martedì 29 maggio 2012

L'aquilone

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Ma come fate voi, hai detto. A giocare coi numeri. E' da pazzi, non c'è poesia, né emozioni né sentimento. Non è un tema, ad esempio, che l'incanto nel leggerlo ti avvolge, che ti ci perdi assaporando lentamente le parole, che le emozioni saltano fuori dal foglio e ti si piazzano davanti così, da provare a toccarle, che ne vien fuori quasi musica a volte, incastrata tra le parole.
No, non è da pazzi. Forse è solo che vediamo le cose con occhi diversi.
Io ci gioco, da sempre, invece. Non è da pazzi tenere la mente allenata e fare i conti a memoria e divertirsi addirittura con i numeri, le regole e le formule, non è da pazzi, o forse sì, ma solo un poco immaginarli, e vederli proiettati al contrario nelle notti che non ti regalano sogni ed inventarsi storie che quelle almeno puoi.
Ci sono i numeri intorno, nelle cose che vediamo e che diciamo. Cinque minuti e arrivo, e cinque minuti che sono trecento di quei secondi che a volte sembran troppi o troppo lunghi, e troppi giri di ruote della mia moto, imbrigliato in un traffico pomeridiano che sapeva di marmo.
Ci sono i numeri in ogni cosa, in quello che capita, nel ritorno periodico degli eventi, nei momenti della vita: momenti come parabole, con la loro lenta salita, l'avvicinarsi al fuoco e l'inesorabile allontanarsi. Esplosioni come iperboli, equazioni incomprensibili ed imprevedibili. 
Io inequivocabilmente tendo agli asintoti.
Numeri nel suono delle parole, nel passo cadenzato dei runner che giravano intorno, nel movimento delle tue mani a disegnare nell'aria mentre dicevi - mi hanno sempre dato e tolto, dato e tolto. Avrei voluto fermarle, quelle mani.
Dato e tolto, dato e tolto, un movimento periodico le tue mani, un'onda sinusoidale, y=Asin(2π/τ x + Ø), dove ampiezza, periodo e fase sono state le variabili che hanno reso una vita quella vita precisa. E saranno stati scrosci di pioggia, occhi scuri a scrutare il morire di giorno da dietro alle persiane socchiuse o passi di corsa sulla neve di una sera, e Dio solo sa dov'ero e se avrei voluti incrociarli allora, quei passi.
E anche un aquilone ha dalla sua matematica e numeri; è una figura geometrica armonica, un quadrilatero con un cerchio inscritto, e la distanza tra l'incrocio delle due diagonali ed il centro del cerchio è la chiave di tutto, perché è lì che sta l'equilibrio, è lì che per fargli prender vento dovrai attaccare i fili perché altrimenti l'aquilone non volerà mai. E' un gioco sottile di numeri, tra superficie portante e pressione, è un equilibrista che si esibisce sul filo sottile del vento, è la spinta, che lo porta a staccarsi da terra per inseguire rondini e nuvole. 
E anche se sempre di più mi sento arido e freddo, anche se non ho più fame di scrivere, che mi sento come congelato, ed il cuore ha spostato la sua forza nei punti vitali per difendere il resto, e scriver non è più sfacciatamente vitale e opprimente come lo era allora, ma forse ancora potrei inventarmi aquilone e provare a sentire se c'è ancora, la pressione che mi stacca da questa panchina, mi fa aprire le braccia a trascinarmi su, passando silenzioso accanto a quello scoiattolo attento ed incerto, su, tra le fronde degli alberi che mi lasciano sfilare, e su, ad osservare questo rettangolo di verde e i cani e la gente che rimpicciolisce, come le macchine pazientemente incolonnate nel traffico di marmo, e su ancora, i tetti rossi ed i comignoli e le case e queste vie tutte così maledettamente ordinate ed ancora su, oltre, a guardare questo fiume troppo placido e grigio e la collina laggiù in fondo e la Mole agghindata della sua sequenza di Fibonacci addosso che sono ancora numeri. Su, sfidando folate improvvise, a sentire il sapore di quella spinta, del vento che mi accarezza il volto e mi sostiene braccia, occhi e cuore, a capire se, scivolando qualche volta e risalendo subito dopo, io sia ancora in grado di trovarlo, quel punto di equilibro, tra le due diagonali ed il centro del cerchio.
Su, ancora oltre, ad osservare, quel filo sottile che parte da qui e descrive una curva indolente, arrivando fin giù, a quella panchina, e tu che hai ancora il polso ad indicare il movimento su e giù, dato e tolto, con un gesto che è quasi come quello che serve a far volare ancora una volta un aquilone.


[P.S. Sig. Ammaniti, la prossima volta mi avverta, per cortesia...]

5 commenti:

  1. l'aquilone ha la sua matematica, ma il bambino che lo guida eccitato, non lo sa, e vola con lui, diventa aquilone anche lui.
    Ciao!

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  2. Concordo con il mio omonimo, ed aggiungo : questo tuo breve scritto, @Dreaming, giustifica il nostro desiderio ( pur egoistico .... ) di leggerti sempre, e la nostra attesa !
    La matematica, questa tua passione che è anche la mia, non ricerca la CONSAPEVOLEZZA DI LEI, o almeno non la cerca in chi non faccia, per professione o per scelta di vita, il "matematico", non la insegue dovendo disporre della parola più o meno bella .... giacchè, al contrario della parola che è "lavoro di cesello", essa, e cioè la MATEMATICA .... è già insita nell' animo umano, del bambino così come del vecchio, e ne è, che ci sia consapevolezza o pur no, parte integrante inscindibile !
    A presto .... spero, compatibilmente coi tuoi impegni !!!
    @Bruno ...

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  3. dato e tolto, dato e tolto ma ci sono cose che nessuno, nessuno mi toglierà mai.

    Ecco.

    Fr.

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  4. ...felice di leggerti.:)

    ...non conterò i giorni del tuo prossimo post;))
    ciaoo Vania

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  5. Anche se le leggi della matematica si riferiscono alla realtà, non possiedono una veridicità assoluta, e se l’avessero, allora non si riferirebbero alla realtà.

    Albert Einstein
    &
    Franco

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