giovedì 3 giugno 2010

Il saggio

Non strabuzzate gli occhi, tranquilli che non parlo certo di me, che saggio non sono, certo che.
Mi sto riferendo al quello di fine anno che la mia piccola, novella pattinatrice su ghiaccio, ha fatto sabato scorso, dopo un anno di sacrifici, allenamenti, prove a secco e su pista.  E' stato un leggero piacere assaporare la sua tensione inziale, seguire la sua concentrazione figura dopo figura ed il suo sorriso compiaciuto e liberatorio, alla fine, tra gli applausi che io, davvero, non ho sentito.
Perchè ascoltavo solo lo strusciare preciso delle sue lame sul ghiaccio, la sua attenzione ed il suo respiro trattenuto. Sentivo i suoi gesti ed i suoi occhi che brillavano alla fine, mentre mi cercava e mi faceva il segno col pollice alzato. 
E' cresciuta in fretta, sapete? Non ho potuto farci niente, non ha potuto farci niente neanche lei. Non avrei voluto, giuro, avrei voluto gustarmela di più allora, quando si addormentava sulla mia pancia, poco più grande della nostra gatta. Avrei voluto centellinare i minuti, imprimermela bene in mente, assorbire e memorizzare esattamente ogni istante del suo crescere fino a diventare quel donnino di dieci anni che è oggi, grande una spanna di più di tutte le sue compagne, ma che grida ancora di gioia se la porto sul Brucomela.
E così che va. Non è triste, o giusto o sbagliato. E' così. Ma mentre me la guardavo piroettare vedevo, come in un mosaico, mille immagini che comunque ho. Mille tatuaggi indelebili dentro la mente. Dal primo, quello unico ed irripetibile che è stato conoscerla, la prima volta che l'ho tenuta tra le mani, fino al suo ingresso in pista di poco fa, passando attraverso tanti momenti, tantissimi felici, qualcuno meno, pochissimi quelli veramente terribili.
Le prime pappe, le prime parole, le prime di tutta una serie di cose, naturali ed incredibili. E quanti baci e quanti abbracci penso sia impossibile contarli. Ed adesso è lì, con le sue rose e la sua brava medaglia, splendida e raggiante come poche altre volte.  Ti voglio bene, piccola mia.


E le giornate lavorative si frantumano e si disperdono nel tempo, qui, nello studio delle rose. Si susseguono a ritmo frenetico, forse addirittura eccessivo. Abbiamo acquisito molti lavori nuovi, alcuni immediatamente dietro l'angolo, ed altri decisamente più distanti, ma questi ultimi, per fortuna, con la prepotente attrattiva dell'aria di mare a blandirmi ed il poco tempo per gustarmela. E per uno di questi son ricapitato a Livorno, da cui mancavo da tempo e dove, trapiantato al mare riposa il mio zio preferito, quello che mi ha trasmesso l'amore per la montagna. La spilla in metallo del CAI che ho portato sempre con me in montagna è la sua.
E così ultimamente passo intere giornate a macinar chilometri. Ho in mente una vignetta di Forattini di tanti anni fa: rappresentava Papa Woijtila, appena sceso dalla scaletta di un aereo che, con le valige in mano e l'aria smarrita pronunciava: "Se oggi è giovedì, questo deve essere l'Honduras".
Ecco, più o meno è così che mi sento.
E ho anche ricevuto apprezzamenti, per quello che abbiamo tirato fuori dal cilindro in questi giorni: Il più divertente è stato: "ingegnere, lei ha fatto un lavoro splendido, ma non abbiamo i soldi per realizzarlo": ma si può?
Ho abbandonato la piscina, che alle sei di mattina, non c'è stato niente da fare, si sono rifiutati di aprirmela.
Quindi corse su corse, ma di corsa, quella vera, quella che fa respirare, ancora purtroppo non se ne parla. La scorsa settimana il mio luminare ha energicamente scosso la testa, nonostante tutti i progressi veri o inventati, le suppliche e le minacce. Mi ha detto di star buono, di pazientare - Ci vuol poco a rovinare quello che hai fatto fino ad ora - e di attendere ancora almeno un altro mese.
Fosse facile.
Fosse facile pazientare, sopportare. Saper accettare.
Fosse facile l'attesa.
Ricordo un'augurio letto tanti anni fa che recitava: "Che Allah ti doni la forza per cambiare le cose che puoi cambiare, il coraggio per sopportare le cose che non puoi cambiare e la saggezza per distinguere le une dalle altre cose".
Fosse facile.
Forza, coraggio e saggezza. Penso di, tra tutte e tre, non averne abbastanza da riempirne un bicchiere. Soprattutto l'ultima.
Non sono certo uno che sopporta, che accetta con facilità ciò che non è dato a noi di cambiare. Non posso farci niente, è così.
E' un periodo strano, di stanchezza latente e a volte opprimente, di umore altalenante, di cose che sembrano che si facciano da sole e di altre che proprio non c'è verso neanche di cominciarle. E ci sono i giorni che son più pesanti degli altri, come oggi. Con momenti fatti di pietra dura e grigia e pesante, mentre altri, troppo leggeri invece, sono già volati lontano.
E così me ne sto al palo. E non mi è nè d'aiuto nè di conforto la mia moto, scalciante e recalcitrante com'è ultimamente, reclamando un controllo che oramai proprio non si può più rimandare.
Sì, lo so che sono umorale. Periodicamente negativo. Me lo dico da solo. Ma so. So solo una cosa, ma basta e avanza.
E forse avrei invece solo bisogno di una vacanza, come commentava giustamente Bruno un paio di post fa.
Certo che, anche se forse basterebbe di meno.
Basterebbe il mare, ed un giorno di vento salmastro solamente mio, per svuotarmi e riempirmi di aria nuova.
O Basterebbe una parete, dura e ruvida, dove sfogare con la forza tutte le mie frustrazioni, per urlare con le braccia e le dita la rabbia dell'inutilità che a volte mi assale.
O magari basterebbe soltanto allacciarmi nuovamente le scarpette, fare due lunghi e profondi respiri ed immettermi in quel viale che mi ha guardato correre l'ultima volta più di tre mesi fa. Penso che già mi basterebbe immergermi nelle mie musiche ed isolarmi, sentire la fatica e sentirmi, affrontare ombre e problemi e vederli passo dopo passo scivolare alle mie spalle. Sì, mi basterebbe impostarmi nuovi programmi e limiti, nuovi orizzonti a cui guardare.
Il meglio è una cometa.
E tra mille anni, prima o poi, tanto ripassa.

7 commenti:

  1. secondo me non dovresti isolarti con le tue cuffie e le tue scarpine. Hai invece bisogno di creare qualcosa di non inerente al tuo lavoro che, vedo ti assorbe tantissimo. Pensaci. Che ne so...inventati un ristorante...una ludoteca...un circolo velico...o semplicemente una bella festa d'inizio estate coi compagnetti di tua figlia. Public relations not job oriented, per intenderci. Comunicazione e coinvolgimento. Non serve a nulla cercare attività solitarie quando si ha una gran voglia di abbracciare il mondo e di dargli qualcosa di nuovo e di tuo. Un abbraccio.

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  2. la sensazione che mi trasmetti è che devi ritalgiarti alcuni momenti tuttu tuoi: non importa se non corri, ma devi darti il tempo per fare qualcosa che ti soddisfi e che ti dia la carica, da solo o con la bimba, di fisico o di intellettuale non importa, ma vedi di farlo: ognuno di noi se lo merita...

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  3. @Bruno: Io, i compagni di scuola di mia figlia li spavento, che faccio prima. :-)
    Comunicazione e coinvolgimento... Ci vuole una forza che, in questo momento, oggettivamente mi manca.
    @mjavale: Bisognerebbe trovarlo, questo tempo....
    D&R

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  4. ...saggiamente ...e saggio sei...hai messo nero su bianco queste emozioni...che fanno bene anche a "Noi Tutti".
    ciao Vania

    ...si respirano novità qui....ora vado a leggere i post più nuovi...in questo fresco scenario.

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  5. Crescono i figli, e poi si rimpiange di non esserseli goduti. Io lo rimpiangevo anche strada facendo, con praticamente solo la notte per stringermela al cuore: però, non sono mai mancata a un saggio, o a una recita.

    Ovvero, a uno sì, non ricordo ancora come fu, però mi brucia, sai?

    E'importante esserci, tanto importante. E tanto bello.

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  6. @Ify: sì, importantissimo. E' solo che il tempo passa così in fretta....

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