Avrete letto del contest letterario "Blu su bianco" promosso dalla Muller. Orbene (orbene?? ma come scrivo?) m'era punta vaghezza (di bene in meglio!!!) inizialmente, di partecipare, ma: primo: da quando ho avuto l'idea di farlo a quando sono andato sul sito con l'intenzione di scrivere erano già passati due incipit e secondo: bisogna averci tempo, costanza e dedizione. E voglia. Ed esserne capaci, non dimentichiamolo.
E così ho rinunciato ancor prima di cominciare.
Non è proprio vero, però.
Perchè qualcosa ho scritto. E l'ho regalato in giro.
Quello che mi veniva, senza cercare la forma, la parola giusta, così. Ciò che l'incipit mi faceva venire in mente lo buttavo giù.
Badate bene, non vorrei che questo mio modo di fare venisse travisato, che si pensasse che rifiuto il confronto, che mi ritengo superiore o roba del genere.
No, nulla di tutto questo, ve lo assicuro.
E' che per fare le cose bene bisogna impegnarsi ed avere una predisposizione d''animo che, al momento, vuoi il tempo, vuoi come mi va, veramente non posseggo. Ma scrivere mi piace, è innegabile, è una sorta di liberazione, è la corsa che non posso ancora buttata su fogli di carta virtuale.
E quindi faccio come allora, quando disegnavo. Mi piaceva disegnare, mi appassiona e mi piace tutt'ora anche se, con il tempo, penso di aver perduto buona parte di una mano che tutto sommato non è mai stata granchè. Ma disegnavo e regalavo, e così non ho conservato quasi niente.
E in cotal guisa (!!!) faccio adesso. Che non so scrivere come non sapevo disegnare. Ma al momento è quello che mi fa star bene.
Ed allora, questo, lo regalo a voi. I nomi delle protagoniste son scelti a caso, prendendo le prime notizie da Libero con protagoniste femminili (stralciando quelle su Belen e mignottame vario).
E così ho rinunciato ancor prima di cominciare.
Non è proprio vero, però.
Perchè qualcosa ho scritto. E l'ho regalato in giro.
Quello che mi veniva, senza cercare la forma, la parola giusta, così. Ciò che l'incipit mi faceva venire in mente lo buttavo giù.
Badate bene, non vorrei che questo mio modo di fare venisse travisato, che si pensasse che rifiuto il confronto, che mi ritengo superiore o roba del genere.
No, nulla di tutto questo, ve lo assicuro.
E' che per fare le cose bene bisogna impegnarsi ed avere una predisposizione d''animo che, al momento, vuoi il tempo, vuoi come mi va, veramente non posseggo. Ma scrivere mi piace, è innegabile, è una sorta di liberazione, è la corsa che non posso ancora buttata su fogli di carta virtuale.
E quindi faccio come allora, quando disegnavo. Mi piaceva disegnare, mi appassiona e mi piace tutt'ora anche se, con il tempo, penso di aver perduto buona parte di una mano che tutto sommato non è mai stata granchè. Ma disegnavo e regalavo, e così non ho conservato quasi niente.
E in cotal guisa (!!!) faccio adesso. Che non so scrivere come non sapevo disegnare. Ma al momento è quello che mi fa star bene.
Ed allora, questo, lo regalo a voi. I nomi delle protagoniste son scelti a caso, prendendo le prime notizie da Libero con protagoniste femminili (stralciando quelle su Belen e mignottame vario).
Stamattina si è svegliata presto.
Un misto di ansia e gioia ha mosso tutti i suoi gesti: ha fatto il caffè e per sbaglio ha versato un po’ di zucchero nel lavandino.
Non le è importato.
Il giornale era ancora sul tavolo e quando si è girata per prenderlo ha alzato gli occhi sulla finestra e ha visto la neve.
Si è avvicinata al vetro: una pioggia gelata, bianca, cadeva nel cortile a fiocchi spessi.
Non è riuscita a smettere di guardare.
Qualcosa ha cominciato a sciogliersi dentro di lei e a scorrerle lungo le braccia, le gambe.
Un po’ alla volta tutto è diventato nuovo, anche lei.
E non è che non abbia sentito il frastuono che viene dall’altra stanza.
Solo, non vuole muoversi, andare di là.
Si sente rinata ed è contenta di averlo fatto.
Ed è stato tornare bambina, riavvolgendo veloce il tempo in quel tuo sguardo, ammutolita, a fissare con occhi sgranati l'incanto dei fiocchi di candida ovatta che scendono, dondolando piano a mille nella luce di fuori di latte grigio, percependo il silenzio innaturale che è proprio quello che ti sveglia, che ti prende per mano e ti dice alzati, vieni a vedere, dai, shhh, cammina silenziosa in punta di piedi scalzi, con il freddo delle mattonelle che ti accompagna rabbrividendo piano, vieni dai, appoggia il naso e la fronte sul vetro gelato, abbandonando ogni legame, ogni timore, ogni stupore sulla superficie che si appanna rapidamente con i tuoi respiri caldi.
Un manto candido si è già posato ovunque rendendo uniforme e monocolore ciò che contempla quel tuo sguardo, dalle siepi irregolari e gobbute agli alberi contorti e tristi, sulle macchine addormentate e sulle pensiline solitarie del tram.
Sulle panchine si indovina ancora la sagoma di un giornale abbandonato.
Il marciapiede reca impronte scure di chi, nonostante il tempo, è dovuto uscire comunque. Poche le macchine della domenica mattina, non hanno ancora sporcato l'incanto.
E' bellissimo come mai l'avevi trovato.
Sui rami spogli dell'albero vicino la neve ha costruito piccoli muretti compatti in precario equilibrio, così come sul cavo della luce che attraversa la strada; solo l'arrivo di un colombo fa precipitare silenziosamente sulla strada una striscia intatta, che si incastra alla perfezione e scompare nel bianco sottostante.
D'impulso apri la finestra e rimani ad annusare il silenzio della neve che cade, che è un silenzio che fa rumore, perchè nasconde gli altri rumori d'abitudine di questa città, di questa piazza, di questa finestra. Stringi le braccia incrociando le mani, in un abbraccio solo tuo, come se avvertissi il freddo pungente sotto la camicia da notte. Ma no. Non hai freddo.
E' solo che non sei più tu, Francesca.
La faccenda non ti sorprende, no. Non ti sconvolge minimamente, anzi. Ne sorridi, improvvisamente libera, pensando alle lacrime, alle mani torte, a quelle urla che ti sembrano vecchie di mille anni. Ed era solo ieri sera invece che le hai tirate fuori per lanciargliele addosso, per colpirlo duramente con una rabbia che ti sovrastavava, dopo averle accumulate con pazienza le une sulle altre.
Lo hai mancato.
Hai preso solo la porta che lui ha sbattuto andandosene per sempre.
Ti ha restituito la tua vita. Non ha portato via niente, dalle calze spaiate sullo stendino del bagno ai suoi preziosi libri. E ti ha lasciato tutto il resto.
La spesa alla Lid'l del venerdì sera, il tuo lavoro con i tuoi turni di notte, la stanchezza cronica, le bollette ed il mutuo che ogni mese non sai come pagare.
Ti ha lasciato una brutta vita ed i tuoi ma come ho fatto a ridurmi così, Il tuo bambine state buone che la mamma è stanca.
Diciamo la verità, Francesca, non piacevi più a te stessa molto prima di non piacere più a lui. E a loro.
E sì che eri diversa un tempo. Eri pazza e innamorata, e gioiosa e fresca e ridevi sempre. Tu con lui, poi tu e lui e loro, Sara e Giulia, arrivate subito dopo sposati, una dietro l'altra.
Lui che ti chiamava il suo arcobaleno.
E pian piano hai perso tutti i colori.
Da quanto tempo non ridi, Francesca?
Secondo me devi avere ancora un bel sorriso, ma sei una che sorride poco.
Beh, adesso stai sorridendo, Francesca.
I fiocchi continuano a cadere incessanti. Allunghi una mano e ne accogli uno, che osservi stupita sciogliersi e farsi goccia gelata.
Quanti anni avrai, Francesca?
Ad occhio e croce non te ne senti più di dieci, mentre guardi la nevicata più bella del mondo.
Ieri sera ti sei addormentata che ne avevi trentacinque, ma ne sentivi addosso più del doppio, opprimenti, scuri. Pesanti.
E scura sei diventata. Senza neanche accorgertene, senza darti il tempo per guardarti cambiare, accartocciarti su te stessa. Arida. Grigia.
Hai fatto tutto da sola. Certo lui non ti ha aiutata, non accorgendosi in tempo che cambiavi, che scolorivi, che non avevi tutta quella forza che credevi di avere, ma lo sai che la colpa è solo tua.
E la bambina di dieci anni che sei adesso ha paura.
Sei sola Francesca.
Ma il rumore che proviene dall'altra stanza aumenta di volume. E la bambina di dieci anni che sei in punta di piedi abbandona la finestra e va curiosa verso quella stanza.
Bambine state buone che la mamma è stanca.
Dall'altro lato della porta chiusa indovini una battaglia di cuscini, con le risate strozzate per non far rumore.
Giri piano la maniglia ed apri uno spiraglio, piano piano.
Un groppo in gola ti assale improvviso.
Lui è tornato in silenzio stanotte. Si è steso sul pavimento per non svegliarle, tra peluches e bambole addormentate. Era tornato per prenderle, ma è rimasto. E' rimasto ascoltando l'incanto di un amore che è riuscito ancora a sentire, nascosto nelle pile di abiti smessi, sotto il cestone dei giochi, appeso alle foto delle vacanze insieme. Ha due occhi spaventati che sembrano ancora più grandi adesso, la camicia stropicciata e la barba lunga e una finta risata, mentre soccombe sotto le cuscinate dalle due piccole, che felici ridono come matte.
Le risate cessano di colpo. Ti hanno vista. Le bimbe hanno un'aria colpevole, attendono un rimprovero iroso, mentre i cuscini colpiscono per l'ultima volta il bersaglio.
In silenzio ti guardano ed in silenzio li guardi. Loro, felici tra loro, felici anche senza di te. Ma no, comunque, lo sai che non lo saranno mai completamente.
Lui non l'hai mai visto così pallido, smagrito. La rabbia di ieri l'ha lasciato più spaventato di te. Non puoi non sorridergli e nel sorriso limpido che ottieni di rimando tutto riprende a girare. Vorresti dirgli solo scusa se sono cambiata, scusa se non sono più il tuo arcobaleno scusa e mille volte scusa perchè ho rovinato tutto ma le lacrime che cominciano a uscire da sole, a mille, come i fiocchi di neve, te lo impediscono. In un attimo lui ti è addosso, che ti abbraccia e ti stringe e non fa altro che dirti scusamiscusamiscusami e le bambine che non hanno capito perchè ma han ripreso a fare le matte, menando cuscinate a destra e a manca.
Ti asciughi velocemente le lacrime con il dorso della mano e poi li guardi, con occhi nuovi.
"Bambine, ma cosa stiamo a fare in casa? Perchè non andiamo sotto a fare a palle di neve?
E sotto un' intensa nevicata domenicale li vedi, Francesca?
Ci sono quattro bambini che, a naso in su, ridendo come matti, fanno a gara a prendere con la lingua in fuori, quanti più fiocchi possibile.
Illuminati dai colori dell'arcobaleno.
Sulle panchine si indovina ancora la sagoma di un giornale abbandonato.
Il marciapiede reca impronte scure di chi, nonostante il tempo, è dovuto uscire comunque. Poche le macchine della domenica mattina, non hanno ancora sporcato l'incanto.
E' bellissimo come mai l'avevi trovato.
Sui rami spogli dell'albero vicino la neve ha costruito piccoli muretti compatti in precario equilibrio, così come sul cavo della luce che attraversa la strada; solo l'arrivo di un colombo fa precipitare silenziosamente sulla strada una striscia intatta, che si incastra alla perfezione e scompare nel bianco sottostante.
D'impulso apri la finestra e rimani ad annusare il silenzio della neve che cade, che è un silenzio che fa rumore, perchè nasconde gli altri rumori d'abitudine di questa città, di questa piazza, di questa finestra. Stringi le braccia incrociando le mani, in un abbraccio solo tuo, come se avvertissi il freddo pungente sotto la camicia da notte. Ma no. Non hai freddo.
E' solo che non sei più tu, Francesca.
La faccenda non ti sorprende, no. Non ti sconvolge minimamente, anzi. Ne sorridi, improvvisamente libera, pensando alle lacrime, alle mani torte, a quelle urla che ti sembrano vecchie di mille anni. Ed era solo ieri sera invece che le hai tirate fuori per lanciargliele addosso, per colpirlo duramente con una rabbia che ti sovrastavava, dopo averle accumulate con pazienza le une sulle altre.
Lo hai mancato.
Hai preso solo la porta che lui ha sbattuto andandosene per sempre.
Ti ha restituito la tua vita. Non ha portato via niente, dalle calze spaiate sullo stendino del bagno ai suoi preziosi libri. E ti ha lasciato tutto il resto.
La spesa alla Lid'l del venerdì sera, il tuo lavoro con i tuoi turni di notte, la stanchezza cronica, le bollette ed il mutuo che ogni mese non sai come pagare.
Ti ha lasciato una brutta vita ed i tuoi ma come ho fatto a ridurmi così, Il tuo bambine state buone che la mamma è stanca.
Diciamo la verità, Francesca, non piacevi più a te stessa molto prima di non piacere più a lui. E a loro.
E sì che eri diversa un tempo. Eri pazza e innamorata, e gioiosa e fresca e ridevi sempre. Tu con lui, poi tu e lui e loro, Sara e Giulia, arrivate subito dopo sposati, una dietro l'altra.
Lui che ti chiamava il suo arcobaleno.
E pian piano hai perso tutti i colori.
Da quanto tempo non ridi, Francesca?
Secondo me devi avere ancora un bel sorriso, ma sei una che sorride poco.
Beh, adesso stai sorridendo, Francesca.
I fiocchi continuano a cadere incessanti. Allunghi una mano e ne accogli uno, che osservi stupita sciogliersi e farsi goccia gelata.
Quanti anni avrai, Francesca?
Ad occhio e croce non te ne senti più di dieci, mentre guardi la nevicata più bella del mondo.
Ieri sera ti sei addormentata che ne avevi trentacinque, ma ne sentivi addosso più del doppio, opprimenti, scuri. Pesanti.
E scura sei diventata. Senza neanche accorgertene, senza darti il tempo per guardarti cambiare, accartocciarti su te stessa. Arida. Grigia.
Hai fatto tutto da sola. Certo lui non ti ha aiutata, non accorgendosi in tempo che cambiavi, che scolorivi, che non avevi tutta quella forza che credevi di avere, ma lo sai che la colpa è solo tua.
E la bambina di dieci anni che sei adesso ha paura.
Sei sola Francesca.
Ma il rumore che proviene dall'altra stanza aumenta di volume. E la bambina di dieci anni che sei in punta di piedi abbandona la finestra e va curiosa verso quella stanza.
Bambine state buone che la mamma è stanca.
Dall'altro lato della porta chiusa indovini una battaglia di cuscini, con le risate strozzate per non far rumore.
Giri piano la maniglia ed apri uno spiraglio, piano piano.
Un groppo in gola ti assale improvviso.
Lui è tornato in silenzio stanotte. Si è steso sul pavimento per non svegliarle, tra peluches e bambole addormentate. Era tornato per prenderle, ma è rimasto. E' rimasto ascoltando l'incanto di un amore che è riuscito ancora a sentire, nascosto nelle pile di abiti smessi, sotto il cestone dei giochi, appeso alle foto delle vacanze insieme. Ha due occhi spaventati che sembrano ancora più grandi adesso, la camicia stropicciata e la barba lunga e una finta risata, mentre soccombe sotto le cuscinate dalle due piccole, che felici ridono come matte.
Le risate cessano di colpo. Ti hanno vista. Le bimbe hanno un'aria colpevole, attendono un rimprovero iroso, mentre i cuscini colpiscono per l'ultima volta il bersaglio.
In silenzio ti guardano ed in silenzio li guardi. Loro, felici tra loro, felici anche senza di te. Ma no, comunque, lo sai che non lo saranno mai completamente.
Lui non l'hai mai visto così pallido, smagrito. La rabbia di ieri l'ha lasciato più spaventato di te. Non puoi non sorridergli e nel sorriso limpido che ottieni di rimando tutto riprende a girare. Vorresti dirgli solo scusa se sono cambiata, scusa se non sono più il tuo arcobaleno scusa e mille volte scusa perchè ho rovinato tutto ma le lacrime che cominciano a uscire da sole, a mille, come i fiocchi di neve, te lo impediscono. In un attimo lui ti è addosso, che ti abbraccia e ti stringe e non fa altro che dirti scusamiscusamiscusami e le bambine che non hanno capito perchè ma han ripreso a fare le matte, menando cuscinate a destra e a manca.
Ti asciughi velocemente le lacrime con il dorso della mano e poi li guardi, con occhi nuovi.
"Bambine, ma cosa stiamo a fare in casa? Perchè non andiamo sotto a fare a palle di neve?
E sotto un' intensa nevicata domenicale li vedi, Francesca?
Ci sono quattro bambini che, a naso in su, ridendo come matti, fanno a gara a prendere con la lingua in fuori, quanti più fiocchi possibile.
Illuminati dai colori dell'arcobaleno.
...hai dato una "rinfrescata"...all'arcobaleno.
RispondiEliminaVania
@Vania: con l'immaginazione non ci sono limiti
RispondiElimina:-)
Ciao