martedì 14 agosto 2012

L'acquasanta ed il diavolo

Prendi una giornata di lavoro, una di quelle classiche: arrivi in studio che ancora non c'è nessuno, innaffi le rose, poti la vite, osservi un pò quel microcosmo del tuo quartiere che pigramente si sveglia e nel mentre riordini le idee un pò da tranquillo e ti fai uno schema delle cose da fare. Poi accendi il pc, elimini la consueta montagna di mail spazzatura e rispondi a quelle tre o quattro serie. Alle otto meno qualcosa la consueta prima telefonata di lavoro, che oramai rispondo cose del tipo "massaggi olientali buongiolno?" o "Pizzeria Posillipo", tanto lo sai chi è. Dopo, alla spicciolata arrivano gli altri e lo studio come ogni giorno si riempie. il profumo del primo caffè mentre viene su, quattro chiacchiere, un paio di indicazioni su cosa deve essere fatto in tua assenza e poi via. Oggi due cantieri e la  consueta manciata di chilometri da buttarsi alle spalle. 
La telefonata di conferma arriva mentre sto andando verso il primo dei due. Il tono è da cospiratori, ma Il messaggio non ammette repliche. 
Ok, non sono in condizioni di dire di no. D'altronde non me lo immagino nemmeno. Devo solo vedere di recuperare l'imbrago, in prestito in chiesa (questa la spiego dopo). Per fortuna la chiesa è il secondo dei due cantieri di oggi. Un campanello d'allarme mi avverte che c'era un qualche impegno, in qualche altra parte, ma non lo focalizzo, non deve essere importante.
Il primo cantiere è una banca, progettata e realizzata in estrema urgenza: due mesi fa circa, un guasto notturno ad un pc aveva innescato un incendio che, a partire dalle pareti in legno di una cassa si era poi esteso distruggendo metà dell'agenzia, mentre il fumo acre, denso e nero aveva completamente invaso ed impregnato ogni stanza, ogni armadio, ogni oggetto dell'altra metà. La desolazione che lascia un incendio è impressionante, l'odore ti prende alla gola, il pulviscolo nero, i cumuli di materiale irriconoscibile, fili di plastica, sottilissime stalattiti, pendono da quelle che una volta erano lampade, sciolte e nuovamente indurite, la struttura metallica  del controsoffitto contorta dal calore ed il nero, nero dappertutto, nero che copre, che prende ed opprime. E adesso che non ne rimane più niente, di quel nero, che non sembra sia mai successo niente, non uno sbuffo di fumo su una parete, né un sentore di bruciato lontano, niente, eccola qui, una filiale lustra ed abbagliante, perfetta, tutta tirata a lucido, con i mobili nuovissimi, le scrivanie ordinate, le luci, le tende, tutto a tempo di record. I complimenti, questa volta L'impresa se li merita tutti. 
Scappo, via di corsa, che il tempo si disperde in rapide volute di  fumo, via per il secondo cantiere, mi attende la chiesa. Una mia personale sfida questa, ho fortemente voluto quel progetto, quell'illuminazione, pensata così, studiata così, da gestire così. Ho prima combattuto con la Curia e la sua Congrega dei Saccenti, che han guardato con supponenza sia me sia il mio progetto e poi ci han scarabocchiato sopra prima c'è troppa luce e dopo ce n'è troppo poca, ma cosa ne vuoi sapere tu che non sei del giro, tu e i tuoi capelli lunghi che si vede che sei lontano da qui, da noi, che non sai nemmeno cosa sia un ambone, che hai gli occhi arroganti, e non hai né umiltà né deferenza. E credevo talmente in quello che avevo fatto che ho riposto le armi delle parole taglienti che erano già lì belle e pronte, sostituendole con la calma e la pacatezza, ed anche se qualche madonna e qualche santo mi sono arrivati proprio fin sulla punta della lingua li ho ricacciati sapientemente indietro e ho risposto punto su punto, spiegando e persuadendo. E poi è stata la volta della Soprintendenza, che pare che a fare un buco in un muro marcio per far passare un filo sembra si commetta un peccato mortale, e a portare la corrente a secchiate, giuro non sono proprio capace. E convinti finalmente anche loro, ecco l'appalto, le grane, la gara ed i ribassi, e i soldi che erano troppi  ancora, e non puoi rivedere qualcosa per risparmiare, tu che credi di fare San Pietro ma guarda che questa qua è una chiesetta di un paesino spelacchiato che non ci viene nessuno, tre vecchiette alla messa delle cinque. E poi è così in cima ad una collina che ogni volta che muore qualcuno è un disastro. E come se non bastasse ci si è messo anche il collega della sicurezza con tutti i suoi patemi sul lavorare a quelle altezze con un trabattello solo, dove due non ci stanno, a meno di spostar le panche e fare le celebrazioni on the road. E allora ho portato il mio imbrago da arrampicata ed una corda, in maniera che, almeno quando lui va in cantiere, gli omini che si arrampicano per mettere le luci su quel cornicione un pò sbilenco sono lì, in posa per lui, a far le belle statuine, tutti sorridenti e agganciati. Forse ha capito di essere stato un pò preso per il culo.
E quest'oggi, dopo tutte le parole e le grane ed i dubbi, quando d'incanto la volta ha iniziato a prender vita e colore e a spandere di rimando luce sulle pareti abbassandosi fino a delineare panche, marmi, stucchi e il pavimento, le cappelle laterali e l'altare e perfino quell'ambone del cacchio abbandonavano il loro aspetto tetro e quasi stantio, acquisendo volumi nuovi, l'espressione si stupore del parroco mi ha fatto sorridere. "Ma era proprio così che l'avevi pensata?" mi ha detto poi, ancora con gli occhi sgranati; Io l'ho guardato, gli ho sorriso e di rimando gli ho risposto: "non so, sai, in realtà credevo di fare San Pietro..." 
E poi allora via. 
Via di corsa, che colui al quale non si può dire di no ha parlato, all'attacco della via alla tal ora, e sei già in ritardo, e gli mandi un SMS di conferma - ok, capo - il tempo brucia i minuti del conto alla rovescia ma ti devi fare ancora una breve tappa in studio, che rinvii e moschettoni sono rimasti lì. Ma da lì non si può entrare ed uscire come si vuole, che ci sono le telefonate e le mail del pomeriggio da smaltire, e vedere cosa è stato fatto e cosa no, e puoi mica permetterti di prenderti un mezzo pomeriggio come credi, anzi, chi credi di essere qui, forse il capo?
Mezz'ora dopo però, la parete è di fronte a me. 
Una via facile, una ferrata d'allenamento, c'è chi la percorre addirittura senza legarsi, quasi correndo. Sono arrivato fin qui veloce, forse un pò troppo, come sempre. Ma nessuna sirena in lontananza, dovrebbe essermi andata pulita anche questa volta.  Renè non c'è ancora. Quasi meglio, con lui ho un'ottima intesa, ma il privilegio arrampicare da soli è una cosa che capita di rado. Me lo prendo tutto e via allora, rapidamente mi cambio e mi preparo, lo sbuffo bianco della magnesite che si disperde mentre premo le palme l'una contro l'altra, l'imbrago è stretto, i rinvii  tintinnano rassicuranti, una musica sottile nelle orecchie, ho scoperto da poco che preferisco arrampicare così, che mi rilassa e mi distende. 
Ed inizio lento e misurato, saggiando con le dita gli appigli facili, puntando coi piedi, salendo tranquillo. La sicurezza della corda fissa in alcuni tratti è perfino ridicola ed eccessiva e ci rinuncio, sto bene, me la godo, sono qui, io, solo, una montagna di fronte, il vento fresco non arroventato dal sole, la via che si srotola, passaggio dopo passaggio, appiglio dopo appiglio, le mani trovano rapidamente la soluzione nei passaggi leggermente più impegnativi. 
Ad una cinquantina di metri da terra, dal sottofondo musicale emerge la voce di Renè, è arrivato, sono arrivati. Gli grido di sbrigarsi e di raggiungermi, nel frattempo scatto qualche foto e vado avanti. Mi raggiungono in fretta e proseguiamo insieme, si parla e si scherza. Rapidamente ci alziamo di quota, la visuale cambia, lo sguardo si allarga, le nostre auto rimpicciolite, la mia città alla mia destra, le mie montagne a sinistra. 
La via si interrompe, riprende, si interrompe di nuovo, dall'alto  l'imponente mole della Sagra ci vede salire impassibile, con le sue rovine, i suoi contrafforti maestosi.
Ma dov'eri prima - mi chiede Renè, mentre saliamo. In chiesa, gli rispondo, mi guarda e ride - Tu? In una chiesa? Hai deciso di farti prete? Il diavolo e l'acquasanta? Battuta già fatta, casomai il contrario - gli rispondo. Acquasanta la mattina, in chiesa, e diavolo il pomeriggio, in parete.
Arrampichiamo, si ride, si sta sereni, l'arrampicata è bella per quello perché è uno sport libero e di testa, perché ci vuole testa a ragionare e convincere l'istinto che si sbaglia, che camminare su una cengia a strapiombo è uguale a farlo su di un marciapiede, che la corda e chi la tiene in mano sono la tua fiducia ben riposta, che il rischio c'è ma è ampiamente calcolato, è un briciolo di adrenalina che dà più sapore alle cose. Ed uno sport di testa che la libera e la rischiara, rasserena, ti rende conscio delle tue capacità, capace di guardare lontano, ti fa durare il doppio il tempo, assaporandolo, gustandolo. I movimenti sono diversi, delicati e di equilibrio alcuni, di forza altri. Quasi sensuali, i primi, prepotenti gli ultimi.
Una telefonata, anticipata dall'allarme collisione U-boot, interrompe i nostri dialoghi, è la consorte, non ti sarai mica dimenticato della cena di questa sera, alle otto puntuale, ecco che cos'era il campanello, ma figurati, certo che me ne sono dimenticato, anzi forse lo sapevo, ed è proprio per quello che adesso sono qui, comunque adesso vedo, non ti preoccupare, sì, no che non sono in studio, cioè, non sto proprio, esattamente, come dire, lavorando, questo rumore metallico come di moschettoni... Sì, ma anche se non alzi la voce va bene uguale, che quando uno arrampica ha bisogno di concentrazione e se mi fai cadere mi avrai sulla coscienza ed io, previdente, non ho rinnovato apposta l'assicurazione sulla vita. Comunque arrivo, tranquilla, otto otto e mezza massimo, dopo gli aperitivi e, vedrai, non se ne accorgerà nessuno. 
Lo sai che siamo a metà parete, sono le sette e poi dovremo farci tutto il ritorno a piedi e prima delle dieci non arriveremo, vero? mi chiede Renè.
Certo che lo so, rispondo con un largo sorriso.
Non so dove sia finita l'acquasanta - mi fa lui - ma il diavolo mi sta arrampicando di fianco -
Sì, ma è un buon diavolo, dopotutto - rispondo io.
Arriverò alla cena alle 22.30.

4 commenti:

  1. ah vecchio diavolo! me lo sono proprio goduto questo post! era da un po' che non te ne stavi appeso con due dita alla vita...
    adesso vedi di non smettere.

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    1. E' la seconda volta, che qui, qualcuno mi dà del vecchio. Decisamente oggi non è la mia giornata fortunata... :-)

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    2. in questo caso, però, è detto con profondo affetto... (e una buona dose di carognaggine)

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