martedì 27 aprile 2010

It's a dirty job. But someone will have to do

Prendo spunto da QUI e fedele a quanto scritto nel mio post precedente, preferisco farmene uno tutto mio, piuttosto che invadere spazi altrui.
Ma la domanda è seria, gente.
Cosa farò da grande? Mi troverò sempre qui, giorno dopo giorno, anno dopo anno davanti a questa tastiera, ad osservarmi invecchiare, ad imbastire una vita appannata fatta di calcoli e disegni, di relazioni e software, di normative e conti da pagare e clienti da inseguire?
Forse mi manca il coraggio.
Dovessi riassumere il contenuto del post che ho appena letto scriverei, forse, solo quello.
Forse mi manca il coraggio.
Dovessi riassumere il contenuto della mia vita scriverei, forse, solo quello.
Forse mi manca il coraggio.
Non so se sia giusto o meno. Ci sono momenti in cui lo penso veramente. In cui la vita stessa mi trattiene con mille briglie appiccicose. Momenti in cui mi dico che se non ci fosse mia figlia, di me qui, in questo istante rimarrebbe solo l'impronta delle dita sulla tastiera.
Ho cominciato ieri. Ma il tempo è una brutta bestia, se cerchi di imbrigliarlo ti disarciona, ti invecchia di colpo se lo consideri. Millenovecentonovantatre. Diciassette anni fa, una generazione quasi, una vita. Ed il tasto rewind qui non c'è, cacchio.
 
L'insoddisfazione nasce da ciò che non si sa.

La domanda più stupida del mondo è dovessi ricominciare cosa farei? Certo che se dovessi ricominciare con la coscienza delle cose, con l'esperienza del vissuto certo che imparerei da questi. Ma dovessi ricominciare da capo, pulito, una lavagna nera lucida priva di tutte le tracce di gesso bianco che mi han segnato, carico di speranze e di voglia di vivere la mia vita, probabilmente rifarei tutto così come l'ho fatto.
Un uomo si appassiona facilmente. Ed è sano vivere le proprie passioni, coltivarle, assecondarle e realizzarsi in queste. Ed è altrettanto sano ed onesto riconoscere, quando se ne ha coscienza, che la strada intrapresa è sbagliata e che occorre cambiare strada, senza indugi nè rimpianti.
Da piccolo volevo inventare una macchina che indicasse con precisione in quale sport, professione o attività una persona potesse eccellere. E non è detto, che prima o poi.


Ma mi piace il mio lavoro?
Non lo so, sinceramente.
Ma adoro quello che ho fatto per arrivare qua, nel bene e nel male, nelle cose fatte bene e nelle enormi cazzate. E adoro quello che ci sta intorno, che lo colora, lo migliora.
Il mio lavoro non sono solo i conti, la lenta burocrazia, i mille fastidi che un'impresa deve affrontare, in un momento difficile come quello che stiamo vivento.
Il mio lavoro è oltre.
Il mio lavoro è il mio studio, vecchia fabbrica di biciclette, che abbiamo trasformato con le nostre sole forze. Dove abbiamo fatti i muratori, gli imbianchini ed i cartongessisti. Dove parla di noi tutto, dal plotter ipermegasuper al vecchio evidenziatore gonfio per l'incendio nella baracca di cantiere che lo ospitava.
Il mio lavoro è la gente che mi sta intorno, i miei soci, con cui litigo un giorno sì ed uno pure ma i quali cui ho condiviso tanto, non solo il tempo tarscorso. Sono i collaboratori, gli amici. la gente che è passata di qua, chi ha creduto in quest'idea folle e chi invece no, chi è andato via e chi invece poi è ritornato. 
Il mio lavoro sono le mie stilografiche bellissime, le rose del mio giardino, l'erba da tagliare la mattina presto e la vecchia grondaia da ripulire degli aghi di pino.
Il mio lavoro sono le corse al parco vicino per allontanarsi da qui ed evitare di picchiare qualcuno.
Il mio lavoro è lo sguardo di mio padre che, dovunque sia in questo momento, son sicuro che approva il percorso fatto e mi sorride, di un sorriso speciale fatto di tutte le cose che non siamo mai riusciti a dirci.
Il mio lavoro è aria di mare da respirare quando capita, sono interrati da ritrovare ed idee nuove da scoprire.
Sono segni a matita su un pezzo di carta che diventano idea, mani da stringere e persone da conoscere, insegnare a chi ha voglia di apprendere, esperienza da coltivare e altre mille e mille cose.
Se calibrassi il mio grado di soddisfazione in base all'aspetto economico, probabilmente avrei smesso già da troppo tempo.
Ma se lo impoverissi solo nelle quattro cose noiose e ripetitive che ci sono, probabilmente sarei irriconoscente, nei confronti di quello che questo mi ha portato a vivere.
Avessi fatto il veterinario, il madonnaro o l'astronauta non sarei qui, in questo momento, sicuro. Non è questione di coraggio ma di vita, di combinazioni del caso e di scelte e di quel gran bastardo del tempo che, incurante del nostro parere contrario, continua solitario ed imperterrito la sua strada.
E, molto probabilmente, in quell'altra vita, mi starei comunque ponendo le stesse domande.

3 commenti:

  1. ...non ho finito il post...verrò a leggerlo....ora ti dico...
    anni fà...eravamo diversi... domani saremo ancora diversi...chissà...
    magari il coraggio verrà....
    Caterina e il coraggio...Mannoia....
    o forse...non ci interesserà più niente....ci saranno altre cose importanti.
    Vania

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  2. Secondo me hai trovato una soddisfazione in quello che fai, globalmente, nella tua vita. Alla fine il lavoro è un qualcosa che ti dà la possibilità anche di fare altro, e si può apprezzare anche solo questo dato di fatto. Mi fa davvero piacere averti spinto a una riflessione così importante, grazie.

    Simone

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  3. @ Vania: ti aspetto. Adoro la Mannoia. Vado a risentirla.
    @Simone. Grazie a te, davvero

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