sabato 29 gennaio 2011

Ha ragione Oliver


"Corri perchè è una fuga sana, anche se temporanea, ma al ritorno non sei quello che è partito, sei più lucido, più pronto. E se non lo sei dovrai correre ancora un pò".
 
Ha perfettamente ragione lui, devo convenirne, anche se lui va come un mostro. Al ritorno sei diverso. Novanta volte su cento sei meglio. E per quelle dieci che invece no la cura è quasi sempre la corsa del giorno successivo.
I miei passi veloci si son perduti sul lungomare di Livorno, ieri. Giornata di sole e temperatura di dieci gradi, insolitamente afosa, se confrontata con i -3° delle mie solite uscite al Parco qui.
E la cura ha funzionato, è stata un tonico, fresco e salutare. Mi sono elegantemente liberato dall'invito a pranzo dell'impresa e, lasciando stupiti i partecipanti alla riunione (ad eccezione dei miei, ormai abituati alle mie stravaganti fughe dalo studio per andare a correre dopo aver ingurgitato "becchime" al posto di un pasto decente), ho gentilmente rinunciato al risotto alla marinara ed alla frittura di pesce - cosa che a ripensarci adesso mi procura un notevole aumento di salivazione - e mi sono allontanato per un'oretta.
E così, recuperato uno spazio nella mia banca (già, spesso "mi faccio" le banche) ormai terminata e bellissima (già sono stato proprio bravo e me lo dico anche da solo :-) ) e lasciando vagamente perplessi impiegati e clientela mi sono cambiato, ho inforcato gli occhiali che mi separano dal mondo, acceso il lettore su Malika Ayane e via.
Via giù subito per lo scalo d'Azeglio e poi giù, subito a cercare il mare, annusandone la traccia, tra il lezzo dei gas di scarico delle auto, individuandone la direzione dal chiarore del cielo dietro ai palazzi austeri. E la musica si è messa ad andare a tempo con i miei passi e con l'odore aspro del salmastro che sembrava mi chiamasse e i pini marittimi contorti e rugosi incastrati tra le panchine del lungomare, chiusi nel loro letargo invernale, che comunque anche d'inverno portano lieve quel profumo così speciale, leggero di resina acidula e di sale, che racchiudono ricordi d'estate, di ombra e cicale, con i rami che sembran finti quasi, di plastica ruvida da come son fatti, e poi ad ondate altri odori e luci e ombre, e la passeggiata e la gente che mi guarda un pò straniti, tutti qui  molto imbaccuccati anche se io già sudo, nessun altro runner in giro ed anche qui fidanzati sulle panchine ricchi di baci e parole buttate a prendere il volo nel vento freddo d'inverno di mare, promesse di amori eterni ed altri baci ancora, e pescatori pazienti e vecchiette dai passi esitanti con cani anziani e spauriti ed imbaccuccati anche loro, e bimbi riccioluti e gioiosi che rincorrono colombi svogliati, con i loro passetti saltellanti  e che si arrestano perplessi quando gli passi vicino. E la strada corre veloce sotto le suole, il riflesso dell'acqua si adagia sugli scafi alla fonda delle barche che dondolano pigre e ti guardano passare. Stai bene, qui, estraneo tra vite estranee, lontano dalla tua, sembra che buona parte dei tuoi pensieri sia rimasta cinquecento chilometri più a nord. E tu vai, sorpassi la gente e vai, le gambe incrociano gli stessi passi che avevi percorso mesi fa, ma allora eran gambe stanche e legate, il fiato era opprimente ed erano più fresche le ferite di fuori e di dentro, mentre adesso è diverso, il corpo ha imparato e reagito, è solo la mente che, a volte, fa fatica a stargli dietro. Arrivi all'Accademia Navale e prosegui dove sai che stai andando, dove in qualche maniera c'è chi ti sta attendendo e sa perchè sei lì. Abbandoni il lungomare e ti sposti verso l'interno, attraversando viali alberati, fino ad arrivare alla rotonda chiassosa e caotica dove, al di là di quel muro, c'è tranquillità, come si conviene, come deve essere.
Il silenzio del cimitero dell'Ardenza è fatto di passi che scricchiolano sulla ghiaia bianca. Di lapidi antiche, sbilenche, di statue desolate e vecchi gigli di plastica testimoni di dolori lontani ed inesorabilmente accolti e di mazzi di fiori freschi per quelli più dolorosi e taglienti. E' qui che riposa anche mio zio, quello che mi ha insegnato l'amore per la montagna che mi porterò dentro, quello sempre pronto a combinare gli scherzi peggiori. Per un bizzarro caso del destino ambedue i miei due zii nati tra i monti sono andati a morire al mare. Il primo, mai conosciuto e di cui porto il nome ha falsificato i documenti per arruolarsi volontario in Marina, nei sommergibilisti ed è morto a Malta, durante la guerra. L'altro, il mio zio preferito, quello che ritrovo nei miei migliori ricordi di bambino invece riposa qui. La mia medaglietta con su scritto il suo nome la sento chiaramente, sul petto.
Il sole, il caos del traffico e la strada del ritorno mi ritrovano, dieci minuti dopo. Riaccendo il lettore, rimetto il cappellino, inspiro a fondo. E' ora di tornare, di correre ancora. Attraverso veloce questa città strana, a tratti aristocratica ed elegante e subito dopo scalcinata e sporca. Percorro strade sconosciute, mi metto in coda ad un anziano in bicicletta e mi faccio trainare per un pò, poi lui devia e io proseguo da solo. Taglio nell'interno per far prima, per evitare di arrivare troppo in ritardo, intravedendo i riflessi del mare solo a sprazzi. Corro bene, mi sento andare, tranquillo e veloce, senza forzare. La mente è, stranamente, sgombra. Di lì a poco attraverso le vie larghe della zona pedonale in centro, che mi riportano da dove ero partito un'ora prima.
Gli altri mi vengono incontro rilassati, con l'aria soddisfatta di chi ha mangiato bene. "Non sai cosa ti sei perso", mi dicono compiaciuti, con i bottoni delle camicie un poco tesi.

"Neanche voi", ribatto sorridendo.

8 commenti:

  1. Minchia, dico in stretto veneto, ciò che hai scritto è semplicemente stupendo. Il fatto bello è che è anche vero.
    Ciao!!!

    RispondiElimina
  2. sai cosa mi è spuntata come parola crittografata? "Bird". In effetti il tuo racconto sembra il resoconto del volo di un uccello.

    RispondiElimina
  3. Ma tu guarda, una non si può assentare (tre mesi) che qui si ricomincia a scrivere. io sto (quasi) ricominciando a camminare... solo qualche passo per il momento, ma dicono che pure l Everest sia stato scalato un passo dopo l altro. giusto?
    ciao!
    Sonia

    RispondiElimina
  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  5. mi mancava la poesia delle tue parole, eccola...

    RispondiElimina
  6. @sonia: (fatela passare per prima,abbiate pazienza, ha le stampelle) che piacere! Fidati, qualche passo è solo l'inizio. E sì, anche l'Everest. Ogni Everest che ognuno di noi abbia deciso di scalare. Un passo dopo l'altro. E tu scrivi? Dai, scrivi!!
    @Bruno: tutto vero, posso garantire, c'ero!
    @mjavale: grazie, troppo buona... continua pure !:-)

    RispondiElimina
  7. @Nina: infatti mi sembrava di sentire passi disegnati, al mio fianco!

    RispondiElimina