sabato 29 maggio 2010

Benvenuto al Mondo

Sì tu. Hai letto bene. Sto scrivendo proprio di te.

No, tranquilli, non è un post alla San Francesco, non sono certo il tipo. E neanche un augurio per un nuovo nato, anche se qui, tra collaboratori ed ex, tutti dotati di ormoni ed energia in esubero, tra poco mi sa che ci dovremo allestire un kinderheim, al posto del giardino delle rose.

Sto parlando del mio amico fisico, "il Mondo".
Ciao Mondo. Non sai con quanto piacere e con quanta voglia ti scrivo.

Non so quanti amici una persona possa meritarsi nella vita. Chissà, al massimo una decina, presumo. A differenza del mio socio anziano, che chiama amico il lavavetri del semaforo, il dentista ed il benzinaio sottocasa, io sono leggermente più difficile (o più orso, a seconda di chi mi giudica) e contemplo nella categoria "amici" al massimo... fatemi pensare... sì, cinque o sei persone; per i prossimi, dunque spero di avere ancora tempo. Ma badate bene, uno, anche uno solo, ma vero, limpido, è un regalo insostituibile. 
Sapete, per me, amico è una parola quasi magica, la massima espressione di un'affinità che è rarissima da scovare; è fiducia totale ed incrollabile, è emozione e complicità, è parlarsi per comprendersi, oltre a mille altre cose, che di sicuro capite. E' quella voce, che né il tempo né la distanza cambiano. E' una sosta sicura, ecco. 

Lei, che è andata via da poco, è ancora una tra le mie soste più salde. E più belle.
Beh, e lui è uno di quelli. Il Mondo.


E si merita questo post di benvenuto, che di questa mia "creatura" non ne sapeva ancora niente. Non di più però, se no poi si monta la testa.
Il primo ricordo che ho, la prima cosa che abbiamo fatto insieme è stato, in una domenica fatta di niente, di ore che non ne volevano saperne di passare, spazzar foglie secche in un'enorme piazzale di una caserma vuota da difendere dal nemico, in quella lontana regione dove un giorno vorrò tornare. 


Ricordi, vero? Certo che ricordi. Come non puoi dimenticare i gavettoni epici che ci siamo fatti in divisa, la tua licenza per l'esame all'Università ed una miriade di altre cose, di quei giorni spensierati e velocissimi.


E come non puoi dimenticare le frasi "da approccio" in piemontese che ti insegnavo (Madamin chila a bala?), che, onestamente, pronunciavi in maniera veramente terribile.


Ed in quell'anno, fortuna doppia, in quella città incantevole, ho conosciuto anche un'altra persona che ancor oggi mi onora della sua amicizia. Ma scriverò su di lui, anzi su di loro, un'altra volta.
Insieme abbiamo fatto tante cose, in quegli anni. Attraversato montagne, festeggiato Capodanni, dormito in tenda, bevuto grappa ai mirtilli la sera nei rifugi in giro per le Alpi, con lui che era ancora convinto di essere astemio. 
Insieme abbiamo parlato sempre, riso tanto, discusso animatamente tantissimo. E no, non abbiamo mai litigato, che ricordi.
E' stato anche un mio quasi cognato, per un periodo brevissimo. Poi però, per fortuna sua, si è svegliato giusto in tempo. Peccato, sarebbe stata l'eccezione che conferma la regola nel mio teorema che i cognati sono generalmente stronzi.

Le prime cose che di lui, allora, mi han colpito sono state l'intelligenza vivace mischiata ad una straordinaria sensibilità, quella capacità che aveva e che ha ancora di ascoltare e di farsi ascoltare, una tranquilla esuberanza, e tante altre cose.
Trovavo invece estremamente disdicevole, anzi quasi irritante che a lui la divisa donasse più che a me (con tutto quel che ne consegue in termini di friulane locali che gli ronzavano intorno), ma questa è un'altra storia. 
E', per indirizzo di studi ed aspetto, quello che definisco il mio amico "fisico". 
Ex Transalpista (ex per furto), attualmente motociclista da Ninja e con il sogno economicamente irraggiungibile di una Morini Granpasso, ha all'attivo migliaia di chilometri macinati per le strade di mezz'Europa, altro che il sottoscritto, guidatore di due ruote della domenica. 
Non ha legami a lungo termine, lui, poche radici profonde, e quelle tagliate, forse, non si son mai rimarginate del tutto.
Invidio bonariamente la sua indipendenza, la capacità di inventarsi ogni volta con caparbietà ed ostinazione, di trovare nuovi stimoli ed affrontare con un'entusiasmo ed una determinazione non comune ogni nuova prova che il destino gli propone.
Non ci vediamo da troppo. Glielo dico spesso, lo diciamo insieme ogniqualvolta ci sentiamo al telefono in quelle lunghissime chiacchierate che servono per accompagnarci a casa l'un l'altro; e non so quando riusciremo, lui, adesso impegnato tra il mestiere di ricercatore ed i terremoti, il Giappone e le giapponesine (della serie il lupo...) ed io, preso, tra il mio lavoro, la mia bimba e le mie smanie. Anche se poi, a pensarci bene, non sarebbe poi così difficile decidersi e scansar via tutto, per un giorno o due a rivedere da vicino le tre Cime di Lavaredo o ad inseguire pieghe su per qualche strada nuova, in un posto qualunque, tra me e lui. Tranquillo, nel bauletto del Transalp metto una bottiglia di Dolcetto ed una toma di media stagionatura.
Non so se voi sognate mai sogni impossibili, di quelli ad occhi aperti. Io ovviamente sì, e spesso. In uno dei miei sogni fantastici mi vedo, fresco vincitore di un sei al Superenalotto (al quale, per inciso, non gioco praticamente "mai"). Sapete cosa mi immagino? Caraibi, Ferrari, escort? Niente di tutto questo.
Sogno di imbarcarmi, in sella ad una Benelli Trek Amazonas nuova fiammante, in un viaggio fino in Centro Italia. E di mandargli, una volta arrivato sotto la finestra del suo ufficio, un SMS con scritto "Affacciati. Perché non ricordo il colore". 
E di traverso, sul marciapiede, accolgono il suo sguardo sorpreso tre Morini Granpasso, una per colore (cioè la Morini ne fa solo due versioni, ma nel sogno il tre ci stava bene).


Ed ogni tanto ti sento stanco, amico mio. Come l'ultima volta, quando mi hai detto che probabilmente non avresti la forza, con il momento difficile che tutti patiamo, di essere  anche responsabile nei confronti di qualcuno, di una famiglia o dei figli, come faccio io. Niente di più sbagliato, ti conosco abbastanza bene da smentirti. Hai spalle abbastanza larghe per prenderti carichi ben più pesanti, lo so e lo sai benissimo. Ti manca solo l'occasione giusta (Pssst, e se putacaso ancora ti interessasse, al mio cognato "l'altro" posso sempre far capitare un incidente :-))

Sai Mondo, la vita, il tempo, le cose che abbiamo dovuto affrontare son state tante, nel bene e nel male. Ma le abbiamo passate tutte, e siamo qui. Per fortuna non ci hanno cambiato troppo, o ci han cambiato nella stessa maniera, così piano che non ce ne siamo quasi neanche accorti.


Dai, Mondo troviamocelo, quel tempo fatto di niente. Per farci una camminata dove l'aria è frizzante, per un gavettone inaspettato o, più semplicemente per andare a cercarci un paio di ramazze e far su un mucchio di foglie secche insieme. O in alternativa disperderle di colpo, passandoci sopra in moto.

D&R

sabato 22 maggio 2010

A grande richiesta

Un post quasi dovuto. Per tutta una serie di motivi. Che elencherò nel seguito, dando ascolto al cuore, ma in maniera disordinata, come mi sento io in giorni come questi, fatti di troppo lavoro e di poco tempo per farli come si deve.

Dovuto perchè ne ho voglia, adesso, così stanco che gli occhi pizzicano e con la barba di tre giorni che punge i sogni della mia bimba, che ultimamente ho visto più addormentata che sveglia. In questo studio invece ora insolitamente vuoto, calmo nel caos di carte che regna incontrastato, in bilico dopo tutte le consegne che si sono, come consuetudine vuole, casinisticamente sovrapposte e che, miracolosamente poi, hanno trovato al fine la giusta collocazione e conclusione, incastrandosi alla perfezione le une tra le altre. E attimi fatti di silenzio come questi, dopo i mille chilometri ad una media da ritiro patente anche per le mie due prossime generazioni, dopo tutte le persone incontrate, le telefonate, le idee elaborate ed i risultati ottenuti, questa tranquillità lenta appoggiata in penombra con il chiarore del giardino fuori, le mie rose che sono esplose di colpo e Giorgia nello stereo che canta sussurrata e sottovoce, sono tutti preziosamente miei.

Dovuto per quel sereno, lontano calore che mi procura scrivere, in momenti così. Quel calore che poi ritrovo pari pari in chi mi segue, mi legge ed addirittura si preoccupa quasi, chiedendomi se sto bene perchè non scrivo da un pò, o di chi mi scrive cambia quella stilografica che ha stufato. Sì, sto bene, grazie, ma grazie non come si dice quando le parole sono vuote dentro, iobenegrazieetu? Grazie davvero, grazie perchè questi interessamenti, che trasformano uno scritto anonimo e lontano in una persona concreta sono piacevoli e fa star bene e sorridere appena, sapere che c'è qualcuno che prima o poi ascolta dall'altra parte di questo mio strano pestare sulla tastiera.

Dovuto poi per un saluto all'australopiteco lontano. Che voi non sapete di sicuro chi sia, ma se andrete a curiosare lì, sul mio mappamondo personale, in corrispondenza del continente più lontano, tra canguri e koala troverete un puntino rosso che è lui. La lunga mano dello Studio si sta allargando fin lì. Ciao Ale. Non serve dirtelo che ci manchi, come non serve sapere che nonostante il sole, le onde di quel mare incredibile, le feste e tutte le australiane che stai tacchinando come è doveroso che sia, un poco pochissimo ti manchiamo anche noi.

Dovuto infine alle mie sedie Ikea. Un saluto ed un ringraziamento speciale a loro, che dopo anni di ononorato servizio attendono quiete sotto il gazebo della vite che il camion dell'Amiat le allontani definitivamente da qui. Sapete, sono uno che si affeziona alle cose e che non butterebbe mai via niente. Devo questo probabilmente ad una qualche tara ereditaria, una strana modifica nel genoma nel mio DNA che già ai suoi tempi aveva indotto mia nonna in ottima salute  ad ingerire un purgante piuttosto che buttarlo via, perchè scadeva. Ecco qui spiegata una piccola parte delle mie stravaganze.
Non sono tirchio, badate bene, anzi. Penso che i soldi sian fatti per essere spesi, non son mai riuscito ad accumularne in banca (e ciò ultimamente è estremamente facilitato sia dal mutuo stellare per la casa di bucodiculoplace sia dalle spese criteriate della consorte), ma io che volete farci, alle cose mi ci affeziono, anche se il concetto in verità è un altro.
E' il buttar via in genere che per me è come passare le unghie sulla lavagna, un fastidio vero e proprio.
Di fatto la consorte, che vede il mio drastico calo di peso e la ripresa di una qualche attività sportiva come un fallimento al suo proposito di trasformarmi in essere succube ed informe questo lo sa: attenta comunque alla distruzione completa del mio colesterolo, può chessò, cucinare spaghetti alla carbonara per otto, e poi, dopo avermi guardato in tralice dopo che mi son servito di una porzione minuscola scartando tutti i cubetti di pancetta esclama la frase magica: "vuol dire che dovrò buttarla, Certo che dispiace". A quel punto io, invece di farle lo shampoo con gli spaghetti rimasti, regalarle un trattato sulle norme UNI e le unità di peso di tutti gli stati del mondo o comperarle una bilancia elettronica digitale precisa al centesimo di grammo con laser incorporato che se esagera la incenerisce, invece inguaribilmente capitolo. Mangio per sei e solo dopo aver ingozzato l'ultimo pezzo di pancetta unta e grassa, senza aver più la forza di alzarmi mi do ancora una volta del cretino. Oltretutto sono convinto che lo faccia in maniera deliberata, in quanto mentre sto per collassare sul pavimento, osservandola di spalle vedo sussultare il suo nero cappello da strega, segno che sta ancora una volta sghignazzando. Lei sa.
E questo è su tutto, badate, oggetti, libri e vestiti. E la mia piccola, che qualcosa da me ha preso, fa esattamente lo stesso, nascondendo maglie che non le stanno più e conservando anche le scatole delle scarpe per farne traballanti e colorati condomini dalle finestre sghembe, i cui alloggi vengono indiscriminatamente assegnati a peluches, bambole o gatta paziente che, chissà perchè, alla fine si becca sempre l'attico. E potete ben immaginare l'epilogo.

Quindi capirete come mi sento se guardo le mie vecche sedie. Sette, per la precisione, con braccioli e rotelle e cinque fisse per il tavolo riunioni. In tessuto blu, comperate nel 1997, tra le prime cose che abbiamo acquistato, a fatica con i primi soldi guadagnati. Ce le siamo caricate in macchina, portate qui e ce le siamo montate, com'è consuetudine con i prodotti di quella marca. Ci hanno sostenuto e accompagnato, in tutti questi anni frenetici. Ce le siamo scambiate, rubate e passate. Hanno assistito mute a tutte le litigate, le risate e le chiacchiere dei momenti di calma. Ci sono sempre state in tutti i mille e passa progetti che abbiamo fatto, accumulando polvere e parole. Le ritroviamo nelle foto di studio, nei brindisi di Natale, discrete, sotto gruppi sempre diversi di ragazzi sorridenti. Le abbiamo messe in fila per guardare tutti insieme le partite dei mondiali, le abbiamo macchiate con le pizze delle due di notte prima della consegna e qualcuna reca tracce di quando qui ancora si fumava. sono diventate un pò ingegnere anche loro, a furia di stare con noi.
Non le abbiamo risparmiate, certo che no. Non ci siamo risparmiati neanche noi, d'altronde. Le abbiamo consumate strappando il tessuto, a forza di usarle e non facevano più una degna figura. All'idea di rifoderarle mi han guardato tutti come se fossi un marziano. Ed alla fine, capitolando, ho dovuto cedere malvolentieri alla loro sostituzione. Adesso scrivo seduto comodamente su una di quelle nuove, nera ed acciaio lucido, elegantissima e con mille pulsanti inutili, anche se quella di prima, quella che ha accompagnato tutti questi anni qui, onestamente era un'altra cosa.
Questa potrebbe sembrare una pubblicità ai prodotti Ikea: in effetti le consiglierei, e se la casa svedese volesse ringraziarmi con una fornitura nuova potrei anche non aver nulla da eccepire, ma c'è altro.
Grazie, sedie Ikea, grazie. Questo post, alla fine, scritto in blu come il colore del vostro tessuto, è tutto per voi.
E ok, capito, vado a cambiare la stilografica!

mercoledì 5 maggio 2010

La ragazza dal nome diverso

Gliel'avevo dato io. Coniato di fresco.
Era un nome speciale, suo, solo suo, nessuno al mondo ce l'aveva uguale, nemmeno simile. Non era nè un nomignolo nè un vezzeggiativo. Come il nome di un albero o di un animale. La identificava, la distingueva. Era lei come lo erano quella cascata di parole, la furia che le prendeva se doveva scrivere, i capelli lunghissimi, le risate buttate per le strade ed il passo deciso. E lei con me, lo esibiva, orgogliosa.
Solo io la chiamavo così. E solo con me lo usava, se lo buttava addosso con disilvoltura, come una sciarpa di cotone leggero.
Facevo fatica ad usare il suo nome di battesimo, anzi non lo usai per così tanto tempo che alla fine me lo dimenticai completamente, e lei per me.
Mi rispondeva se la chiamavo come se quello fosse il suo solo nome e  si firmava sempre siglando con le prime due lettere, quando mi scriveva, quando mi lasciava un post-it veloce, un saluto frettoloso dentro il cupolino della moto.
Studiavamo insieme, sempre, anche se preparavamo esami diversi, stuzzicandoci ed interrogandoci a vicenda. Lo spazio antistante al Museo del mare a quei tempi era la nostra giostra, dove giravano i nostri progetti comuni, il nostro giardino privato. Nostre le pozzanghere di acqua salata nelle mattinate fresche dopo i temporali della notte, nostra la focaccia caldissima da rubarsi l'un l'altro scottandosi le dita, nostri il vento teso ed i gabbiani che ci nuotavano dentro tra nuvole rabbiose.
Genova Principe, 8.27.
Si lasciava scendere dal treno tutte le mattine, un salto leggero prima ancora che questo si arrestasse completamente. Mi cercava al di sopra dei suoi occhiali, in punta di piedi, e sorrideva, quando alzavo il casco per farmi riconoscere nella massa di gente che si recava al lavoro.
Ed in un attimo era lì, a pretendere la quotidiana focaccia calda ed il passaggio in moto, tra il traffico pigro e caotico di motorini della sopraelevata. 
Era un tripudio di braccialetti e giornali del mattino, sorrisi e cose nuove da raccontarmi.

Ed ogni giorno era di sole.

La chiamavo.....

[continua ]

D&Z
[Eccezionalmente, solo per oggi, Dreaming and Zapping]

lunedì 3 maggio 2010

Serbatoio inutile e confuso di cose da scrivere

A volte, sollevandomi dal grigio profondo delle parole inutili mai spese emerge un sorriso, striscia sottile di luce intensa: è quanto basta, nel momento, per scovare in tasca uno straccio piccolo e sdrucito di serenità, anche se non ne capisco con chiarezza il collegamento.

A volte, riprendendo vecchi discorsi persi vorrei ritrovare la completezza dei miei ragionamenti e finirli, una volta per tutte.

Vorrei fare il collezionista di sensi, già. Vorrei iniziare una catalogazione nuova per racciogliere emozioni, incontri ed umori spesi, ritrovando, sfogliandone le pagine, gli stessi colori intensi e gli odori di quei momenti, coperti dalla velina rugosa e giallina. Li catalogherei per anno, luogo, persona e giudizio globale.

"Oggi ti guardavo, perdendomi. Eri appoggiata morbida, educatamente composta sul sedile di fòrmica ed opaco acciaio, sul tràm della linea 16. Tu parlavi e parlavi, accompagnata nel ritmico sussultare, nello scuotersi metalllico del vagone sui binari, nei cappotti consunti, negli sguardi assenti catturati dalle pubblicità dondolanti appese al corrimano. Non sentivo, ormai definitivamente intrappolato nella rete di ragno che avevano intessuto i tuoi occhi. I filari degli alberi passavano veloci, dietro goccioline leggere, dimenticandosi istantaneamente di noi, delle tue parole regalate e delle nostre stesse esistenze. Lente macchine dai fanali accesi si incolonnavano disordinatamente ai semafori, i vividi colori al neon all'interno rendevano grigio tutto quello che pendeva fuori dai finestrini opachi ermeticamente chiusi. E non potevo fare altro che fissarti rapito, scrutando nel profondo di quegli occhi color castagna che mi fan sempre venir voglia di prenderti una mano, baciarne l'incavo del polso ed indovinare i battiti con la pressione delle labbra.
Lo scampanellio. Luce di fermata prenotata, sempre troppo presto.
La tua fermata, infine.

Sei scesa, senza una parola, senza sorrisi nè rimpianti. E nel silenzio più totale che mi circondava ti sei sciolta, confondendoti nella stessa nebbia che ti attendeva paziente sotto la pensilina.


Saranno almeno vent'anni, che non prendo più il 16."

Ho in animo di:
Continuare a scrivere di Paco. Mi ha telefonato e mi ha detto se son due mesi che è lì, fermo nella storia in quella stramaledetta sala del ristorante ed ancora non ha incontrato Sveva. Gli son venuti i crampi, poverino. 
Scrivere una storia intitolata "L'ultima volta". Comincia con: "Vi siete mai resi conto.. "
Scrivere una storia intitolata "L'uomo allo specchio". Comincia con: "Fuochi d'artificio.."
Scrivere una storia intitolata "Sogno ad occhi aperti"  Ed è un'evoluzione di questo
Scrivere una storia intitolata "Meduse". Comincia con: "nebbiolina, come in guerra di..."
Trovarne uno veramente, ma veramente bravo...
(In alternativa cambiare pusher....)
Ascoltarmi ancora una volta questa. Magari a voi ha stufato. Ma a me invece no.


Fate finta di niente, che oggi non mi capisco nemmeno io.
Ed ho detto tutto.

E' lunedì



E se il buongiorno si vede dal mattino, questa settimana inizia decisamente in salita :-(
Mi si prospetta lunga, lunghissima....

Quindi...

Sarà meglio che mi dia una smossa S U B I T O!!!!

[E Cacchio! Le premonizioni della strega Varana... pardon, della gentile  e cordiale consorte, c'azzeccano!!!]

Abbattermi io? Ma FIGURIAMOCI!!!!!!!!!!!!!!!! 

domenica 2 maggio 2010

Di pattini, di sogni e vasche da bagno


Continuo a fare sogni strani, agitatissimi, inquieti. Questa notte una tigre con due cuccioli bianchi ed un paio di leoni adulti dalla criniera imponente mi han tenuto sinistramente compagnia, vagando liberi e nervosi tra casa e giardino. La consorte, interrogata a riguardo nella sua qualità di esperta in materia (è nata il 6 di gennaio, ha una scopa che usa solo lei e le faccio spesso notare che nel suo arrosto eccede in lingue di salamandra e code di rospo) ha consultato fondi di caffè, acceso incensi e pronunciato oscure formule di rito in siciliano stretto. Poi mi ha guardato sinistramente preoccupata, anche se poi mi ha confessato che stava pensando a chi avrebbe sostenuto in mia vece le iperboliche rate del mutuo.

Fesso io che mi ci sono lasciato trascinare, direte voi. E avete ragione.

Una mattina quieta, questa. Di calma e tranquillità sottopelle. Di una leggera mestizia, ma sottile sottile. Di poca energia e pochissima voglia di cose da fare e che siano tutte impegnative il minimo sindacale, per carità. Questa mattina altro che scalare il Kilimanjaro, altro che correre una maratona, io, e beato chi in quest'oggi lo sta facendo sul serio. Me ne starei a guardar fuori aspettando che passi. Che passi cosa poi non mi è dato di sapere, questa giornata, il mese, l'anno, l'oltre. Basta che passi, in realtà.

Una mattina in cui la mia piccola si è preparata una vasca piena pienissima di schiuma che strabordava, ci ha buttato dentro una decina di Barbie ed ha provato inutilmente a convincere Nostra Signora dei Gatti a farle compagnia, proposta che è stata sdegnosamente rifiutata dalla titolatissima felina. E se ne è stata un paio d'ore a sguazzare, a raccontarsi ed a inventare salvataggi di sventurate fanciulle biondissime, ventimila leghe sotto la schiuma Neutro Robert's. Ha una capacità tutta sua di tenersi compagnia, raccontandosi storie, domandando e rispondendo, cambiando la voce a seconda della parte e ridendo un sacco, che ancora adesso, mentre la osservo defilato, mi affascina.

Ed i famigerati compiti, nonostante gli ordini del kapò in trasferta, sono ancor tutti impilati aspettando che la voglia arrivi. Tempo ce n'è, in fondo. Voglia, al momento, meno di zero. Aspetterò pazientemente che esca dall'acqua, l'aiuterò portandomela a spalle fino sul lettone dove l'asciugherò facendole tutto il solletico possibile. E poi inizieremo, a Dio piacendo, la ricerca sul topazio, che noi nel frattempo sappiamo già essere un silicato, con un sacco di colori che il genitore non riesce proprio a riconoscere. E ridendo e scherzando, raccontando e parlando, impariamo di più, insieme e molto semplicemente.

Oggi pomeriggio invece si pattinerà. Cioè la mia piccola, novella Katarina Witt in erba, andrà alle prove del saggio di fine anno ed io le farò da autista, allacciatore di stringhe e personal trainer, e scusate se è poco. Ha iniziato tre anni fa lei, con caparbietà ed ostinazione, e quest'anno prova con i primi salti e piroette. Scelta personalissima ed indipendente, la sua, anche se presumo che il bombartamento mediatico di Torino 2006 abbia influito. E così oggi mi accontenterò di guardarmela, seduto distante in una delle mille poltroncine di plastica gialla. Ed, alla faccia di tutti i sogni di questo mondo, ricaricando forze ed energie per quello che capiterà e per la settimana che verrà, in cui, a Dio piacendo, ritroverò del'aria di mare a riempirmi il petto, gli occhi ed il cuore.
E, forse, di straforo, senza dir niente al mio luminare, mi ci scapperà pure un ritorno al mio parco, per una sgambata, una corsetta, un allenamento, ma piccolopiccolo piccolo...
Perchè non ce la faccio più ad attendere oltre. Perchè ho bisogno del potere taumaturgico della corsa. Perchè sento che è arrivato il tempo di ricominciare, di trovare asfalto sotto i piedi, di macinare ed assorbire pensieri e chilometri e lasciarmeli tutti e due alle spalle.

sabato 1 maggio 2010

Stupido


Sì, ci sono, i giorni stupidi. E' innegabile che capitino. E' una naturale periodicità, ci sono i giorni sereni, quelli faticosi che durano il doppio e quelli stupidi. In mezzo al mazzo, random, capitano alternativamente giorni da incorniciare, da segnare sul calendario, e quelli definiti "c'ho Saturno contro".

Non mi lamento. Mi sfogo, tuttalpiù. Ho avuto di tutto, negli ultimi periodi. Istanti più che speciali, punte eccelse che così mai e momenti buissimi, nero profondo; è capitato che Saturno mi abbia offerto da bere ed altre in cui si è fatto dare una mano da Giove, Urano e Plutone a darmi addosso.

Ma, in fondo non mi lamento.

Ma i giorni stupidi proprio non li sopporto, non li reggo, mi strapesano. Quelli vuoti, con il tempo stupido, questa pioggerella stupida, i fastidi stupidi, il traffico stupido e la consorte che quando ci si mette è decisamente in linea con la giornata. Ed aggiungici anche di abitare a bucodiculoplace, che in questi giorni c'ha pure le giostre, decisamente non aiuta a sopportarli.

Iniziati litigando, come si conviene, c'è anche scritto sul "manuale perfetto del giorno stupido", e proseguiti nella contrarietà più totale, nelle cose che devi fare e non riesci, nel fastidio.

Persino la mia piccola ha annusato l'aria ed ha sapientemente preferito abbandonare il desco familiare ed un padre ombroso e taciturno, facendosi accompagnare ad una festa di una compagna di classe.

Anche scrivere, che di solito mi serve, mi prende e mi porta spesso dove nemmeno immagino, oggi è quasi fatica.

Quasi, comunque.

E' fatica se devi o se pensi a cosa scrivere. Diventa sollievo improvviso se non lo fai, se non pensi a cosa e al perchè, se le dita che battono sui tasti ascoltano e basta quello che hai e che provi, e se il pensiero è lungo o contorto machissenefrega, mi capisco io, e se scrivi hanno senz'acca fa lo stesso, mica lo fai per prendere il voto del compito in classe, lo fai per te. Sublimi, ti ascolti, assorbi e passi oltre. Ed è un'alternativa decisamente meno dolorosa del dare sacrosante capocciate al muro, non dimentichiamolo

E se poi a qualcuno piace pure, cosa e come scrivi, tanto meglio. Fa piacere, certo, certissimo, anzi, ho ricevuto complimenti da fare la ruota come un tacchino che si crede un pavone, ma credetemi, non è questo il punto.

E' una valvola di sfogo, esattamente come arrampicare o correre, almeno per me. E' parlarsi a voce bassa, è la capacità di ascoltarsi, è lo smorzare la fiamma dell'acqua che bolle per non far spegnere il fuoco.

E a volte conforta anche solo il rumore del pestare continuo sulla tastiera. Che contrasta rassicurante con le cose pesanti, col silenzio che morde dritto in pancia, con la voglia di prendere e rompere tutto o in alternativa, come Forrest Gump, prendere e andare di corsa a vedere l'oceano.

Ma forse oggi non è un giorno stupido. Forse non è stupido questo paese, queste strade, questo tempo e questa pioggia.


Forse in fondo, lo stupido, sono solo io.


Stupido è chi lo stupido fa.