venerdì 23 aprile 2010

Capita così

Che mi sorprenda. Ed ogni anno è uguale.
Non mi ci abituerò, non ce la farò a ricordarmelo ed a prepararmici per tempo, del tipo oggi non ancora ma vedrai domani..
A Torino la primavera esplode tutta in un momento. Roba che il giorno prima non te ne accorgi ancora, a parte qualche timido fiorellino violabiancoblù nel pallido praticello dello studio e quello dopo è cambiato tutto, di colpo. Gli alberi carichi di foglie fino a ieri non c'erano, giuro. Come un trucco da prestigiatore ben riuscito.
E ti stupisci, mentre percorri i lunghi viali alberati di questa città, che per incanto sembra meno grigia, meno fredda, meno sordomuta.
E ti sorprendono queste successioni di continue esplosioni fiorite  ai margini delle  strade ed i colori, quanti, e sempre troppi, per me.
E sorprende il tiepido sul viso, questo sole sfacciato che ha ripreso a scaldare.
Ed è quasi una pacchia, in moto; senti profumi che sovrastano i consunti miasmi, ne aspiri la fresca fragranza, li assapori, ti inebriano, quasi. La strada per casa è nuovamente da fare in moto, ed alle otto, la sera, è ancora abbastanza chiaro e la visiera può stare già tranquillamente aperta.
Gli starnuti e gli occhi che lacrimano sono arrivati puntuali ma son sopportabili, fan parte del gioco.
E questo lembo spettinato e malaticcio di erba e rose sbilenche d'un soffio diventa un gradito e costante impegno, alla mattina presto o all'ora di pranzo, un produttore di sfalci organici di prima qualità, solo a potare il biancospino quasi moribondo ieri mi sono andati via un paio di sacchi belli pieni, mentre per i lunghissimi rami rampicanti della vite decisamente di più, sembravo il Laocoonte. Ed ogni sera la consorte, contemplando le camicie sporche di verde e le unghie con la riga nera di terra, si domanda se veramente ha sposato un ingegnere, domanda alla quale non riesco, francamente, a dare una risposta certa.
E qui ci son tornati i merli, becchettando allegramente e condividendo lo spazio con i passeri che si puliscono il becco sui rami rugosi e contorti della verbena, con i colorati ed impettiti ciuffolotti, casinisti e rumorosi nelle loro frequentissime liti ed con qualche raro ed incantevole pettirosso che si defila elegante tra i rami della siepe.
Ci si sente lieti, quasi, guardando fuori, da queste grandi vetrate.
Si tiene la porta aperta sul fuori e si sopportano con maggior leggerezza le telefonate, le grane ed i lavori da fare.  Ci si perde, un poco, ma per finta, perchè poi si recupera comunque. Ci si scialla, quasi. Il gelato del primo pomeriggio non è tornato ad essere una consuetudine ma quasi. Ed il cono cocco e yogurt è ancora una volta da brivido.
Ho abbandonato la macchina subito, dimenticandomela in una stradina privata a due passi dallo studio riesumandola proprio quando non posso farne a meno.
Il Transalp non aspettava altro, anche se non ha da lamentarsi, in quest'inverno a parte la sosta "forzata" non si è riposata praticamente mai.
La mattina è fresca il giusto ed il mio neckwarmer ha ancora il suo bel perchè, l'aria è carica e saporosa della neve delle mie montagne, di un sole giallo e basso e dell'andata ne ho già parlato qui.
Il ritorno è quasi meglio.
Parte con la temperatura ideale ed un paio di rotonde belle, pulite pulite, da girare rabbiose e piegatissimi, giusto per scaldare le gomme. Il percorso è veloce, ci si destreggia bene nel traffico, si passano agili le lente code di chi rientra. Si costeggia un parco, dove i runners, a quell'ora sono tutti lì, ed io, fermo al mio solito semaforo rosso li guardo, critico e con una punta d'invidia. Poi, poco dopo imbocco la mia strada segreta, quella che non c'è nessuno mai o quasi. Una lunga, piacevole curva a destra ed un curvone verso sinistra, da pecorrere in piena, per quanto può il transalp che sbuffa e scalcia, reclamando un tagliando di cui ha bisogno da troppo. Alla destra torreggiano le prue delle case ormeggiate al vento su un mare di erba verde dove, placide, brucano piccoli greggi di poltrone di plastica.
Una staccata secca e via, butti giù la moto di braccia, prima a destra e poi a sinistra e, piegatissssimo, acceleri e vai, dritto nella lunga strada che passa sotto l'arco, illuminato nell'inizio di un tramonto.
La città si allontana in fretta, poi. La collina, a sinistra, comincia a scintillare di piccole schegge, il Monviso intanto, solitario nella quiete di un cielo che si carica di rosa, si fa avanti maestoso ed imponente.
Il resto poi son strade veloci, qualche curva ancora ed infine, laggiù sul fondo, le sagome familiari dei campanili di bucodiculoplace dove, di lì a poco, riceverò il mio respiro nel cuore quotidiano, gli abbracci della mia piccola, sempre meno piccola purtroppo, ogni volta che la guardo.
Oggi piove ed il caldo sembra svanito, ma il verde, le foglie ed i profumi son tutti lì, intatti.
L'incanto è solo messo tra due parentesi leggere.

2 commenti:

  1. ...che bellezza...ci si sente lieti anche leggere queste parentesi di Vita.
    ciaooo e buon proseguimento di primavera. :) Vania

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  2. @Vania: anche questo (ma non solo) è lo scopo per cui scrivo. Grazie!
    D&R

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