino massacrati e distrutti, con le braccia graffiate e le bolle sulle mani. Per quarant'anni i lavori sono sempre stati organizzati e gestiti da quel Direttore Generale della nostra famiglia che è stato mio padre e da quando lui non c'è più la strada è un pò più in salita e disordinata nelle priorità delle cose da fare. Ecco perchè è così nostro. Ma andiamo avanti: ho divagato nuovamente!!

Sabato siamo andati su. Le previsioni davano pioggia nel pomeriggio di domenica.
Sabato dopo cena decidiamo di andare a provare la nuovissima pista di pattinaggio su ghiaccio (finto) che hanno appena attrezzato, nel Tennis Club a fianco del Laghetto, vicino al cimitero dove riposa mio padre. E' una pista in materiale sintetico, simile al tagliere bianco che usano i macellai. Ci portiamo dietro anche mia nipote, ansiosa di provare uno sport che a sua cugina piace tanto. Ciccia arriva, vezzosa, trascinando il suo zainetto portapattini con le rotelle, per far vedere che lei è un'autentica professionista (son due anni che pattina...). Sua cugina invece è stupita, piccola e cicciotta com'è, con gli occhi azzurri sgranati per una cosa nuova che vuol provare assolutamente. Ma non è che sembri troppo convinta. Sulla pista solo un paio di persone ed un bambino giocano con l'istruttore ad hockey, utilizzando una pallina da tennis.

Francesca entra in pista e si trova subito in difficoltà, per un materiale a cui non è assolutamente abituata. Non riesce a scivolare e le lamine, ovviamente, tengono molto di meno che sul ghiaccio. Non è contenta, si vede e si sente: si lamenta apertamente. Io le dico di pazientare, che deve abituarsi alle caratteristiche della superficie. Sua cugina invece entra impacciata, prende le mani al maestro e si esibisce in una serie di posizioni delle gambe e dei piedi al limite del contorsionismo che neanche Jerry Lewis. Non riesce a controllarle, mentre si muovono a destra e sinistra, si incrociano e ruotano in maniera assolutamente imprevedivile ed incontrollata, mentre lei dice "Non riesco, proprio non riesco". Noi ridiamo di nascosto, anche il maestro sorride, mentre mia figlia si sganascia apertamente, talmente tanto che a momenti cade. Mia nipote subito vuol abbandonare. Poi invece molla le mani del maestro e si attacca al mancorrente a cui rimarrà saldamente aggrappata per tutta l'ora e mezza successiva, percorrendo più volte il perimetro della pista, passo dopo passo, senza staccarvisi mai. Ciccia pattina, recupera un pò di sicurezza e riesce ad andare. Poi, prende confidenza e convinta dagli altri pattinatori si mette a giocare ad hockey insieme a loro, divertendosi un mondo e facendoci divertire. L'altra nel frattempo, passo dopo passo continua imperterrita i suoi giri, sempre pattini ai piedi e mani sul mancorrente.

Risultato: siamo poi andati a dormire dopo la mezzanotte, con le due che, stanchissime, sono partite appena toccato il letto. Mia moglie mi guardava con un fumetto che diceva: "e tu, lurido bastardo, domattina avresti il coraggio di svegliarla presto per stravolgerla di fatica sulle tue insulse montagne? Sei una carogna!". Mi sono addormentato con il pensiero: "speriamo domani mattina piova..."

La mattina dopo alle 8.00 un cielo blu senza l'ombra di una nuvola si intravedeva dalla finestrella del bagno. Sono riuscito ad allontanarmi dalla camera dopo essermi lavato e vestito, cercando di non svegliare nessuno, anche se ogni rumore veniva debitamente sottolineato da brontolii irosi, provenienti da sotto le coperte, di mia moglie. Esco in giardino. L'aria è pulita e frizzante, inspiro a pieni polmoni. I miei alberi ondeggiando mi salutano. I due alla mia destra sono malati, e li guardo con lieve tristezza. Sono i compagni di quello che ho tagliato l'anno scorso, da solo, arrampicandomici per l'ultima volta, con la mia vecchia motosegna che dopo due giorni di lavoro non stop ha deciso di darmi il benservito ed abbandonarmi anche lei. Nel giardino c'è una rosa ad alberello con un fiore appena sbocciato, bellissima, screziata dei colori di pesca ed arancione, che fotografo. Esco, vado a far la spesa per l'appetito dela mia bimba di quando saremo lassù. Vado a prendere il pane e le focaccine rigorosamente a Borgovecchio, primo perchè è pù buono e poi per far passare un pò di tempo dall'inevitabile risveglio. Poi, tornando sotto, prendo il resto per condirle i panini in maniera golosa: prosciutto cotto ("del più buono, per la mia cita"), maionese e pompodorini. E poi cioccolata, biscottini, succo di frutta e schifezze. Decisamente la vizio. Poi scendo da Ugetti a prendere le brioches che profumano di burro per tutti. Rientro dopo quaranta minuti, preparo i panini, riempio lo zaino. Ci metto dentro i nostri due coltelli, un Opinel con il manico scuro che era di mio padre ed uno in legno chiaro con incisi due cervi che è il suo (e ci si è già punta un dito). Preparo la colazione e dopo poco la casa incomincia a svegliarsi. Arriva mia figlia stropicciandosi pigramente gli occhi e mia moglie che mi guarda con profonda disapprovazione. Lei avrebbe preferito farla dormire fino alle 11. Siamo diversi. Ignoro lo sguardo e finisco di preparare tutto; metto binocolo, macchina fotografica e due sole delle quarantacinque maglie che mia moglie voleva costringermi a portare. "Per cambiarla se suda" suggerisce lei. "Se la vesti con il Moncler anche d'estate è logico che sudi", ribatto io. Finiamo colazione. Mia figlia è quasi pronta, l'unica che dorme ancora è mia nipote, stremata dalla sera prima. Usciamo in giardino ed indosso lo zaino. "Non andiamo in macchina?" Mi chiede. La mia occhiata in tralice del tipo "sto faticando a riconoscerti come figlia" le fa capire che forse no, andremmo a piedi. Salutiamo, usciamo nel vialetto e ci immettiamo in una via Medail che, alle 10, comincia ad essere frequentata. "Manina!", esige lei, pretendendola come sempre e rimroverandomi quando non gliela stringo abbastanza. La prendo per mano, gliela spremo per scherzo ed insieme andiamo.

E cominciamo a parlare, come facciamo sempre, di tutto, delle cose che vede e che sente e dei suoi innumerevoli perchè. E' curiosa su tutto ed io, al momento sono la sua più grande fonte si sapere. Già comincio a fare fatica a darle tutte le risposte. Lasciamo il paese e ci incamminiamo su, tra i frassini ed i ciliegi selvatici ai lati della strada militare che porta in cima alle Tre Croci. Ho scelto questo itinerario perchè anche se facile (si tratta in realtà di una collinetta, che però dal nostro giardino appare come a strapiombo sopra una parete rocciosa), anche la Guida CAI-TCI ai Monti d’Italia dedica un breve paragrafo al Poggio Tre Croci, trattandolo al pari di una vetta. Quindi in effetti sarà la sua prima e vera cima. La strada si arrampica in numerosi tornanti, e si snoda principalmente nel bosco, alternando a zone ombreggiate brevi tratti assolati. Saliamo e continuiamo a parlare, mano nella mano, fermandoci a raccogliere qualche fragolina ed ad assaggiare il sapore zuccherino dei fiori del trifoglio, che la sorprende; osserviamo i fiori e gli insetti che vediamo e fotografiamo, e raccogliamo pietroline che levigheremo (gliel'ho promesso) per fare ciondoli. E le invento storie. Le storie parlano delle montagne, che vivono millenni e si muovono lentissime, che per pronunciare una frase ci mettono un anno e che ci vedono passare veloci, come noi vediamo le formiche sotto di noi. Le storie parlano delle formiche, anzi delle due formiche che, da quando era piccola, accompagnano le sue fantasie, facendo, nella vita da formiche le stesse cose che facciamo noi (nello specifico del raccondo le due formichine, a cavallo di due soffioni, erano andate a finire, per colpa del vento, al ghiacciaio del Sommeiller). Le storie le invento per lei, per strapparle un sorriso, per farmi correggere quando mi ingarbuglio o mi dimentico qualcosa. E lei ci si aggrappa, sull'altalena della mia fantasia e, ridendo, vola felice. Ed intanto saliamo, e, sempre mano nella mano, arriviamo dove i boschi che ci accolgono sono quelli dei larice, affiancato inizialmente dal pino silvestre e, più in quota, da qualche abete rosso.

E' mezzogiorno, camminiamo senza sosta da circa due ore: la richiesta "Quanto manca ancora?" comincia a venir ripetuta troppo di frequente e decido di fare una pausa. Troviamo un prato dove, tra fiori e farfalle ci fermiano a scattare qualche foto. Giochiamo, sgranocchiamo due biscotti, ci rinfreschiamo ad una fontanella ricavata da un tronco e subito dopo ripartiamo. Nell'ultima mezzora Ciccia comincia ad essere stanca, ma, tornante dopo tornante, piano piano e con qualche altra pausa supplementare, finalmente arriviamo in cima. Sempre mano nella mano.

Prendiamo il binocolo dallo zaino. Il panorama che si gode è assai vasto, la vista spazia dal vallone della Rhô fino alla Guglia Rossa, all’imbocco della valle Stretta; passando sopra le cime dello Jafferau e del Colomion, nonché parte del vallone di Rochemolles, il vallone del Frejus, il ed il solco vallivo principale che porta alla bassa valle; un’infinità di vette fanno corona alla conca di Bardonecchia, posta proprio sotto di noi. Ci fermiamo vicino alle croci, osserviamo le nuvole grigie che cominciano ad arrivare da dietro la punta Charra e poi cerchiamo un posticino per rilassarci e mangiare qualcosa. Lei mangia, contenta, finalmente seduta a riposarsi e sorpresa per le cose buone che le ho comprato e che tiro fuori dallo zaino. Divora la tavoletta di cioccolato con le nocciole, ma di ogni cosa me ne offre sempre un pezzetto... anche se piccolo. Mangio anch'io, anche se in realtà mi basta guardarla per sentirmi bene, sazio. Dopo pranzo qualche foto, due coccole ed una chiacchierata con chi da sotto, con lo specchietto, ci manda segnali di luce, rapidi flash che abbagliano e che vedono stupiti anche i pochi gitanti che sono su con noi. Ma è già tempo di ripartire: le nuvole si stanno addensando, nascondendo il sole e la temperatura si abbassa. Scendiamo, sempre per mano, sempre raccontando miriadi di storie. Le due formiche della nostra favola infinita sono riuscite a farsi dare uno strappo da un'aquila ed adesso riposano nel mio zaino, rifocillandosi con un paio di briciole.

Lei mi imbecca, suggerendomi possibili finali e facendomi un sacco di domande. Scendiamo, fermandoci ogni tanto per farla riposare (comincia ad essere veramente stanca). Alla fontanella dell'andata ci rifermiamo e sbocconcelliamo la merenda, finendo definitivamente quello che le avevo portato e facendo l'ultima provvista d'acqua, anche se non ci servirà più. Ripartiamo, giocando, prendendo ripide scorciatoie, ci mettiamo a correre per brevi tratti, e lei ride felice, dimendicandosi per un pò la stanchezza. Il tempo peggiora e poi, quando ormai siamo a un quarto d'ora dal paese, improvvisamente, si mette a piovere. Finchè le chiome degli alberi si incrociano riusciamo a rimanere quasi asciutti, ma quando il sentiero si allarga non rimane molto da fare. Per un poco cerchiamo riparo sotto un albero, ma visto l'intensità della precipitazione decidiamo di bagnarci. E scendiamo ridendo come matti, con mia figlia che canta a squarciagiola "Piove, piove, acqua di limone", per scongiurare il ritorno del sole. Gli scrosci sono intensi, ed è perfettamente inutile rimanere nel tratto di sentieo sotto gli alberi, grondanti anche loro. L'aria si è riscaldata e l'acqua è quasi piacevole. Siamo ormai zuppi dalla testa ai piedi, ma sempre mano nella mano e felici. Continuando a cantare attraversiamo l'ultimo ponticello, dove ad attenderci c'è mia moglie con un ombrello ed una maglia di ricambio per la nostra bimba. Ed un sorriso per tutti e due.

3 commenti:

  1. Come fa un pezzo così bello a non suscitare un commento?
    bello
    bello
    bello.
    Belli Voi.
    sys

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  2. @Sys: Grazie, grazie, grazie!!!
    Sì, belli Noi. Proprio belli.

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  3. Ok, non sarò originale:

    bello
    bello
    bello.

    Belli voi. :D

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