mercoledì 8 maggio 2013

Dicono di me

che sbaglio. Che molto probabilmente ho bisogno di una sana vera vacanza - e probabilmente è vero, Dio solo sa da quanto tempo non mi fermo a respirare con fiati composti da respiri lunghi, misurando il tempo, ascoltando battiti regolari. Chissà da quand'è che non mi dico convinto andrà bene, che ogni pieno di gasolio non è un tracollo insanabile, che riesco a guardare questo posto qui e la sua gente senza avvertire un senso di angoscia che prende alla gola.
Dicono di me che prendo tutto troppo sul serio, che sono inflessibile e severo, sempre troppo al limite, che con me le cose o sono bianche o sono nere, e quando qualcuno non la pensa alla mia maniera per me è subito contro.
Intransigente. 
Certo è che ultimamente urlo parecchio. Urlo per un niente, urlo con le vene che, con una facilità disarmante mi si gonfiano sul collo, e con il tono di voce che va su in un lampo, senza quasi che possa far niente per evitarlo.
Urlo come forma di liberazione e ribellione ad ogni prevaricazione e stupidità anche se questo, ironia della sorte, mi fa sentire stupido, urlo perché non riesco a raddrizzare le cose, urlo perché magari non avrò altre valvole di sfogo, perché non ho costanza e tempo e forse neanche tutta questa voglia di rimettermi nuovamente a correre. Urlo perché mi sa che ho finito i sogni.

E me ne sono reso conto anche l'altro ieri di quanto sia diventato un perfetto idiota, là in quella piazza, con la mia voce amplificata dalle geometrie dei portici bassi che rimbalzava sulle pietre del selciato, tutti i miei  ringhiosi perDio tirati a denti stretti  e i passanti che guardavano di sottecchi la scena, sfilando via frettolosi. E mentre, tra me e me mi davo del discreto coglione, non riuscivo a comunque smettere, con ogni nuovo pensiero che era più furibondo del precedente, un mare oscuro in tempesta dove ogni ondata veniva subito sovrastata dalla successiva.  
E dire che, solamente due giorni prima,  in casa D&R era volato un piatto - coniglio alla ligure il suo contenuto. Uno scatto improvviso del polso da sotto in su e la stoviglia era decollata con eleganza dalla tovaglia roteando sul suo asse, descrivendo un'ardita parabola e rilasciando bocconcini di coniglio, olive e schizzi di sugo, piccoli gustosi missili che erano stati sparati tutto intorno. La gatta si era leccata i baffi.
Mia figlia invece si era messa subito a piangere. Mi sono ricomposto, ma che volete, il danno oramai era fatto. 
La sera, nel suo letto, mani nelle mani ed occhi negli occhi le avevo poi chiesto scusa, cercando di minimizzare, provando a scherzarci persino su e le avevo anche domandato perché mai si fosse messa a piangere. Lei mi aveva risposto che aveva avuto paura di me. 
Paura di me. 
Le ho chiesto se ricordasse che le avessi mai dato una sberla. Mi ha risposto che no, lo sapeva bene, nemmeno quella volta che aprendo di colpo la portiera della mia auto l'aveva mandata a sbattere contro la fiancata della macchina della consorte - tutte e due fresche di carrozziere - l'avevo mai toccata ("però anche quella volta lì mi avevi fatto paura, ma eri arrabbiato diverso"). Ma, guardandomi negli occhi che non sorridevano mi ha detto che quando sono così, quando ho gli occhi cattivi  non riesce a non avere paura di me.
Le ho promesso di cercare di lasciar correre. Le ho promesso di cercare di essere il suo solito papone che scherza e che ride e che se la porta sulle spalle la mattina quando la sveglia anche se è lunga quasi quanto me. Le ho promesso di raccontarle ancora storie la sera, e ci siamo detti che è proprio da tanto che non facciamo una bella conta dei peluches, di quelle che poi ci nascondiamo il gatto dentro. 
Sarò buono, promesso.

E son durato due giorni, proprio un bel record.
E dopo, quando tutto si era acquietato, quando ti senti improvvisamente così stanco da preferire il silenzio e  tenere gli occhi chiusi su tutto, era perfettamente inutile domandarle ancora una volta scusa. Ovviamente non era con lei che  ce l'avevo, ma lei era lì, insieme ad altri, in un'occasione di pseudo festa familiare. Chiunque dotato di un minimo di buonsenso avrebbe preferito lasciar correre.
Non aveva senso scusarsi, le ho parlato. Le ho detto con la voce bassa e disperata che non so. Che non so perché mi debba arrabbiare così, non so se non riesco a vedere chiaramente o meno le cose, non so più nemmeno distinguere se abbia ragione o torto e probabilmente sbaglio, sbaglio su tutto, sbaglio a vedere, sbaglio a capire, sbaglio ad urlare. 
La sua risposta mi ha lasciato senza forze. 
"Non so se sbagli papà - mi ha detto, con la sua voce più morbida - forse no, magari avevi ragione. Però dopo che hai urlato in quel modo mi sono sentita solo molto triste".

La Ciccia, tredici anni di meraviglioso donnino, non se lo merita proprio, uno così, che le fa paura e che la renda triste.
Non posso farle promesse che non so se riuscirò a mantenere. Non so quanta capacità io abbia, oggi di scuotermi di dosso il peso delle cose come si fa con la polvere di una strada terrosa dall'orlo dei jeans. Non ho occhi sereni, non ho orizzonti lontani. 

Non le ho detto "cambierò, promesso". Le ho detto che ci proverò. Che proverò ad ascoltare il suono del suo cuore, ad imprimermi bene in mente la morbidezza della sua mano quando stringe la mia, proverò a ricordarmi il colore dei suoi occhi, di nocciole e settembre. Proverò a provare. A cercare una soluzione  diversa, ad inventarmi una storia dalle forme delle nuvole, ad indovinare un arcobaleno, perché pare che accada proprio così, anche dopo la peggiore tempesta, se presti attenzione là in fondo, dove le nuvole si stracciano, guarda bene, che è lì che ti aspetta. 


On air: C. Cremonini: Dicono di me


11 commenti:

  1. ciao, difficile commentare...so solo che la vita alle volte è difficile.

    ...consigli nessuno...
    ...un CARO saluto.
    Vania

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  2. il coniglio alla cacciatora è perfetto per un'esplosione di rabbia.
    Sarebbe stato lo stesso se avessi tirato in aria la pastina in brodo?
    Le cose o si fanno bene o niente.
    Anche arrabbiarsi. o lo si fa pienamente o è un leggero sfiato della pentola a pressione.
    La rabbia giustificata non è da condannare.
    Credo che tu abbia comunicato al "gruppo" il tuo disagio.
    La rabbia va rispettata. E' un'emozione sacrosanta. Anche i Santi vecchi e nuovi si sono arrabbiati e s'arrabbiano!
    Tua figlia ti ha dato un'ottima risposta. Magari non ti conosceva sotto questo aspetto. Ma mica sei un mostro se t'arrabbi, anche furiosamente. Capita a tutti, più volte nella vita.
    Cero intristisce chi ti vuol bene vederti arrabbiato ma le emozioni in famiglia vanno attraversate tutte, almeno io la penso così.
    Anche a me è capitato sai...ed è stato liberatorio.
    Un abbraccione

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  3. andrà tutto bene vedrai, andrà tutto bene!
    Ha ragione Bruno: la rabbia va rispettata. E la sincerità con tua figlia vi unirà ancora di più: lei non ha bisogno di sentirsi dire quello che vorrebbe, ma di vivere insieme a te anche le difficoltà.
    un abbraccio forte

    Sabina Folada

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  4. A mo di carovana mi unisco al parere di Bruno, che poi è lo stesso di Shrek: meglio fuori che dentro.
    E poi, credenti o meno, vorrei ricordare che persino a Gesù Cristo un giorno è venuto un diavolo per capello, e ha fatto volare banchi di mercato nel Tempio, e non credo si sia pentito, perché aveva le sue buone ragioni.
    Ricomincia a correre, e a sognare... o dovrai cambiare nome al blog! ;)

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  5. una vacanza da noi stessi, ecco cosa! ne ho fatta di paura, anch'io, e l'unica era evitarmi/si......

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  6. la tua piccola non è più una bambina, credo che riuscire a aprirti e spiegarle il tuo sentire sia un segno di rispetto nei suoi confronti. Certo non ha la capacità e la maturità per portare il carico del tuo disagio o darti una mano, quella la devi trovare tu, dentro o fuori di te.
    un caro saluto D&R, che magari se fosse un pò più R...

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  7. @Vania: sì, a volte la vota prende delle strade diverse da quello che potevi prevedere o che speravi. Quello che mi disorienta, forse, è la mancanza di alternative. Grazie

    @Bruno: non so, a me, dopo rimane solo un senso di spossatezza e delusione nei miei confronti, a volte vien fuori subito dopo un mal di testa feroce di quelli che durano una giornata e che ti costringono a stare al buio ed in silenzio,fuori dai giochi per un po'. Certo che sta diventando tutto sbagliato. Vorrei essere migliore di quello che sono. Vorrei affrontare le difficoltà in maniera diversa, vorrei aver chiare molte più cose.

    @Sys: sai che, come immagine, associare Shrek a Bruno già mi fa sentir meglio?
    Per i sogni non so, ma, se le cose vanno come spero, tra due giorni sarò a Riccione, con le Asics nel bagagliaio. Si prova a vedere l'effetto che fa.

    @Theyogi: fratello!!! Ma dici che poi passa?

    @miaVale: il disagio non è roba da poco, credimi. Sicuramente i momenti che sto vivendo non saranno così dissimili da quelli della metà dei nostri connazionali, ma stare così a lungo sul filo del rasoio, senza sicurezze di lavoro ed economiche alla lunga porta allo sfinimento più di qualsiasi maratona.
    Promesso che ci proverò, a far rispuntare la R.

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  8. te lo dico con la Signorilità che solitamente mi distingue:
    "minchia, sarebbe pure ora che alzassi le chiappe e ti decidessi a scaldare le suole della Asics e non quel cazzo di sedia!"

    Bonjour mon cher, ça va?

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  9. Eppure questo Stato ci dovrà rendere conto pure di quanto abbiamo fatto soffrire i nostri cari per il nostro essere tesi, depressi, preoccupati, a volte disperati...

    E comunque, è pure vero che un papà nervoso è una realtà che un figlio deve imparare a conoscere e ad accettare, perché questa è la vita anche con tutti gli altri esseri umani e non si può vivere sotto una campana di vetro.

    PS: sapessi la mia, povera figlia, a che scene ha assistito e quanta paura ha avuto! Non sono sicura che ne sia uscita indenne, ha un'ipersensibilità che mi preoccupa davvero e che sarei cieca a definire normale, però lei ha iniziato a vederle da neonata, non da adolescente!

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    1. Penso che tu abbia ragione. Ma l'istinto principale dovrebbe essere quello di proteggere i nostri figli. Anche da noi stessi, a volte.

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