venerdì 5 marzo 2010

Un post

Tranquillo, quest'oggi. Il sole, il caldo inaspettato rende tutto più sopportabile. Le stampelle sono diventate un elemento fisso, un fastidioso particolare nella mia visuale. Mi accompagnano ovunque, mi cadono sempre e mi fanno imbestialire, esattamente come allora.
Ma le uso, devo usarle, per amore o per forza. Già ne padroneggiavo l'uso, comunque in quel tempo là. A recuperare l'equilibrio non ci vuole poi molto, in fondo. Basta, ad esempio, abitare al primo piano senza ascensore ed avere la zona notte in mansarda, anche se la consorte, bontà sua, ti ha relegato a dormire sul divano letto della sala e ti abbuona un piano, salvo poi dimenticarsi come si accende la sveglia, e come si spegne, e ah già che ti fai la barba e ti devi cambiare un'altra volta la camicia e scusa ma se fai su e giù almeno dieci volte tanto vale che dormi di sopra. Già.
E quindi, giocoforza, le vesciche alle mani sono comparse e già scomparse.
Ho imparato a farmi da solo le punture di eparina nella pancia. La mia piccola, trasformatasi in solerte ed affettuosa infermiera, mi osserva pensosa mentre mi pratico l'iniezione quotidiana, passandomi il cotone imbevuto di alcool e guardando con attenzione nel momento esatto in cui l'ago buca. Vorrebbe provare a farmene una, ma da lontano, stile freccette. Dovrei solo tracciarmi dei cerchi concebtrici con il pennarello.
In ospedale ci son rimasto un giorno in più del dovuto, a casa ho resistito due giorni, poi via, c'era da diventare matti, a far passare il tempo. Ho letto il leggibile, guardato il guardabile in televisione ed anche l'inguardabile, Sanremo no, proprio non avrei potuto. A tutto c'è un limite.
E pertanto ho ripreso il lavoro, che la vacanza forzata è già belle che dimenticata.
Doverosamente, idealmente ringrazio, lo staff di chirurgia ortopedica e il personale sanitario dell'Ospedale di B, efficienti, precisi e, nonostante un sabato allucinante per loro, incredibilmente cortesi ed umani. Abituato al trattamento giocoforza impersonale dei grandi ospedali torinesi, la cosa mi ha colpito. Ho barato scherzosamente sui tempi al km, trovando runners in sala operatoria, e ridendo addirittura mentre mi operavano.
"Ma perchè voi runners siete tutti un pò matti?" mi ha poi domandato, osservandomi con un leggero sorriso, la dottoressa che mi ha dimesso, la domenica mattina. Me lo ha chiesto con cognizione di causa, avendone sposato uno. Motociclista ed ex climber, per giunta.

E le ho spiegato che non siamo poi così matti, anche se i maneggi tra me ed il mio amico Renè per levarmi il camice ed indossare abiti decenti, con la flebo ancora infilata nel braccio che a mi strangolava,  le hanno strappato ben più di una risata ed avrebbero ben figurato in una commedia di Totò e Peppino.
Le ho detto che non si può spiegare perchè si corre ma occorre provare, e non è detto che debba piacere a tutti i costi, altrimenti i percorsi sarebbero sempre strapieni. Ma le ho detto perchè piace a me.
Le ho raccontato cosa sento io, quando i passi sull'asfalto cominciano a diventare rapidi e cadenzati; le ho spiegato cosa vedo ogni giorno, dal cambiare del colore delle foglie, al cielo, la gente che corre, la pioggia, il freddo polare delle mie zone o il caldo opprimente del mese di agosto. Le ho descritto di come mi sento prima di iniziare e dopo l'allenamento, delle musiche che ascolto e delle emozioni che riesco a liberare ritagliandomi un'ora al giorno che sia mia e solo mia. Della necessità che mi rimane addosso quando non posso; di quanto faccia bene a me, al mio fisico ed al mio lavoro, della serenità che mi procura nei giorni che nascono sbagliati e della soddisfazione che mi procura sentire il mio fisico reagire e superare le fatiche.
Alla fine della mia pubblicità pro running le ho consigliato di provare. Magari da sola, o con la sua collega che mi ascoltava, in pausa pranzo, oppure alla sera, insieme al marito. Mi han ringraziato, loro a me, e mi han detto che chissà, prima o poi magari un giorno non è detto che. Ed andandomene ho infine augurato loro "lunghe corse", un saluto che ho appena imparato in rete.
E adesso quindici giorni son già volati. Il lavoro, per fortuna non mi ha concesso tregua, facendoli passare troppo in fretta ed impedendomi anche di trovare tempo per troppe cose, compreso aggiornare il blog. E così questa mattina c'erano di nuovo gli occhi miei e di Renè puntati sul Dente del Gigante, nel gruppo del Bianco, mentre mi facevo accompagnare a levare i punti. Abbiamo di nuovo parlato parlato e riso tanto, all'andata ma soprattutto al ritorno, cominciando a fare ipotesi di allenamento per raggiungere i nostri obiettivi.
Il mio luminare è soddisfatto, soddisfattissimo e mi ha detto che posso iniziare a darmi una mossa. Ripartiamo.
E il sole caldo mi ha riaccompagnato in studio pertanto; colorava di tinte calde le nuvole che venivano spazzate sulle creste delle montagne innevate da folate di vento impazzite.
Ma dicono che domani nevicherà di nuovo.

5 commenti:

  1. Ti auguro di raggiungere al più presto i tuoi obbiettivi. Di sicuro pare non sia il caso darti nessun suggerimento dato che dalla lettura del post si vede chiaramente che hai un'apertura mentale ideale anche per l'attività del correre.
    Buone corse.

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  2. bentornato... ero in pensiero!!
    e allora.... ciao e "lunghe corse"!!!!

    folada

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  3. presto sulla strada allora, a macinar chilometri!
    buone corse ;-)

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  4. bene ..dai tuoi scritti trapelano particolari positivi di Vita; continua così e presto "zompetterai" nuovamente.
    Ricostruzione.

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