martedì 18 settembre 2012

La brutta bestia

Così dicono di lei. E quando intendo Lei non pensate male, non mi sto riferendo alla mordace consorte, che casomai rientra nella categoria degli "animali di piccola taglia". Un po' come quei cagnetti che abbaiano sempre e sempre mostrano i denti: non feroci, no, ma estremamente rompicoglioni.
La brutta bestia a cui accennavo è la gelosia, di cui la consorte pare permeata, inzuppata come un savoiardo nel caffellatte. 

Dico sempre che le sue malefatte sono state così tante e così tanto varie che potrei tranquillamente scriverne un libro. Tale libro lo utilizzerei eventualmente a mia difesa, nel momento in cui qualcuno, lavorando casualmente con il martello demolitore nel pavimento del garage, ne rinvenisse in futuro i miseri resti. Tanto sarò già all'Avana, tra fiumi di rum e donne scandalosamente giovani e pertanto chemmefrega. 

Tempo fa ero in un bar a nutrire l'affamata schiera del popolo di studio e ne stavo rievocando un aneddoto, accaduto qualche anno prima. Sospetto che tutta l'ilarità suscitata, (un pò come accade al Berlusca e le sue barzellette durante i comizi elettorali) sia stata in parte dovuta al fatto che la mia mano verghi gentili autografi sugli assegni delle loro buste paga, ma alla fine le risate erano così tante che da un lato ci hanno gentilmente quasi cacciato dal locale e dall'altro mi han fatto pensare che, di questa storia potrei benissimo farne parte anche a voi. 
La premessa è la solita. Non invento niente, al limite infiocchetto, ma è vero in tutto, tranne quando faccio parlare il gatto. Se credete anche a quello allora avete dei problemi. 

Era la vigilia di Natale di tre anni fa. Una cena di studio, con tutti, soci e collaboratori. Una cena particolarmente sentita perché in quella ci accompagnava, per l'ultima volta E., un nostro collaboratore storico, un amico che, dopo circa dieci anni trascorsi sempre insieme, dall'anno successivo sarebbe andato a lavorare da un'altra parte.
Abbaiamo trascorso una serata veramente piacevole. Buon cibo, buon vino ed una buona compagnia han fatto sì che il tempo passasse veloce, tra risate, e attimi di leggera commozione. Il nostro amico che era in procinto di lasciarci aveva gli occhi più lucidi di tutti. Alla fine ci salutiamo e ci dirigiamo ognuno a casa nostra. Tra le persone di studio ci sono anche due ragazze che abitano lungo la strada che faccio per andare a Bucodiculoplace e, considerato che si mormora abbiano l'abitudine di bere smodatamente e che soprattutto non sono automunite, mi offro cavallerescamente di riportarle a casa. Le chiamerò, per rispetto della privacy, Tizia e Sempronia. Su Tizia (esclusivamente per questioni di ordine cronologico) si stanno concentrando ultimamente gli strali della gelosia della consorte. E Tizia, tra le due, è ovviamente quella più vicina a casa mia. 

Accompagno pertanto Sempronia a casa, la salutiamo, accompagno Tizia a casa, saluto anche lei, e di lì in capo a dieci minuti, senza il minimo sbaffo di rossetto sulla camicia o un capo di biancheria intima femminile che sbuca dalla tasca della giacca son lì, fischiettante e sereno, diversamente sobrio ma solo il giusto, con lo sguardo da maritino angelico d'ordinanza che risalgo le scale di casa. E' circa l'una e mezza di notte. 

Lo so perché le lancette del mio orologio, per il gelo come nella scena di The day after tomorrow, sono rimaste bloccate per sempre.

Salendo dalla zona giorno alla zona notte avverto una strana, inquietante tensione nell'aria. Un ronzio sommesso e persistente, come quando passi sotto i cavi dell'alta tensione ed a noi maschietti si drizzano i peli sulle braccia. La luce dell'abat-jour della camera da letto è ancora accesa, la gatta sguscia via silenziosa con le orecchie bassissime, e con gli occhi ed un eloquente gesto delle zampe mi suggerisce che non è proprio aria. La consorte è nel letto, seduta a mezzobusto, con le braccia conserte che mi attende fissandomi con occhi ardenti. La prima impressione che mi dà mi ricorda Linda Blair nell'Esorcista. 
La saluto allegramente, sono di ottimo umore e mi stupisco di trovarla ancora sveglia.
Lei comincia a parlare con la voce livello "D quasi E" del repertorio delle voci della Consorte. Il repertorio delle voci della consorte comprende, in crescendo, tutte le sfumature dal livello "A" alla "F", dove il primo è quello a cui corrispondono toni amorevoli e passionali (non lo usa dall'86, me lo ricordo perché l'avevo registrato ancora su cassetta C60) mentre Il livello "F" l'hanno sentito una volta a New Orleans e mi han confessato che l'uragano Katrina in fondo era stato meglio. 
Il livello D ha un tono di voce leggermente acuto, tagliente e sarcastico, vagamente sinistro, con la parlata veloce ed interrotta di frequente da "eh già" velocissimi che mi ricorda le telefonate in VOIP quando l'ADSL fa le bizze. E' già furibonda ed io al momento non ho ancora capito il perché. Ho anche lucidato l'aureola apposta, prima di uscire. Forse è nascosta dai capelli.
Incomincia: "E allora eh? ti sarai divertito, immagino!" Inizia prendendola alla larga. "In effetti sì", ribatto cercando di buttarla sul faceto. "Pare che le serate passate a indossare il cilicio stando in ginocchio sui vetri ed ascoltando film originali in polacco siano passati terribilmente di moda. Pare che la gente abbia l'abitudine di cercare di star bene, ridere, scherzare, divertirsi". Ma la mia allegria non la contagia, anzi. Gli "èh già" ed i "si deve pure divertire, lui" si susseguono a ritmo serrato, infastidendomi. Badate, non voglio dire di essere un maritino perfetto, questo no. Spesso non sono gentile, non sono premuroso, non sono affabile: non saluto i vicini e faccio piangere anche i bambini più piccoli (e anche questa, giuro, è proprio vera). Abito - la dizione più corretta sarebbe "dormo" - in un paese (il suo di lei), di emmenthal dove brucerei almeno metà della popolazione accanendomi in particolare modo su alcuni folcloristici componenti della di lei famiglia e tutte queste cose gliele ripeto pure spesso. Ho un lavoro mio, che mi da tanto ma che come contropartita mi fa stare lontano da loro tutto il giorno, senza orari, e nonostante tutto non voglio rinunciare, per sopravvivere, a cose egoisticamente solo mie come correre ed arrampicare, quando posso, quando proprio non riesco farne a meno. Ma a parte questo basta. Tre, quattro uscite all'anno tra uomini sono ciò che mi concedo, semplicemente perché mi va bene così, perché è giusto così, perché casa dovrebbe voler dire che si lascia tutto fuori, trovando dentro la tranquillità, il calore e l'affetto delle persone a cui vuoi bene, che ti vogliono bene.  
Sono stanco, a quest'ora, per litigare senza senso. Non me lo merito, non ho voglia di fomentare le sue paranoie, e neanche di iniziare una discussione sterile: "Sì, una bella serata, infatti, siamo stati bene", rispondo spogliandomi. Si informa su chi c'era, evidenziando con sorrisetti e mormorii (se c'è una cosa che mi fa .....zzare sono i mormorii che non capisci cosa ha detto ma che SAI che era un qualcosa a contenuto altamente dispregiativo).
"Immagino che Tizia ti sia stata seduta vicina, a cena"
"Si," ribatto io " principalmente per due motivi. Il primo è che in quanto ad organico non siamo la FIAT, quindi stiamo tutti tranquillamente intorno ad un tavolo. Ed il secondo è che siamo in inverno, non potevo certo farla cenare da sola nel dehor". 
"Comunque ti era seduta vicina, o di fronte, vero?" (la consorte a mente non sa fare 8+13 però riesce a calcolare in una frazione di secondo tutte le combinazioni possibili della posizione delle persone intorno ad un tavolo rettangolare per sapere che se sono in mezzo alla tavolata, sono praticamente spacciato). 
"No, proprio vicino non c'era posto. Allora, per farla contenta, l'ho tenuta sulle ginocchia, fino a che mi si sono addormentate le gambe".
"Fa anche il cretino lui"
"Considerato che ti ho portato all'altare rivendico il fatto che non faccio il cretino, io sono cretino" cerco di sdrammatizzare.
"E poi, eh? Scommetto che le avrai portate a casa tu, vero?"
"Sai, in verità abbiamo messo dei foglietti in un cappello ed abbiamo estratto a sorte per vedere a chi mai poteva capitare questa insperata fortuna. Ha vinto Caio, sai l'architetto che abita in direzione opposta alle magioni delle due fanciulle. Lui però, sebbene entusiasta, girando in bici anche d'inverno aveva qualche difficoltà a trasportarle entrambe. Allora ha messo all'asta a malincuore la sua vincita e me la sono aggiudicata io per un milione di Euro. Dici che ho speso troppo?

Lei ignora le mie battute. "E immagino che avrai accompagnato per ultima Tizia, c'è da giurarci, vero?"  allude, acida. 
"Considerato, mio buon vecchio Watson, che la suddetta Tizia è la più vicina alla nostra avita magione mi compiaccio per l'arguta deduzione, MA" - alzando l'indice per  richiedere attenzione - "in realtà sbaglia, perchè l'ho accompagnata per prima. Arrivati sotto casa sua le ho, travolti da irrefrenabile passione, dato due gentili colpetti sul sedile posteriore dell'auto, in maniera che Sempronia osservasse e potesse prendere appunti. Scaricata la prima pulzella ho girato la macchina e son ritornato verso Torino, per lasciare la stessa Sempronia, la quale a sua volta, poverina, pretendeva di mettere in atto gli appunti diligentemente presi. Infine ho fatto per la terza volta dietro front e mi sono diretto a casa. Totale 540 km per due sveltine". Poi, guardandola fissa  e cercando di farle capire l'assurdità delle allusioni "certo che l'ho lasciata per ultima, è la più vicina a casa nostra, non credi?".

L'insensatezza dei suoi ragionamenti diventa finalmente manifesta persino a lei. 
"Sono due persone normali, da accompagnare a casa, punto. E non mi costa nulla farlo. E sei ridicola. E Tizia poi oltretutto ha anche un marito." 
"Non vuol dir nulla" tenta un'ultima, strenua difesa. Ma ha perso di mordente, non ci crede più fino in fondo. Il livello passa gradatamente da D al C. La gatta, che mi aveva già preparato un giaciglio di fortuna vicino alla lettiera, dal bagno sento che sussurra "Te la sei cavata, non ci avrei scommesso la mia ciotola di croccantini, stasera" (ecco, questa è la parte a cui non dovete credere).

Sto per mettermi a letto, lei ancora rimbrotta qualcosa tra sè e sè, ma se essere gelosi è un'arte lei è il Michelangelo della gelosia, e non ce la fa proprio a finirla così. 
Stiamo per abbandonare anche il livello C. Mi rilasso.

E lì sta l'errore. Perché non è che abbia seguito un corso al CEPU, per diventare così, lei è una professionista, è campionessa mondiale in carica, docente di gelosia applicata. Fa solamente finta di abbassare la guardia, scarta ed aspetta la tua prossima mossa. E con lei devi rimanere sempre sul pezzo. Nonostante tutto fai ancora gli stessi stupidi errori. Basta un niente. Basta che tu ti dimentichi, ad esempio, di spegnere il cellulare, o mettere il silenzioso. Ma il cellulare tu, non lo spegni mai. E questo, la sfiga, la tua personalissima nuvoletta nera che ti segue fedele da quando eri in fasce, lo sa. 

Ed è proprio in quei piccoli istanti di pace, quando ormai pensi, d'accordo con la gatta, di essertela ancora una volta svangata, che accade l'irreparabile......
[...continua.]

8 commenti:

  1. Maramma Marmotta, dal telefono mica si vedeva che l orsa lì era così grande!!!
    ma poi?
    che è successo poi????
    daiiii nun ci si può fermare così... uff...

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    1. Poi? Vuoi sapere cosa è successo poi??

      Lo vuoi proprio sapere????

      Veramente??!?!?

      ...Aspetta :-)

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    2. mmmfrrrffffff...
      tu non mi conosci, ma io sono curiosa come una scimmia...

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  2. Racconti del genere non mi fanno rimpiangere, ma neppure per un momento, di essere single.
    Un abbraccio (basta che non ti faccia una scenata...)

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    1. Se mai sapesse di queste mie pagine (come d'altro canto i miei soci o i miei familiari), per dirla alla Hannibal Lecter "si mangerebbe il mio fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti... "
      Ricambio l'abbraccio.

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  3. ma no dai...
    le fave no.
    puàààà...

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    1. Sì, ma Hannibal sosteneva che "con il Chianti è la morte sua..." :-)

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