sabato 18 dicembre 2010

A volte non basta


Li hai visti gli occhi, l'altro giorno. 
Sì, certo, cosa credi. Tanto che ci cadevo dentro, a momenti, mentre parlavo e parlavo e poi ancora, e continuavo e ripetevo.
Quegli occhi, quei sorrisi forzati, raccontando di quanto la situazione sia critica, della situazione e dei nostri mille cazzi.
E con la mente nel frattempo ero in giro, come faccio spesso, a correre nei miei spazi, nei miei sogni e nei miei ricordi. E ci riuscivo, giuro. Nonostante ci sia chi asserisca che, in quanto rappresentante del sesso maschile, io sia dotato di numero due neuroni due, ce la facevo benissimo, invece. La mente mandava alla voce un messaggio quasi come fosse stato registrato in precedenza che parlava di riduzione del personale, esigenze di servizio e crisi di liquidità e, nel frattempo, mentre mi sentivo parlare e mi ascoltavo lontano, pensavo a tutt'altro.
Il mio socio, lui invece taceva, sfatto. Lo vedo invecchiato in questi giorni, ha perso di smalto, di grinta, balbetta lievemente, quando parla. Si guardava le mani che giocavano consumando un pezzo del fazzoletto che gli pendeva sbilenco dalla tasca. Aveva iniziato, lo fa quasi da sempre lui, ma poi non era più riuscito a continuare, lui e i suoi occhi da bracco, diventati improvvisamente rigonfi di  lacrime. E allora toccava a me.
Toccava a me riandare agli inizi e nel contempo premere inesorabilmente il pulsante collegato alla botola. Perchè non c'è altro mezzo, non c'è modo e maniera, non c'è altro da fare.
Già. Ne hai ascoltate di favole, fin quasi a raggiungerle quasi, a toccarle quasi, a vederle quasi, così vicine e reali da crederci tu stesso, mentre le raccontavi convinto, propinandole a tua volta. Balle, alla fine dei conti.
No, che non serve crederci. E' ancora peggio crederci, è da pazzi o semplicemente da stupidi, ostinarsi, correre e buttarsi poi così, ciecamente, ottusamente. Quando tutto poi si sfrange su un muro, lasciando di te, dell'entusiasmo e delle tue idee bellissime una macchia che lentamente gocciola trascinandosi a terra.
Sapete, io Amo quello che faccio qui dentro, proprio così, con la A maiuscola. E' mio, ma così mio che fa male, in giornate come questa. Fa male dire alla gente basta, che "gente" poi qui non lo è mai stato nessuno, sono persone e occhi e mani, sono cuore e risate che risuonano ancora e parole, e quante di ognuna di tutte ce le siamo scambiate. Qui ogni computer ha un nome, che è il nome di chi qui, passando, ha lasciato un pezzo di vita ed il segno, come i segni incisi con i coltelli sui tavoli di quelle vecchie birrerie che ritornando dopo anni ritrovi e riconosci al tatto con i polpastrelli. E quindi qui Giorgia è Enrico, Antonio è Giorgio, e Chiara invece è proprio Chiara, perchè è qui, insieme a noi praticamente da quanto noi. E dire basta proprio a una come lei è pesante, guardandola negli occhi. E' stato sempre meglio farle il solletico di sorpresa, facendola scattare come una molla.
E' cosi mia questa tastiera, il monitor, il disordine bellissimo,  il tavolone dei disegni, i mobili che abbiamo montato tutti insieme, le finestre ampie che danno sul giardino delle rose, le rose che sfidano l'inverno che sono le più belle, la vite avvizzita ed il pino maestoso che ripara la mia moto, fermata più dal freddo pungente di questi ultimi giorni che dall'assicurazione scaduta. E' così mio questo silenzio, adesso, con il buio d'inchiostro lì fuori. Ed è così nostro, questo spazio e tutto quello che esso contiene, fatto di troppe cose, molte delle quali non si vedono neanche ma ti riempiono l'anima. Nostro il modo e la voglia di fare bene le cose, il tempo, le idee ed il calore di un gruppo, che così doveva essere fin dall'inizio, così l'avevo pensato e voluto. Ma non è sufficiente, non è così semplice, non serve, non basta. Non basta volerle, le cose per preservarle. E quello che è peggio è che non serve difenderle ad ogni costo, contro ogni pronostico, incurante. E quando lo scopri allora non puoi far altro che guardarli dritti ancora una volta, quegli occhi e poi chiudere i tuoi e tagliare, ed operi le scelte che van fatte e dici cose che sono tagli profondi e sale sulle ferite, ma le dici lo stesso, perchè non puoi, non puoi fare di più e niente di diverso da così.
No che non basta amare, per vincere. Amare è, in fin dei conti, quasi sempre una bellissima maledizione.
Ma voi fate come volete. Io non son capace a smettere, nonostante tutto.

5 commenti:

  1. Capisco quello che stai provando. E' come dire a un figlio di lasciare la sua cameretta e di trovarsi da fare perchè non puoi più mantenerlo. E' terribile. Specie quando si stima veramente la persona.
    Troverete il modo per rincontrarvi e risorridere assieme. Se è una persona intelligente e sensibile capisce come state mentre la salutate.
    Ciao DR! Forza DR. Non smetterai. Un abbraccio

    RispondiElimina
  2. sono entrata nell' antro del poeta e paurosamente esco perchè la mia poesia l' ho persa forse su delle labbra forse su un cuscino

    RispondiElimina
  3. @ Bruno: Tranquillo. Non smetterò, Grazie.
    @ Delicate: Ellapeppa!!!! :-P

    RispondiElimina
  4. Dicono che il nostro capo del personale (capa), entrando in questa azienda, abbia posto come condizione di non dover mai più dire a una persona che doveva andar via, licenziata, che l'azienda non aveva più bisogno di lei.

    E' stato il suo incubo, e se ne andò dalla precedente azienda pare proprio per questo; alla nostra ha chiesto a qualsiasi costo di non essere costretta a farlo mai più.

    RispondiElimina
  5. @Ify: sì, ti garantisco che sono scelte che non vorresti MAI fare. E se l'azienda è la tua è ancora peggio, te lo assicuro.

    RispondiElimina