. . . . L'unico vero rischio nella vita è non correre nessun rischio" [by Slaymer]
martedì 29 settembre 2009
Stamattina: Ecografia
martedì 22 settembre 2009
Stupidate
venerdì 18 settembre 2009
Ma come si fa
mercoledì 16 settembre 2009
Sarà la pioggia
Sarà che son fermo di nuovo e lo sono da quasi una settimana, con un altro tendine stanco che viene inopportunamente a rompermi le uova nel paniere. Zoppico, sotto l'acqua. Ed il non poter correre, ed il non poter scrivere ed il non andare in moto ed il non.. troppe cose che non posso fare.
Sarà solo la pioggia, forse.
venerdì 11 settembre 2009
Un treno carico di....
Improvviso nel binario a fianco irrompe, grintoso ed imprevisto, il TGV che schiaccia l'aria contro i nostri finestrini e, dopo un secondo assordante fatto di rumore e vento è già lontano, lasciando la sua scia fatta di foglie e carte turbinanti, insieme al suono che rapido svanisce. Poi tocca alla prima delle tante gallerie, mentre ci inerpichiamo lenti sentendo cambiare la pressione nelle orecchie, dentro le oscure viscere di quei monti che, di sopra conosco fin troppo bene. Lo scompartimento diventa scuro, illuminato da quella luce giallastra e fioca che quasi impedisce di scrivere.
E po un'altra, ed un'altra ancora, con il loro frastuono, inframmezzate da brevi lampi di luce, accompagnate poi di nuovo nel buio dalla striscia biancastra che sale e scende veloce. Mi tornano in mente viaggi lontani, come quelli del mio impagabile anno del militare ad Udine. Chissà come stanno adesso il mio colonnello di allora, ed il maresciallo che mi ha accolto a casa sua, con la sua bimba sordomuta ed incredibilmente dolce che mi adorava. Per come sono (orso o forse solamente stupido) ho perso tutto, non ho salvato nessuno di quei contatti di allora, allontanandomi, anche se il ricordo di quei giorni mi fa sorridere sempre. Ho nostalgia di quel tempo e di quei luoghi, di ritornare a respirarne l'odore, a ripercorrere gli stessi passi e riprendere il filo di discorsi interrotti come fosse stato solamente ieri. Poi mi vengono in mente altri viaggi in treno, e tra tutti quello più bello sicuramente a Parigi, dove vorrei anzi devo assolutamente ritornare, già pregustandomi il sorriso, negli occhi emozionati e luminosi della mia bimba adorata.
Fuori dall'ultima galleria, la luce e l'ultimo lacerante fischio mi riportano alla realtà, mentre lo sguardo, ancora una volta si perde, carezzando finalmente le cime di monti conosciuti.
E' la mia fermata, devo scendere.
Sono a casa.
Auguri, auguri, auguri.
martedì 8 settembre 2009
L'angelo dei runners
Proprio non riesco a comprendere fino in fondo, tra il monocorde brusio preoccupato del crocicchio di gente che si è rapidamente formato, mentre l'uomo con la tuta arancione, inginocchiato davanti a quel povero cristo disteso per terra, continua ad insistere fissandomi severo negli occhi: "Guarda che tocca a te. Sveglia, datti una mossa: non ci rimane molto tempo".
Un criceto chiuso in gabbia che si sente un orso. E per giunta con gli occhi buffi.
Ancora una volta per favore.
Le nuvole soffici, incredibilmente bianche e rigonfie giocavano a rincorrersi, con quel sole che ci stava proprio bene, in questo cielo, che scaldava dentro il giusto, mentre il vento leggero e secco rendeva l'aria asciutta, raggruppando e sparpagliando sulla strada cicche smozzicate di sigarette insieme a foglie ingiallite strappate dagli alberi, mentre qualche sacchetto di plastica si gonfiava e volava in alto libero, come un palloncino perso da un bambino. In quel cielo azzurro che le scie lasciate dagli aerei ci si stagliavano nette, per poi gonfiarsi e disperdersi, con tutta la calma che potevano prendersi.
Che oggi sarebbe stata decisamente una bella giornata me l'aveva scritto anche l'oroscopo, messo sulla mia pagina personale di iGoogle, che di solito non guardavo mai e che invece, chissà perchè, stamattina avevo distrattamente letto. "Giornata importante. Entrerà nel vostro cuore una persona speciale, dando una scossa decisa alla vostra vita", c'era scritto. Dio, quanto bisogno avevo, di credere a quelle parole. Quanto bisogno avevo ancora di respirare, di sentire che in qualche modo ero ancora vivo.
Ero arrivato addirittura puntuale al mio appuntamento con me. L'avessi anche solo immaginato me ne sarei stato rintanato nella consunta abitudine delle cose da fare, dei miei disegni da finire, isolato nella mia coperta di Linus delle abitudini solo mie, chiuso e lontano da un mondo che non volevo più nè vedere nè sentire. E invece all'una ero già lì, pronto, con le scarpette allacciate e le cuffie nelle orecchie.
Attraverso veloce il parco avvertendo una strana euforia addosso. Sono chiuso nel mio bozzolo e i fili che lo intessono sono la musica che ascolto, che avvolge ed isola, mentre gli occhiali rendono impenetrabile al mondo il mio sguardo e la stessa mia anima. Non è passato troppo tempo da quando io ho deciso, e da solo, che avevo bisogno di questo per curarmi, altro che pastiglie, per combattere quello che mi stava mangiando dentro, che mi impediva di dormire e a volte di respirare. Da quando il castello di carte aveva cominciato a vacillare e poi definitivamente a crollare.
Ancora una volta per favore.
Stress, aveva sentenziato la dottoressa dopo la visita. Ma quella non aveva mai sapito neanche distinguere un raffreddore da una distorsione. E io la distorsione l'avevo avuta forte, solo che dove l'avevo avuta io lei, con le sue arie da saputa ed il suo stetoscopio non ci poteva certo arrivare. E allora ci avevo pensato da solo, a curarmi. E avevo ripreso a correre. D'altronde uno stupido criceto in gabbia cosa è capace a fare? Corre, su quella cazzo di ruotina senza vederne la fine. E basta. Poi muore.
E allora si ricomincia, e si aggiungono nuove regole fatte di attenzione esagerata al cibo, di abitudini nuove, di bilancia e ginnastica e di sudore mischiato alla polvere ed alle lacrime di rabbia, quando, nel fiato che usciva stanco dai polmoni, si accompagnava la frase "Non ce la posso fare". Ed invece piano piano, un buco nella cinghia dopo l'altro, la strada ha cominciato a diventare meno ripida ed il fiato ha cominciato a non essere più un rantolo che brucia dentro. E la vita ha ripreso piano piano a sorridere, da quando ho cominciato a pensare "Ce la posso fare, invece", con la dura ostinazione di chi non ha più niente da perdere. O tutto, è lo stesso.
E adesso sono qui, a misurarmi ancora una volta con me stesso, con quel percorso che è stato per troppo tempo il mio incubo, fatto di gambe a pezzi e di gente che mi sorpassava troppo velocemente. La mia vita con tutti gli sbagli commessi, la mia croce, irta di chiodi aguzzi che mi ferivano sempre più profondamente l'ho portata solo sulle mie spalle. Quanto l'ho odiata ed adesso, quasi quasi non me la sento neanche più addosso. Mi ha dato forza e sostegno. Mi ha dato grinta. Ed adesso sono qui. Forse non ne sono uscito, ma ho una forza nuova e non è solo nelle gambe. Tocca a me sorpassare.
Ogni volta è sempre lo stesso. Corro e penso, penso e sogno, sogno e mi trasferisco in altre realtà, altri mondi, e altre strade che chissà dove mi avrebbero portato. Solo che adesso ho una meta, almeno per oggi. Domani si vedrà. Ho deciso che questo sarà un giorno speciale, me lo dice il tempo, il sole che mi dà forza, il vento che mi spinge delicatamente e gli alberi che mi accolgono e mi fanno ombra. Me lo ha detto l'oroscopo. Ed oggi, al di là di tutto il raziocinio di cui sono capace e che ho deciso per una volta di gettare alle ortiche, sono deciso ad ascoltarlo, a credere in un'altra opportunità, un'altra strada che si apra e che mi permetta di vivere Ancora.
Ancora una volta per favore.
Arrivo al primo dei miei 7 appuntamenti con il destino. Ho deciso che abbandonerò definitvamente la soglia dei 5 minuti al chilometro. Ho gambe forti e fiato per farlo. Ho di nuovo quella sconosciuta sensazione di disagio nel petto e la testa, con quella sua vocina acida da grillo parlante mi dice calma, ma di lei non ho bisogno di correre. Almeno non per oggi.
4.32"! Il mio primo chilometro è un tuffo nel mare dell'entusiasmo. Entusiasmo che mi porta a spingere. Il grillo parlante mi dice calmati, ragiona, modera, ma le gambe non l'ascoltano. Hanno voglia di correre e mi limito ad assecondarle, cercando di dosare il giusto passo ed il giusto fiato. Il vento mi accarezza le gambe. La musica nelle orecchie è alta, fresca e anche lei è lì per dirmi "corri."
E poi l'oroscopo ha parlato chiaro "Entrerà nel vostro cuore una persona speciale" e adesso sono pronto a correre il rischio, non come l'ultima volta che ho buttato tutto all'aria solo per la mia maledettissima paura. Un criceto che si crede un orso, e per giunta anche vigliacco.
Spunterà all'improvviso, lo sento. Magari sarà la ragazza carina con gli occhiali che legge assorta seduta sulla terza panchina, che ogni volta che passo fa finta di interrompersi e mi guarda, e me ne accorgo. O magari sarà quell'altra che invece corre e lo fa ancora troppo forte per me, ma che sono sicuro ha notato i miei miglioramenti, da quando sono riuscito a tenerle testa nel mille dell'altro ieri. O magari la cameriera del chioschetto che ha preso l'abitudine di salutarmi sorridendo quando passo, da quando sono andato per comprare una bottiglia d'acqua ed avevo dimenticato i soldi e me l'ha regalata lei, chissà. Aspetto e nel frattempo spingo. Il fiato si è fatto più pesante, sento i battiti del cuore nella gola. Si avvicina il secondo riferimento.
4.09". Mi sembra di volare, di essere vento, libero finalmente di poter dire "Io sto correndo". Ma posso ancora fare di meglio. Posso tirare almeno un chilometro sotto i 4 minuti, me lo sento. Nelle gambe ne ho. Basta usare la testa. La testa che invece mi dice rallenta, senti il fiato, dosa le forze, controlla i battiti. Ma non posso usare la testa, almeno adesso. Vado per il terzo.
Ancora una volta per favore.
Poi il dolore.
Incomincia come un piccolo serpente che mi si muove dentro, si avvolge sinuoso in perfide spire ed è pronto a colpire, lo sento che è pronto. E senza preavviso, maligno, scatta e mi morde.
Ancora una volta per favore.
Il veleno arriva all'improvviso, come una lingua di benzina che prende rapidamente fuoco. Parte dai buchi lasciati dai denti della vipera e si allarga in un battito d'ali del cuore. Mi prende tutto, si propaga dal centro fino alla punta delle dita. E' pesante come un maglio che si abbatte su di me, in mezzo al petto, un urto che, improvviso, mi leva il fiato. E mi butta per terra. Cado al rallentatore, come nei film di Rocky, all'indietro, facendo volare spaventati quei tre colombi mezzo spiumati che non volano mai, neanche se li pesti.
E poi il silenzio. Buio e freddo.
Riapro gli occhi; il male non c'è. Non so cosa sia stato quello che mi ha colpito, ma come è arrivato è passato. Strano. Non ho più niente. Sto bene. Sto incredibilmente bene, ho una totale assenza dal dolore, spariti anche tutti i fastidi che da un pò di tempo sono diventati parte di me, nulla di nulla. Neanche ho capito cosa è capitato, ma è durato un fiato. Sto correndo di nuovo e stavolta vado veloce, ma sul serio e non ho neanche il fiatone. Mi pervade una strana euforia, mi sento forte, pronto, inarrestabile. Ho l'assoluta padronanza di me, sento piena la capacità di fare cosa e come voglio. Non sento più il vento sulle gambe, si deve essere fermato. Corro leggero ed i miei passi non fanno neanche rumore. Vedo là sulla terza panchina, assorta, la ragazza che legge. Mi sorprendo a chiedermi cosa stia leggendo. Neanche il tempo di pensare e sono dietro di lei, appoggiato allo schienale. La guardo da vicino e la trovo incredibilmente carina, mentre legge tutta concentrata con l'indice della mano destra accompagna le righe, proprio come fanno i bambini. Sta leggendo "l'arte di correre sotto la pioggia" di Garth Stein, che, combinazione, ho appena finito di leggere. E' talmente assorta nella lettura che non si è neanche accorta che sono dietro di lei, e che le sorrido. O forse mi ignora deliberatamente. Ad un certo punto alza lo sguardo e guarda prima l'orologio e poi il viale alberato da cui sono appena arrivato. Mi vien da pensare che con tutta probabilità starà aspettando qualcuno, che ho preso l'ennesimo abbaglio e che quindi non è lei, la persona dell'oroscopo. Comunque provo un approccio: "Ciao!", le dico cordiale.
Poi lo stupore e la sorpresa. Ed mi si diffonde un vago senso di freddo dietro la schiena.
Lei ha riabbassato lo sguardo e si è rimessa a leggere, come niente fosse, come se non fossi di fianco a lei. Non mi ha proprio sentito. Cioè, io sono sicuro di averla salutata, ma non ho emesso alcun suono. Come se mi avessero tolto l'audio. In lontananza, acuto, il suono di una sirena si fa largo tra code di lente macchine pigre incolonnate e si avvicina sinistra. Entra all'interno del parco e lì si ferma, con le luci bluastre intermittenti che ticchettano. Decido di andare a vedere. La ragazza ripone il libro nello zainetto che porta a tracolla e si alza anche lei.
L'ambulanza ha i portelloni posteriori aperti ed è ferma di traverso sulla strada, a motore spento. Sotto gli alberi, circondato da qualche passante, c'è un uomo a terra, con qualcuno che gli tiene i piedi in alto. E' sicuramente un runner, uno che magari ho incrociato due minuti fa, lo vedo chiaramente dalle Saucony da corsa che calza. Un paio di Saucony nuove, uguali alle mie. La sensazione di disagio aumenta, provo a chiedere cosa sia successo, ma di nuovo non esce un fiato. Nessuno mi nota. Il disagio si sta velocemente trasformando in panico. C''è qualcosa in quella scena che mi attira in modo irresistibile, come se fossi in discesa su una lastra scivolosa. Mi avvicino a guardare meglio.
Corro e ritrovo serenità. Forse ho sognato tutto, forse sto sognando adesso. Niente ha un senso, o forse sono io che non lo voglio vedere. Voglio solo finire il mio allenamento, non chiedo altro.
Ancora una volta per favore.
"Dove vai? Non ti rendi conto di quanto sia inutile?" La voce proviene da vicino, ma so che a pronunciarla è lui, ancora laggiù, chino per terra, con la sua divisa arancione e quelle ali che lentamente vanno avanti ed indietro, come un respiro. E non si è neanche voltato.
"Perchè non pensi alla ragazza del bar? Così magari capisci e perdiamo meno tempo". E ancora una volta obbedisco, rassegnato incapace di adarmene da lì, di dimenticare tutto ed incominciare.
"Allora, ti facevo molto più brillante", ritorna la voce al mio fianco. "Naturale che si sta preoccupando per te, non sei più passato. E tu sei là, fattene una ragione. Sei tu quello, e lo sai da subito. Puoi anche andare anche al Polo Sud, e basta che ci pensi per farlo, ma ovunque ti sposterai mi sentirai sempre di fianco a te. E' perfettamente inutile e hai passato già troppo tempo a scappare, anche "in vita", hai capito o devo essere ancora più esplicito? E adesso basta con le cazzate, muoviti".
Ed in un lampo sono di nuovo lì. In piedi, in silenzio di fianco al gruppetto che è aumentato. Non ho il coraggio di guardare, di guardarmi. Ho paura e vorrei urlare, ma so che non succederebbe niente. Lui sente la mia paura, sento che lo sa, e mi parla con voce pacata, sempre chinato, sempre dandomi le spalle. "Parla con lui e soprattutto ascoltalo con attenzione, almeno questa volta". Non si è girato, ma so che sta indicando quell'uomo seduto tranquillo sulla panchina in ombra sotto i platani, mentre sfoglia con noncuranza un giornale.
Mio padre.
Bello, forte come quando era giovane e pieno di speranze. L'ultimo ricordo che avevo prima di adesso era del suo corpo disteso sul lettino dell'ospedale, quando la sua anima era già sgusciata via per sempre. Sono contento di avere questa nuova immagine da sovrapporre, alla voce "ultima immagine di mio padre".
Mi saluta sorridendo senza alzarsi e batte il palmo della mano sulla panchina perchè vada a sedermi accanto a lui. E di fianco a lui la mia età improvvisamente si trasforma e mi sembra di aver perso quarant'anni, dieci per volta, in quei quattro passi che non esistono e che mi hanno portato diritto da lui. L'emozione è troppo forte, non so cosa dire, me ne erano rimaste troppe di parole inespresse in un angolo del cuore che adesso, risvegliate, non riescono uscire tutte insieme e si bloccano. Piango.
Mi mette una mano sulla spalla, la sua mano, così calda, conosciuta e familiare, nonostante il tempo passato in sua assenza e mi calmo, incredibilmente sereno. Sa di buono, respiro il suo odore. E sto di nuovo bene, sto veramente bene, ho di nuovo quella sensazione di euforia, di abbandono da ogni forma di dolore ed è incredibile. Ho smesso di cercare di comprendere, prendo il momento come viene. "Ascolta" mi dice "non abbiamo molto tempo, per cui tutto quello che hai da dirmi dovrà aspettare altre occasioni, e stai tranquillo, verranno, non ti preoccupare. La faccio breve: non è ancora questo il tuo momento. Hai ancora da affrontare troppe cose e non puoi fuggire via così, sarebbe ancora una volta troppo comodo. Devi darti da fare, crescere ma sul serio, occuparti di chi ha ancora bisogno di te; basta che pensi a tua figlia. Devi assolvere a pieno il tuo compito, sempre che tu abbia capito quale sia. E se non l'hai ancora capito è il caso che ti sbrighi. Non hai poi così tempo. E ricorda che comunque vada, ho fiducia in te. So che ci avrai provato. E che adesso farai la cosa giusta. E adesso devi andare".
Dalla tasca estrae un mazzetto di fotografie. Le apre a ventaglio, come un giocatore di carte, le osserva sorridendo e ne estrae una che mi porge. Ci sono mia figlia quand'era piccola, seduta sull'altalena e lui, con gli abiti da giardino, su una panca vicina, che parlano in uno dei tanti momenti solo loro. Scherzosamente mi dà un buffetto sul mento e sorride "il mio ingegnere", pronuncia orgoglioso. Poi tranquillo, riprende la lettura del suo giornale.
E sono di nuovo in piedi di fianco a quella divisa arancione, con le ali che spazzano pigramente per terra.
"Forza, deciditi", dice l'uomo con le ali. Mi chino sul corpo ma inciampo, non ho corpo, il mio è li. Non riesco a guardarlo. Ho paura a vedermi senz'anima.
Qui si sta bene, mi viene da pensare. Ho ancora tante domande. Dammi tempo
E rientro.
Mi risveglio con un dolore pazzesco al braccio ed al petto. Sbatto gli occhi per capire: sono disteso e c'è un gruppeto di gente che mi circonda. C'è anche la ragazza con gli occhiali ed appena i miei occhi spaventati incrociano i suoi, le si riempiono di lacrime.
Ho in mano una foto, tutta spiegazzata. Di mia figlia quand'era piccola sull'altalena e mio padre su di una panca vicina, che parlano in uno dei tanti momenti solo loro.
E voi non saprete mai cosa c'è scritto.
martedì 1 settembre 2009
Su le maniche, si riparte
Tornati a fissare instupiditi un video ed usando le solite cinque dita sulla tastiera, chissà perchè, tre della mano sinistra e due della destra, nuovamente alla ricerca di qualcosa che non so neanch'io più che cosa sia. E del perchè lo stia cercando. Mistero.
97 mail, quasi tutte puttanate.
Sono passate, le mie due settimane, così in fretta che ne è rimasta solamente la scia profumata del ricordo. Due settimane di fiato di aria vera, di tante cose che volevo fare e sempre di troppo poco tempo per farle. Le mie corse si sono spalmate sui fianchi di qualche montagna e sentir male alle gambe mi ha fatto sentir bene. Ho portato la mia bimba a sfidare il vuoto del ponte tibetano a Claviere, e, nonostante la paura iniziale del vuoto che la intimidiva e grazie anche alla pioggia imprevista, si è proprio divertita, tanto che lei e la sua amica gridavano a suarciagola "Siamo Schumacher!" per far sapere a tutti quanto si muovevano veloci. Lì ho ritrovato movimenti ed abitudini come se non li avessi mai dimenticati ed aiutando il gestore a preparare imbraghi per una comitiva di 12 persone, (tra cui due frati con tanto di saio!), mi sono guadagnato la traversata gratis. Tra montanari ci si intende.
Ho portato finalmente la mia moto dove avevo sempre voluto andare. E l'ho fatto. Con fatica ma l'ho fatto, Dio se era pesante, e con quelle gomme da strada che se non son caduto è un miracolo. Sono finito su, a 3000 metri a sentire l'aria fredda fischiare, a guardare le ferite sporche di quel vecchio ghiacciaio, che l'ultima volta che ci ero andato probabilmente era con mio padre e nessuno avrebbe mai pensato che quella era la nostra "ultima volta insieme". Sempre in moto sono andato in cima da tutt'altra parte, ed anche lì, circondato dalle nebbie che mi separavano dal mondo, mi son ricordato di quando c'eravamo andati noi due soli, e dell'incontro con quel cervo maestoso che a momenti ci correva dritto in bocca, e dell'altro, meno piacevole con quella vipera, grossa e molto meno maestosa.
E poi ho portato la mia Ciccia al maneggio perchè le piace andare a cavallo. L'ho portata lì, dove per la prima volta, anche qui, ce l'aveva portata proprio lui. E forse la foto in cui mia figlia ha l'espressione di felicità più assoluta è stata scattata mentre lei era su uno di quei cavalli.
Poi altre corse. Altre corse avanti ed indietro in Valle Stretta, sul lungo pianoro con l'ampia distesa dei ghiaioni che scendono dai Re Magi ela sagoma frastagliata dei Serous di fronte, a sorpassare i lenti gitanti con zaino maglioni e scarponi, io che già alle 8 del mattino, cappellino, maglietta occhiali e.. già lo sapete. Passando a fianco della parete dei militi mi son fermato un paio di volte a mettere le mani sia su Albatros sia su Tomahwak. Sulla prima ho provato anche un paio di prese, da solo.
E l'immancabile gita a Briançon, a guardare sempre gli stessi negozi di minerali e monili incastrati nella strada in discesa con i profumi della lavanda e la mia bimba che giocando con l'acqua che scorre nel canale nel mezzo della strada finisce immancabilmente che ci mette un piede dentro, ed i peluche delle marmotte che fischiano in continuazione (anche perché mia figlia muoveva velocemente le braccia su e giù fino a farli fischiare proprio tutti), ed è quasi superfluo ricordare quante volte mi ci ha portato lui, ed in quale ristorante si trovava bene, ed in quale negozio invece se ne è andato perché era bastato un "Ah, les italiens...". Ritornare dal Colle della Scala e sentire mia figlia raccontare con orgoglio alle sue amiche che quella strada, quei ripidi tornanti che scendono veloci e ci riportano in Italia, l'aveva tracciata proprio lui, quel suo nonno preferito, da un senso di calore che per un attimo si irradia dal cuore tutto intorno.
Ed ora son tornato. La mia moto è rimasta su, un pò malata e necessita di un check-up generale, come me peraltro, ma adesso un paio di controllini mi sa che è proprio arrivato il tempo di farli, forse.. Intanto per adesso mi muovo nervosamente in auto.
Il taccuino non ho proprio avuto modo di usarlo, me ne è mancato il tempo. Tante idee e molte emozioni me le sono impresse nella mente per metterle giù appena tornato ma tante altre sono svanite nel niente, spinte nel baratro delle cose dimenticate da quelle nuove che prendevano il sopravvento. Ho letto, ma non tanto.
Lo studio mi ha accolto con un dicreto tripudio di rose nuove, l'erba era nuovamente da tagliare e qualche pianta, chissà perchè, si è improvvisamente seccata. Le ortensie han bisogno di fertilizzante, così come la pianta dei limoni. L'ibisco è alto un chilometro e la verbena sta soffocando le roselline. Il benjamin piano piano sta riprendendo le sue foglie, sotto alla vite con i grappoli già scuri. Un ragno dalle zampe lunghe si era costruito praticamente una ragnatela a sei piazze in bagno, e stamattina l'ho dovuto cacciare. Ieri anche il server, preso in contropiede dal massiccio ritorno, ha improvvisamente dato forfait facendomi passare un'oretta decisamente di cacca.
Ed oggi ho intenzione di ritrovare il mio parco, la mia abitudine da città. Qui mi sa che avrò bisogno di nuovo dei miei simulacri, per chiudermi nell'aria di montagna che, un poco, mi è rimasta ancora addosso.