Sarei di nuovo rotto. O meglio non mi sono completamente mai aggiustato. Le due settimane di inattività forzata non mi hanno guarito, come speravo forse stupidamente. Oggi sono partito leggero, giusto per non strafare subito. Ho calzato le mie fide Mizuno e sono uscito dallo studio verso l'una. Sono andato a Parco Ruffini in moto; l'aria era quella giusta, qualche nuvola teneva la temperatura sotto controllo, l'ideale per correre senza disfarsi, come succede quando fa caldo . Lì, abbandonato il casco ed indossato il mio cappellino e la mia piccola "armatura" (ginocchiera e cavigliera), mi sono immesso nel flusso abbastanza esiguo di runners dell'ora di pranzo. Indosso le mie cuffie, e metto walkman e chiavi della moto nella taschina posteriore dei pantaloncini. Sono pronto. Un leggero tocco al tasto rosso del mio fido Polar, e la scritta "Start" lascia il posto ai numeri in continuo cambiamento del cronometro. Si parte e la musica fa il resto, i brani me li sono scelti apposta perchè nel mio terremoto di qualche settimana fa sono stati insieme tormento e sostegno e riesco a pensare meglio (o a non pensare) e, come al solito mi estraneo. Sono tornato.
Il digiuno dall'asfalto non si fa sentire. Il fiato è buono ed i muscoli non protestano, anche perchè sono appena partito, ma mi sento bello tonico. Shiver, di Natalie Imbruglia, è giusta in quel momento: "I walk a mile with a smile And I don't know I don't care where I am But I know it's alright - Jump the tracks Can't get back I don't know anyone around here But I'm safe this time - Cos when you Tell me, Tell me, Tell me Stupid things, like you do Yes, I Have to, have to, have to Change the rules I can't lose " . Anch'io voglio cambiare le regole e neanch'io posso perdere. E corro, cantando dentro, inseguendo sogni ed altri corridori, tutti e due sempre lontani e molto più veloci di me.
Finisco il primo km, e scopro che per volere andare piano proprio piano non sono andato (relativamente parlando, ovviamente) in quanto sono in linea con due settimane fa, quando cominciavo ad andare prima di fermarmi. E' vero che proprio fermo non sono mai stato, ma mi aspettavo molto peggio. E allora andiamo! "Here with me", canta Dido, e mentre percorro il rettilineo ombreggiato decido di allungare il passo. Mi sento bene e leggero. Decido di vedere come reagisce il tendine. Dido cambia la canzone e "Thank you" mi riempie le orecchie e da forza alle gambe. E' un brano che mi piace particolarmente, e lo assaporo, lo indosso e ci corro dentro. Il mio cielo sembra più azzurro, le nuvole mi attraggono e vado. Vado per la prima volta leggero e libero, con il passo giusto e la falcata che comincia a farmi sentire di nuovo in corsa. E' un momento in cui mi sento bene, veramente bene, per la prima volta di nuovo bene. Quasi.
Improvviso, il dolore incomincia a pulsare, prima come una stilettata secca ogni due o tre passi. Si attenua e rallento. Cerco di cambiare il modo di correre, caricando l'altra gamba, ma tutto diventa inutile. Il dolore ritorna, forte, completo ed assoluto. Zoppico vistosamente. riesco a finire il secondo km, poi mi fermo, mi massaggio, provo a cambiare la posizione della cavigliera, ma tutto è inutile. Non va più. Provo a riprendere ma non riesco. E' come se non fossi più capace di correre. Mi fermo, mi dirigo nella zona degli attrezzi, dove mi fermo per circa mezz'ora, facendo stretching, cercando di smorzare il dolore che invece pian piano diventa fisso e pesante. Stringendo i denti mi trascino verso la moto. Gli altri corridori mi sfilano veloci ed il mio cielo è tornato nero e nuvoloso. Risalgo in moto, non mi tolgo le cuffie. Tocca a "Now we are free" di Enya, ma io non mi sento per niente libero, imprigionato in un corpo che contrariamente a me, considera alla lettera gli anni che passano. L'umore diventa più nero delle mie nuvole e mi trascino il pomeriggio. A freddo il male è ancora peggio ed il ghiaccio non può più di tanto. Il tempo fuori si è adeguato al mio e nel tardo pomeriggio incomincia a piovere. Rinunciando al passaggio in macchina me ne torno a casa in moto. Sereno verso sud, la mia direzione, e cerco di raggiungere il limite delle nuvole e di superarlo. La pioggia nervosa mi tamburella dispettosamente sul casco, le gocce spinose mi pungono le guance. Il piede ormai lascia segnali lancinanti, ogni volta che freno o che lo poso a terra. Mi allontano dalla città, inseguito dalle nuvole scure che lentamente sovrastano la città, lasciando solo una ferita di sole sulle Alpi, in lontananza, una bocca di denti candidi e scintillanti di neve e nuvole rosa baciate dal sole in un volto scuro. Scuro come il mio.
La strada cominciava ad essere viscida e le mie gomme ormai non mi danno troppa sicurezza, (è di nuovo ora di cambuiarle, porc..!!!) e le mie curve non sono state in grado di risollevarmi l'umore.
La notte è andata ancora peggio, come se avessi degli artigli piantati nel piede, pronti a affondare ancora di più ad ogni movimento. Non è che abbia dormito tanto.
Oggi mi trascino, e zoppico vistosamente, incacchiato col mondo. Tutta la gente che mi aveva sconsigliato di riprendere ieri oggi mi critica e mi ripetono che me l'avevano detto, ma loro non capiscono, non sanno, non respirano quello che respiro io, che comunque e nonostante tutto e tutti (o sarebbe meglio dire tutte?) vivo.. Altrimenti sarebbero a correre come me. .
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