sabato 10 luglio 2010

Una lunga storia d'amore [seconda parte]


Capitolo 3: Il cattivo
"Ci hanno comunicato la diagnosi. Linfoma non Hodgkin. E' una brutta bestia, sai."
Quella telefonata me la ricordo ancora. Me la ricordo bene, per la tua finta calma, quella spaventosa meticolosità nell'elencarmi tutto l'iter delle cure, e i tanti "e se questo non funzionasse allora poi".
Me lo ricordo quell'istante preciso e di ghiaccio, quella telefonata assurda e assordante, quel freddo nero che mi saliva dentro e mi rimaneva a soffocarmi in gola mentre tu parlavi.
Ci separavano, allora come sempre, quel centinaio abbondante di chilometri, ma forse non siamo mai stati così uniti e vicini, neanche quando dormivamo ad una branda di distanza, o quando mettevamo le mani sulle stesse rocce. 
Quel centinaio abbondante di chilometri che è la nostra condizione normale di amicizia, che si sbriciolano in un lampo riducendosi allo spazio che c'è prima di un abbraccio, come quella volta che sei sbucato in quella chiesa in cui salutavo per l'ultima volta mio padre, trovando le mie lacrime che non avevano voluto saperne di uscire, fino a quel momento. 
Me lo ricordo bene, quell'istante, quella fucilata al cuore, nella vostra splendida vita.
Il destino, doveva andare così, è il destino, mi ripetevi, così dannatamente calmo.
E io lo maledicevo, il destino, lo avrei aspettato fuori e caricato di botte, che le cose ingiuste contro cui non puoi e non sai combattere sono quelle che fan venire sempre più rabbia, e non avevo parole, non avevo frasi di circostanza, niente, avevo di mio solo il dolore più puro e sincero, che devastava e la mia incapacità di farti coraggio. Oltre a tutte le speranze e le preghiere ed i pensieri che i "se questo non funzionasse" si esaurissero subito.
Ma i se questo non funzionasse non si sono esauriti, anzi, si sono ingrossati, snocciolandosi uno via l'altro.
Le cure aumentavano d'intensità, le operazioni, prima, quelle terapie che non sai cosa è peggio, se il male o la cura, che ti bruciano anche la voglia di alzare gli occhi poi, e sempre più giù e sempre addosso e sempre peggio. False speranze, falsi forse questa volta.
Il cattivo era un subdolo bastardo e combatteva da vigliacco. Sulle prime pareva che accusasse il colpo, faceva finta di perdere vigore, barcollava ferito, indebolito. Faceva finta, sì, perchè quando si rialzava in piedi tornava ancora una volta più aggressivo.

Ed ho anche un'altra telefonata, nella mia mente, che difficilmente dimenticherò.
Fine settembre a Parigi, Eurodisney e mia figlia, allora piccola piccola che aveva paura dei pupazzi che le correvano incontro per abbracciarla. Ero nello slargo davanti al castello di Biancaneve, le tre del pomeriggio circa. Ed Irene aveva pesantemente accusato gli effetti delle ultime terapie.
Squilla il cellulare, è Francesco, che a quell'ora non telefona mai. 
Si è formata in me la certezza, in quel momento tremendo, mentre guardavo muto il nome che lampeggiava, che Irene non c'era più. Mi è salita in gola tutta la disperazione che avevo sopita, mentre trovavo la forza per schiacciare il tasto verde e rispondere all'amico. Non c'era più né parco né  castello, c'ero io e quel telefono, e c'era Francesco ma non c'era Irene.
E sono stato in silenzio, senza poter dire niente, con le lacrime mi scendevano inconsapevoli e mia moglie mi guardava sbigottita, mentre dall'altra parte Francesco, tutto tranquillo, si informava solamente dell'andamento nostra breve vacanza, perché era quello e nient'altro, il motivo della sua telefonata. E Irene c'era.
Sono stato sgarbato, ho tagliato corto e ho messo giù, lasciandolo un pochettino stranito. E mi sono messo subito a piangere come un deficiente, singhiozzando in mezzo alla calca di bambini e palloncini e colori e guglie d'oro, mentre non riuscivo neanche a spiegare a mia moglie che piangevo ma di sollievo. Irene c'era. Era un lumicino di Irene, una farfalla dalle ali sottili ma c'era.. Ci ho messo una mezz'ora buona, per calmarmi, fare respiri profondi e poi trovare la forza di richiamarlo ed insultarlo di brutto, dicendogli NONFARLOMAIPIU'! con la consorte che rideva pensando che ha un marito che sembrerà anche un orso, ma in realtà è un orso di pura pastafrolla.

E' stata una guerra spietata, sapete. E' stata una battaglia dura come poche ne ho viste senza schivare i colpi. Accettandoli, ma senza arretrare di un passo. Hanno combattuto insieme, donandosi fiducia e coraggio, sostenendosi nei momenti peggiori. In uno degli ultimi Irene aveva confidato di volerla smettere con tutte le terapie, ma solo per aver tempo da dedicarsi, per rimanere loro due soli e godersi serenamente il tempo che restava alla loro storia. Ma sono andati avanti, fino all'ultimo degli e se non funziona.
L'ultimo di questi si chiama autotrapianto del midollo. In realtà l'ultimo era il trapianto da donatore, ma trovare un donatore compatibile è praticamente impossibile.
L'autotrapianto inizialmente consiste in un prelievo. Pelevano e mettono da parte cellule staminali dal sangue del paziente stesso. Le raccolgono prima di sottoporre il paziente a chemioterapia ad alte dosi. In pratica ti bruciano dentro, distruggono il male ma anche il bene, come usare il napalm per scovare due guerriglieri nascosti in un villaggio con donne e bambini.
E così hanno fatto con Irene.
L'hanno quasi uccisa per salvarle la vita.
Hanno colpito con lo stesso getto d'acqua uno scarafaggio ed una farfalla dalle ali iridescenti, schiacciandoli entrambi.

Lei l'hanno poi raccolta con cura, facendo attenzione a quell'unico filo di vita a cui era ancora appesa. L'hanno ospitata in una camera sterile, con una parete vetrata, dove non entrava nessuno e lì le hanno ridato le gocce di vita, una per una, provenienti dal suo stesso midollo. Francesco era sempre lì. Francesco era quel vetro, quel camice, le fredde luci al neon, tutti i capelli che Irene aveva perso. 
Irene, chiusa nella sua bolla, era collegata al mondo dal pc, e io le mandavo mail stupidissime solo per farla ridere, immaginandomi quegli occhi stanchi che debolmente ritrovavano il loro colore.

Ce n'è voluto tanto di tempo ma l'ha ritrovato intatto, tutto quel colore, quel suo sorriso che sa di ieri e le sue mani che, nervose sanno suonare anche l'aria. Ed è tornata a casa.
Rimaneva solo più da aspettare l'esito degli esami. Aspettare il e se non ha funzionato, perchè se non ha funzionato questo sono finiti tutti i se.
Ed era Irene che sosteneva Francesco, che gli diceva pazienza, se non ha funzionato, pazienza.
Se non ha funzionato siamo stati così bene insieme, ci siamo amati di un amore che pochi proveranno così, intenso, puro e luminosissimo. Siamo stati fortunati, per tutto il tempo che abbiamo avuto.
E allora lui, quel giorno là, quando mancavano due giorni al ritiro degli esami, alla condanna definitiva o alla salvezza certa, all'insaputa di tutto e di tutti (me compreso) ha pensato e fatto una cosa incredibile.

Ha preso Irene e l'ha sposata.
Ma aveva bisogno di un testimone ed ha pensato a me. 

Mi ha telefonato un pomeriggio, esordendo subito con "Irene sta bene", per sicurezza, questa volta.
Io ero nel bel mezzo di una riunione e, ignaro gli ho chiesto se avrei poututo richiamarlo di lì a qualche ora. Ed invece di dirmi che no che non andava bene, che aveva bisogno di me e che dovevo muovermi subito, ha detto solo che voleva salutarmi. Non glie l'ho mai perdonato, di essere così com'è. Come non l'ho mai ringraziato abbastanza, di essere così com'è.

E il regalo di nozze più bello lo han ricevuto un paio di giorni più tardi, chiuso nella busta che han ritirato all'ospedale.

E oggi FrancescoeIrene, a distanza di tutti questi anni stanno insieme e bene. Lei si appresta a diventare il più grande direttore d'orchestra in gonnella esclusi gli scozzesi e lui, a quello che mi dicono ultimamente, dovrebbe essere "incinto" (e questa ve la spiegherò, prima o poi).


Nonostante le reciproche promesse e i tanti "un sabato di questi vedrai" non riusciamo a vederci. I concerti di lei, i reciprochi impegni sembrano fatti apposta per impedire che questo accada. Ma non importa, alla fine, perchè mi basta allungare una mano, oltre questa tastiera per toccarli e vedere gli occhi grigi e sornioni da dietro gli occhiali e quelli  neri, profondi e sorridenti di FrancescoeIrene.

16 commenti:

  1. ... mi regali brividi di belle emozioni, grazie.

    RispondiElimina
  2. ....appena infornato una crostata...nonostante il caldo...:(....dolce finale.:)
    Complimenti.
    Vania

    RispondiElimina
  3. è incredibile come scrivi bene e quante emozioni trasmetti.... veramente GRAZIE!!!
    grazie di scrivere e di condividere

    folada

    RispondiElimina
  4. @mjavale, @Vania, @Folada: Grazie lo dico io a voi, invece.

    RispondiElimina
  5. un racconto carico di emozioni.
    quella telefonata è stata un colpo al cuore.
    l'hai de-scritta benissimo.

    RispondiElimina
  6. @Morena: benvenuta e grazie. Un complimento da chi, come te le sue emozioni sa bene come viverle e descriverle, vale doppio.
    Grazie, di cuore.
    D&R

    RispondiElimina
  7. Sto piangendo come un agnellino (e sto in ufficio, in qualche modo devo nascondermi)

    RispondiElimina
  8. @Sù, dai, non far così. Vuoi un fazzoletto? Ecco, brava soffiati il naso adesso. E tieniti il fazzoletto :-)

    RispondiElimina
  9. Generoso, mi hai dato un kleenex, sgrunt!

    RispondiElimina
  10. Mi ha fatto proprio piacere che la storia abbia avuto un "happy ending"!
    Mia zia, bellissima anche lei, se ne andò a soli 51 anni, dopo 10 anni di cure per lo stesso linfoma.
    Ma questa è un'altra storia.

    Sai, leggendo i tuoi post, non ho cambiato l'idea che mi ero fatta di te leggendo i primi due (su tuo padre e tua figlia), gli ultimi nel tuo blog.

    Ciao e buona serata

    RispondiElimina
  11. @Occhi blu: sì, è una malattia terribile. In pochi sono stati fortunati come loro.

    RispondiElimina
  12. Già.
    Ieri sera ho raccontato la cosa a mia madre che è ancora da me (tornerà a VE domenica). La zia bellissima era sua sorella.
    Entrambe abbiamo riflettuto sul tuo racconto perché 21 anni fa, quando morì la zia, si "curava" il linfoma con la chemioterapia o la laserterapia o l'estrazione della milza.
    Nessuno accennò minimamente al trapianto del midollo. Evidentemente non si sapeva.
    Se si fosse saputo, mia zia probabilmente sarebbe vissuta fino ad oggi e avrebbe visto sua figlia crescere (mia cugina, figlia unica, aveva 18 anni quando morì sua madre).
    Doveva andare così. Ognuno di noi ha il suo tempo e il suo destino.
    :)

    RispondiElimina
  13. @Occhi blu: l'autotrapianto ed il trapianto di midollo sono cure abbastanza recenti. Le percentiali di riuscita dell'autotrapianto sono comunque basse, e trovare un donatore compatibile è difficilissimo.
    Già. Il suo tempo e il suo destino.

    RispondiElimina