venerdì 17 maggio 2024

L'amico del giaguaro

Tempo fa, durante un viaggio in autostrada, il fato ha deciso che era ora che cambiassi auto. 
Avevo un appuntamento presso un cantiere nell'astigiano, viaggiando a velocità di crociera (quella mia solita, che nelle foto dell'Autovelox vengo mosso), quando autonomanente, di punto in bianco il motore ha deciso di accellerare progressivamente - stile Christine la macchina infernale - fino a terminare la sua gloriosa seppur breve vita in una coreografica quanto pirotecnica fumata bianca, tipo elezione del Papa del millenio.
 
Il viaggio di ritorno, con l'appuntamento saltato e gli amici che mi perculeggiavano, loro 4 belli contenti in camper in partenza per l'Oktoberfest ed io sul sedile passeggero del carro attrezzi, non è stato per nulla piacevole
La diagnosi infausta e definitiva del mio meccanico pure meno.
I mille euro in contanti del losco figuro che se la è presa "perché me la riparo con calma e poi la rivendo che sembra nuova" - peraltro immediatamente ghermiti dalla consorte - sono stati una ben misera consolazione, .

E così è iniziato un periodo alternativo, pendolare's mood, punteggiato da pullman rincorsi nelle albe nebbiose di Bucodiculoplace e stanchi ritorni serali osservando mestamente scorrere il nulla fuori dal finestrino. E' cominciato anche un periodo di Autoscout, Brumbrum.it, noicompriamo auto e così via, scartavetrando i sentimenti di chi aveva la sventura di incrociare qualche parola con il sottoscritto. 
Perché c'è da dire che sono un pignolo, lo so. E che le auto mi piacciono, e che non mi accontento, perché "quello sotto il sedere sono quattro ruote un motore ed un sedile che mi portano da A a B" non appartiene al mio modo di vedermi al volante. Sarà che adoro guidare, che sono stato viziato da piccolo, la prima macchina veramente mia, discretamente cattiva, recava il logo "Martini" trapuntato sui neri sedili sportivi  Recaro  (gli appassionati avranno già un filo di bavetta alle labbra) ed il rifornimento di carburante mensile si portava via metà del mio stipendio di allora. Poi, vent'anni fa sono salito sulla mia prima auto della casa con i quattro anelli e lì sono rimasto, macinando chilometri su chilometri fino ad oggi, quasi tre volte la distanza tra la terra e la luna. 
Nonostante quella che mi aveva testè lasciato inopportunamente a piedi fosse stata proprio di quel marchio lì, io, da buon masochista, sempre quella comunque volevo. E inutilmente mi si cercava di dissuadere: prendi un'italiana che fai bene all'economia locale, prendi una giapponese che sono le più innovative, prendi un Ape Car che è in linea con il tuo reddito, io nulla, non mi smuovevo di un centimetro. 
E che poi io non cercavo una macchina qualunque, intendiamoci. Vade retro le station wagon che mi han sempre ricordato i carri funebri, lontano da me i Suv, troppo arroganti e le auto troppo piccole che poi quando si va in vacanza devo legare la consorte sul tetto (.....), non troppo nuova che costa troppo, non troppo vecchia che ha di sicuro una valanga di km... insomma la mia ricerca su uno dei motori di ricerca anzidetto iniziava con "trovati 312995 risultati" e dopo che avevo inserito tutti i miei filtri terminava con "2 vetture disponibili", una delle quali in provincia di Reggio Calabria e l'altra "peccato!!"appena venduta. 
Un giorno però un risultato colpisce la mia attenzione. Una bella berlina, nera, cattiva il giusto, quattro ruote motrici e un'esagerazione di cavalli. Non troppi chilometri per un macchina di quel genere, a filo del mio budget e relativamente recente. Non è un Euro6, ma non si può pretendere tutto dalla vita, anzi influirà nella tenzone sul prezzo finale. In provincia di Crema, per i miei parametri non così distante da me. Immagino già la sensazione della mano sul cambio e delle curve prese a fil di rasoio in piena, rabbiosa accelerazione. Telefono e prendo appuntamento per il sabato mattina. 
Mi accompagna la Ciccia, ansiosa di vedere la prossima macchina quasi nuova di papà e di sostenerlo nella scelta. Partiamo con la macchina della consorte, una piccola utilitaria già disastrata di suo e che, da quando anche la Ciccia neo patentemunita ci fa pratica su, è ridotta pure peggio. Ma siamo io e lei, cosa che accade sempre più di rado ultimamente e siamo felici di questa nostra piccola vacanza insieme.
Arriviamo, nel parcheggio defilato del concessionario lasciamo l'auto per evitare che, vendendola, non ci facciano nemmeno entrare. 
 
La persona con cui ho appuntamento è il tipico venditore di auto, sorridente, sicuro di sè, di quelli da pacca sulle spalle, che passano subito a darti del tu e che ti trattano come se fossi il loro migliore amico, a cui mai e poi mai, intendiamoci, penserebbero a rifilarti una sola. 
Inizia parlandomi dei prodigi di un'auto a suo dire guidata da una vecchina non fumatrice che a malapena usciva di casa solo per andare a messa e rigorosamente sempre sotto i limiti di legge, ma lo fermo subito, ho esaminato le foto dell'annuncio ad una ad una con una scrupolosità che nemmeno i Ris di Parma, sono andato a verificare i km, ho scaricato scheda tecnica dal sito del produttore, sono anche andato a curiosare sui vari forum per capirne pregi e difetti. Ora voglio vederla.
 
E lei è lì. Nera lucida, bellissima, il muso aggressivo. Tipica auto da vecchina, mi vien da pensare. Apro la portiera, mi siedo, assaporo il profumo del cuoio, stringo il volante tra le mani. E' lei.
Mi sono dimenticato di mia figlia, voglio condividere con lei le mie emozioni, anche a lei piace guidare, voglio che si sieda al posto di guida e mi dia suo parere, possibilmente entusiasta quanto il mio.
Ma Ciccia non c'è. 
Dopo un attimo di smarrimento la trovo con il naso piantato sul finestrino appannato di un'auto vicina. Mi ricorda i cani da caccia quando si bloccano puntando la sfortunata quaglia. E la quaglia in questione è imponente, bianca abbagliante, di un'altra categoria. Sorrido.
"Vieni via da lì", le dico con una punta di rammarico "che quelle lì non ce le possiamo permettere"
"Veramente non c'è tutta questa differenza" si intromette il venditore, in silenzio fino a quel momento, "costa poco di più".
Mia figlia si illumina. "Questa però è proprio tanto più bella" osserva guardandola fissa.  
Ed è proprio in quel momento, quando non hai le tue certezze a sostenerti, quando presti il fianco ai dubbi che il venditore, rapido come un serpente a sonagli (ma molto più sorridente) attacca e colpisce.
"Mi perdoni ma sua figlia ha ragione, questa sì è veramente un altro pianeta. Oltretutto è Euro 6, più recente, e guardi che interni, e guardi che esterni, e guardi il display, e  guardi le ruote e guardi su e guardi giù e dai un bacio a chi vuoi tu.
La Ciccia mi osserva, poi ammicca verso l'auto e sorride. Fosse per lei avrebbe già deciso. 
Io no, non me lo aspettavo, avevo le idee chiare, e adesso sono in un'empasse. C'è da dire che i parametri di quel "poco di più" del venditore corrispondono al mio "molto di più". Poi bianca fa tanto spacciatore a Miami, non sono convinto. 
"Lei ci pensi", molla leggermente la presa il venditore "due o tre giorni, non di più, queste auto vanno via in fretta". 
Odio chi mi mette fretta, odio chi mi scompagina i piani, esco di lì senza nulla di fatto, un po' immusonito. Per fortuna un giro gastroturistico a Cremona in compagnia della Ciccia  mi rimette in pace con il mondo.
Torno a casa, ci penso su, ci ragiono, cerco di far quadrare conti che non quadrano mai, mi interrogo sull'affidabilità di un marchio che, seppur blasonato, non conosco, rompo le balle al prossimo fino allo sfinimento. 
Dopo tutta una serie di "la prendo, non la prendo" tipo i "m'ama non m'ama" sfogliando le margherite, con la Ciccia che attenta alla mia già precaria sanità mentale con sottili trucchi psicologici per convincermi, mercoledì capitolo e telefono.  "Ma ci hai messo troppo", mi risponde il venditore, con un filo di sadismo "è andata via ieri. L'altra è ancora disponibile, però".
Questa proprio non me l'aspettavo,  mi rimane un po' di amaro in bocca, ma si vede che non era destino. nella settimana successiva tutta una serie di urgenze lavorative mi portano la mente altrove, non ho più tempo di pensarci. 
Una decina di giorni dopo, inaspettatamente mi richiama il venditore. "Ne sta arrivando una, molto bella, ancora con meno chilometri dell'altra, e nera", il prezzo cambia poco. Ti mando le foto".
Apro la posta, le scarico, la osservo attentamente qualche minuto. Lo richiamo. "La prendo, ti ho appena fatto un bonifico per confermarla".  Lui è un po' stupito "Così, senza nemmeno venire a vederla?" 
"No", rispondo io, "quando verrò giù sarà per ritirarla"

Un paio di settimane più tardi un papà e la sua Ciccia partono direzione Crema. In treno fino a Milano e poi la parte rimanente in corriera. Arrivati alla fermata più vicina verranno poi a prenderci. 
Ed io e la Ciccia siamo di nuovo insieme, quasi in gita scolastica. Parliamo, scherziamo, facciamo colazione in bar sperduti, ci perdiamo con lo sguardo lungo lo scorrere di panorami sconosciuti, a momenti ci perdiamo davvero alla caotica stazione dei pullman che da Milano sembrano partire per ogni dove, insomma ce la godiamo e ci divertiamo un sacco.

Arrivati alla Concessionaria i dubbi di aver scriteriatamente acquistato un'auto senza nemmeno vedere se va in moto mi tormentano fino allo scenografico momento della consegna della vettura, lucida, abbagliante.
 
Mi ricordo che il mio primo pensiero in quel momento è stato se fossi all'altezza di un'auto del genere. Bellissima, lussuosa, elegante. Ero io, quello inadeguato. E quando se ne fossero finalmente accorti mi avrebbero allontanato da lì, ghignando di scherno, assegnandomi una Ritmo del 92 verde bottiglia. A gas. 
Il sorriso della Ciccia mi riporta rapidamente alla realtà "E' proprio tanto bella" sussurra sottovoce, sedendosi al suo interno. La guardo, sorrido:"Che dici, ce la meritiamo?" le chiedo: "certo che sì, boja fauss!" mi risponde ridendo, di rimando. 
 
Usciamo ricomposti, recuperando un atteggiamento un pò blasè di chi è avvezzo ad acquistare auto e yacht a giorni alterni. Firmiamo quello che dobbiamo firmare, recuperiamo chiavi e documenti, salutiamo il venditore ed il suo sorriso a sessantaquattro denti e finalmente partiamo insieme, per il viaggio di ritorno. Una volta insieme, da soli, ridiamo di contentezza. Rideremo felici, insieme, quasi tutto il tempo.

Da quel giorno sono passati anni e tanti chilometri, ambedue trascorsi sempre troppo velocemente. La Ciccia si è conquistata il diritto di "guidare la macchina di papà" nei nostri viaggi verso la casa in montagna ed un paio di volte ha avuto il permesso di andare a prendere gli amici per un'uscita la sera, tirandosela moltissimo. Ho viaggiato sotto le stelle nei miei rientri più tardi, ho attraversato  diluvi, ho guidato veloce pennellando le curve o leggero e dosando attento il gas sulla neve, ho affrontato nebbie lattigginose che mi isolavano dal mondo, albe di soli accecanti e tramonti ad incendiare di rosso le mie montagne. Ho perso qualche punto sulla patente, ed un paio di volte ho assaporato nuovamente la rigidità del sedile passeggero del carro attrezzi, ci sta. 
 
Ma nessuno dei mille e mille viaggi batte la sorpresa da prima volta di quel viaggio di ritorno, io e la Ciccia, felici, leggeri, a cantare e ridere, ancora una volta insieme.
 
 

                                                                                                    On air: Bruce Springsteen - Thunder road

sabato 2 marzo 2024

Tu non lo sai

  Quando ti sveglierai questa mattina rimarrai un pochino delusa, lo so. Che diamine, è sabato, è il giorno del tuo compleanno e tuo padre, come suo solito, sarà gia partito presto per andare a lavorare. Senza lasciarti, che so, un biglietto d'auguri sul cuscino, un fiore sul tavolo accanto alla colazione. Che poi c'era per forza bisogno di lavorare anche oggi?

Quello che ancora non sai è che questo sarà un giorno speciale, che non dimenticherai.

Quello che non sai è che questo giorno, lui, quell'insensibile, invece se lo sta preparando da tempo. Con meticolosità, con precisione, da ingegnere, oserei dire. Perché tempo addietro se lo è immaginato, questo giorno qua, e nell'ultimo mese si è dato da fare per far sì che tutto si svolgesse esattamente come lo aveva pensato.

Sei la sua bimba grande, oggi è un anno in più, ventiquattro, volati, vissuti, passati insieme. Ventiquattro anni in cui lui ti ha tenuto prima tra le braccia, poi per mano, fino a che ti sei staccata e ha cominciato a vederti incamminare nella tua vita, un po' tentennante all'inizio, poi sempre più decisa. Lui è sempre stato lì, a due dita dal cuore, pronto a prenderti al volo nel caso di uno scivolone improvviso, di un attimo di esitazione. Ed all'amore incondizionato che un padre ha nel proprio DNA si è aggiunta, nel tempo, una stima per quello che sei e che vuoi diventare. Non è sempre stato tutto bello, non è sempre stato tutto facile. Ma hai già vinto.

Hai attraversato il percorso della triennale con una naturalezza disarmante e quest'anno terminerai la magistrale. Hai fatto ciò che dovevi fare, con lucida razionalità, facendo sembrare tutto dannatamente semplice e gestendo nel contempo mille altri impegni, non ultimo la realizzazione del carro del tuo borgo per il famosissimo carnevale di BucodiculoPlace, che ti ha visto, nei mesi appena passati, rientrare a casa quasi tutti i giorni dopo le due di notte, sorridente, piena di trucioli, scottature da colla a caldo e macchie di vernice sui vestiti e sul naso. E per inciso avete stravinto, con un carro che riusciva a stento a contenere tutte le vostre passioni,  l'entusiasmo e l'impegno mischiati alla cartapesta, e tu hai anche portato a casa il premio donna (piccola nota d'orgoglio del papà).

Non stai ferma mai, ti muovi frenetica, oggi qui, domani all'università, poi in ospedale per il tirocinio, dopo a dare ripetizioni quindi palestra e poi.. "guarda che questa sera ceno fuori".

Ultimamente ti sposti con l'auto di tua madre, tanto a lei fa bene andare un po' a piedi; sappiamo tutti che è una vettura vecchiotta con qualche acciacco e che ha superato da mò i vent'anni ma non ha poi così tanti chilometri alle spalle, anche se un colpo deciso glielo hai dato tu da quando hai preso la patente.

E un pensiero per una vetturetta tutta tua lo abbiamo anche avuto, lo sai, sarebbe stato bello celebrare così la laurea, ma non si poteva fare, il mutuo, le tante spese, abbiamo dovuto rimandare, ci siamo detti che qualcosa, magari più avanti, poteva arrivare. Forse alla fine del tuo percorso universitario, chi lo sa.

Che poi tu, con la tua testa, hai anche la tua idea bella precisa, che mi dici sempre "a me va bene tutto, ma se me lo chiedi sai che mi piace quel modello lì e solo quello, bianca con il tettuccio nero".

Tu lo sai che quell'auto lì costa uno sproposito, e che non si può, che sarebbe una follia. 

Quello che però non sai è che il tuo papà, incasinato, indaffarato, sempre in ritardo, è campione olimpionico di follie. Lo hai visto stanco, spesso. Lo hai visto assente, qualche volta. Lo hai visto rincasare molto tardi troppe sere. Perdonalo. Per lui ne è valsa la pena mille volte. Perché sono mesi che, andando in studio anche la domenica, lavoro dopo lavoro, ha messo da parte un piccolo gruzzoletto.

E poi, dopo ricerche su ricerche, un mese fa tuo padre l'ha finalmente trovata quella macchina lì, spiccicata a quella dei tuoi sogni, bianca con il tetto nero. Pochi chilometri, quasi nuova, perfetta. Costava un sacchissimo.

Quello che non sai è che, complice un progetto presso una concessionaria del gruppo, se l'è fatta portare nel punto vendita più vicino, è diventato il migliore amico del commerciale, lo ha intortato con mille e mille richieste di sconto. Ha anche provato a tirar fuori la sua espressione da sufficienza per tirare sul prezzo pur se con poco successo, perché la macchina era proprio quella, uguale a quella che desideravi, bellissima, e lui non poteva trattenersi dal sorridere di rimando, pensando a come sarebbe stato bello il tuo, di sorriso.

Alla fine lo ha preso per stanchezza. Il prezzo, seppur alto, è diventato più abbordabile. In cambio il tuo papà dovrà progettare altre tre concessionarie dietro compenso di una manciata di rubli, ma non gli importa. 

Poi però, il piano era solo a metà del suo compimento. Perché lo stupore, l'emozione dell'inaspettato, quello è veramente impagabile. E allora con discrezione ha contattato una tua amica dell'università, che quando ha capito cosa aveva intenzione di fare gli ha mandato in risposta il messaggio "E' proprio quella che voleva" pieno di faccine con i cuoricini. Lei a sua volta si è occupata di riunire gli altri tuoi amici, ed insieme questa sera, quasi per caso, ti inviteranno a prendere un aperitivo in quel locale che ti piace tanto, proprio sotto la Basilica di Superga. E tu ci andrai, magari pensando che tanto tuo padre di sabato non c'è mai.

Poco dopo, tutti insieme, come per scherzo, ti condurranno fuori, rigorosamente bendata. Spalle alla chiesa con la cornice di Torino a far da silente spettatore ti libereranno e ti consegneranno qualche regalino, e tu dovrai indovinarne il contenuto, forse ci sarà anche un modellino dell'auto che ti piace, giusto per scherzare. Poi, per ultimo, un pacchetto, elegantemente infiocchettato, al cui interno troverai un portachiavi con su le chiavi di un'auto. 

E lui proprio non riesce immaginare il tuo stupore, l'incanto estatico della sorpresa, la gioia incontenibile della consapevolezza quando a quel punto ti faranno girare su te stessa, fronte alla monumentale scalinata, sotto la quale ti attenderà l'auto nuova luccicante, tua, con un gigantesco fiocco d'ordinanza, rosso, in un turbinio di applausi, fischi e di coriandoli. 

Lui non ti vedrà. Si sarà già incamminato lentamente verso casa con l'auto vecchiotta con cui sarai arrivata, magari lancerà un pensiero al ricordo di sua madre e ai vostri nomi così simili, sorriderà ricordando al bene matto che vi siete donate quando il futuro era solo rosa, a quella volta che ti aveva insegnato a saltare nelle pozzanghere, al vostra intesa e a quanto oggi anche lei sarebbe stata fiera e felice per te.

Avrà il cuore traboccante di orgoglio per la figlia splendida che ha, un cuore che in quel momento gli sorriderà così tanto da fargli male, lasciando te alla tua felicità improvvisa per l'auto nuova, proprio quella che volevi tu, bianca con il tettuccio nero, alla vostra bellissima e spumeggiante giovinezza, ai tuoi amici, alle vostre risate ed ai loro festeggiamenti, ai vostri sogni. Loro ti vogliono un mondo di bene. Lui di più.

E tu, tutto questo, non lo sai.  

Ma adesso sogna ancora, bimba mia.

                                                                        Sempre, tuo Totson.

On air  Sogna ragazzo sogna

martedì 30 gennaio 2024

L'Oki



Estate 2022. 

Un feroce mal di schiena da un mese a questa parte non mi dà tregua, il mio migliore amico del momento è celato dentro due bustine di miracolosa polvere bianca che, disciolte in un bicchiere d'acqua, con quel sentore di menta e fresco, mi concedono una temporanea parentesi da un dolore mordace, insistente, che per il resto della giornata so che non mi abbandonerà. Ho cantieri lontano dal mio studio, Pavia, Modena, luoghi, piazze e storia che avrei voluto scoprire e vivere. Ma uscire dall'auto una volta arrivato è già un'impresa; rientrarci, un paio d'ore dopo, rigido come uno stoccafisso, diventa quasi impossibile. In più di un'occasione ho fatto di necessità virtù, svolgendo il compito di Direttore Lavori disteso, nell'impossibilità di reggermi in piedi o tentare di star seduto. Inutile dire che ho suscitato più di un sopracciglio alzato: avete presente, arrivare in cantiere, chiedere un minimo di comprensione, allungarsi su un tavolo (o in alternativa sul pavimento) e gestire la riunione di cantiere come nulla fosse? Beh, quello sono io, l'ing. D&R in carne, ossa ed ernia del del disco.

La diagnosi infatti già la so, il medico della mutua, quando mi nota in sala d'attesa (ci vado raramente, ma lui sa che quando sono lì è perchè proprio non posso farne a meno), sospira, allarga le braccia e mi spiega che, una buona volta, dovrei dar ragione ai numeri scritti sulla mia carta di identità ed abbandonare tutte le mattane da ragazzino: basta una buona volta con la corsa, addio ad imbrago e scarpette, un bel paltò color anziano e Oppalalà!, a guardar cantieri dall'altra parte della recinzione. "Ai miei tempi mica si lavorava così, sa, giovanotto....".

Ottenuta l'agognata scorta di antidolorifici e salutato il dottorino riprendo la mia giornata, fatta di alzatacce, viaggi, cantieri, viaggi, studio, progetti, litigate, eccetera, tutte condite da quel male persistente ed inframmezzate da parentesi quasi miracolose poco tempo dopo l'assunzione della magica pozione. La notte, (per fortuna è estate), tutto si acquieta dormendo al fresco sul duro del parquet. 

Attendo il fine settimana quasi come una liberazione. Rimanere immobile ore intere, senza sentire che qualcosa mi sta azzannando all'altezza del bacino è una goduria; l'assenza di dolore è una sensazione meravigliosa. 

E' estate piena. No so come ma ho anche qualche amico in quel di Bucodiculoplace, autoctoni relativamente fuori dagli schemi che per un motivo ignoto non dico che mi comprendano, ma quantomeno mi sopportano. E la domenica mattina è diventata abitudine, prima che il caldo diventi opprimente, fare quattro passi insieme, lontano dalla desolata cittadina, nelle vicinanze del grande fiume ad ammirarne il placido scorrere, i voli aggraziati degli aironi, a volte, quando siamo fortunati, uno sparuto gruppo di daini, che fugge spaventato non appena ci scorge.

Quest'anno la calura è molto forte, non piove da tempo, e le acque sono insolitamente basse e incredibilmente limpide. Non so come, ma nasce proprio durante una di queste passeggiate mattutine l'idea di provare ad attraversarlo a piedi da sponda a sponda. Del nostro gruppo fa parte Franco, diversamente alto e abile al nuoto come un ferro da stiro, che rappresenta l'elemento sacrificabile ideale per individuare il giusto percorso di guado fino al versante opposto. E così, dopo qualche serata passata a discuterne davanti ad una birra fresca, una domenica di fine luglio, cacciati nello zaino le scarpe e qualcosa per asciugarci una volta arrivati, decidiamo di tentare l'epica impresa. 

L'acqua è effettivamente bassa, fresca, sotto le barche ormeggate placide fanno capolino timidi avannotti; nei punti più profondi arriva a lambirmi l'ombelico, questo significa che Franco deve già tenere la bocca chiusa e le mani in alto per mettere al sicuro lo zaino, tipo soldato americano nelle risaie della guerra del Vietnam. Gli manca l'elmetto con la retina e il fucile, ma l'effetto è lo stesso. Il fiume è calmo, largo, gli alberi sulle rive ci si specchiano, il fondale melmoso tenta di avvilupparti i piedi, ogni tanto un guizzo scintillante indica che c'è ancora vita, in questo vecchio fiume.  

 
Dopo qualche minuto lentamente, la china inizia a risalire, ce ne accorgiamo anche dal fatto che Franco ha smesso di fare le bolle e ripreso a respirare normalmente.

Meno di mezz'ora e la nostra leggendaria traversata è già terminata. Non ci rimane che curiosare la boscaglia circostante per poi ritornare sui nostri passi. L'area è praticamente disabitata, il paesaggio sembra lunare nei punti il fiume ha esondato quest'inverno, ridisegnando il proprio alveo, riappropriandosi di spazi che l'uomo, nel tempo, ha solamente preso in prestito. Più lontano ozia qualche cava abbandonata, con le scure acque profondissime.  I miei amici conoscono la zona ma io no, e chiedo loro di ritornare indietro passando da lì per raggiungere il primo ponte, anzichè rifare il guado. Anche Franco, che non ha memorizzato le buche più profonde all'andata, è dalla mia parte. 

Non è una grandissima idea intendiamoci, attraversare il nulla sotto il sole a picco ed allungare il percorso di almeno un'ora non è una delle mie trovate più brillanti, ma non abbiamo fretta e alla fine va bene a tutti. Ci incamminiamo tranquilli, chiacchierando del più e del meno, ogni tanto mi si indica una cascina in lontananza (qui i piccoli raggruppamenti rurali vengono chiamati "tetti", creando all'inizio in me non poco sconcerto), mi vengono raccontati episodi particolari capitati in quei posti. Bucodiculoplace riserva sempre comunque qualche sorpresa.

Ad un tratto, percorrendo un sentiero tra interminabili campi di mais mi attira un rumore sommesso, una specie di flebile lamento. Chiedo silenzio, ci fermiamo, ma nessuno sembra averlo avvertito: oltre al frinire delle cicale di sottofondo non c'è nulla. Di fianco a noi un solitario albero concede poca ombra.

Poi di nuovo. Più distinto, ora lo sentiamo tutti. Sembra provenire dall'albero.

Giro intorno al tronco, il lamento è più forte, sembra una debole richiesta di aiuto, come se qualcosa avesse percepito la nostra presenza.

E di colpo lo scorgo. Arrampicato con la forza della disperazione su quell'unico albero nel nulla che lo circonda, a due metri o poco più d'altezza, un gattino, minuscolo, sparuto, magrissimo, emette un miagolio roco.

Ho letto da qualche parte che, quando la vita decide di premiarti, pone un gatto sulla tua strada.

Accade proprio così, lo sento. In quello specifico istante ho la consapevolezza che lui, quel miuscolo esserino frignante e pulcioso (come scoprirò in seguito), imprevedibilmente, da quel momento in poi sarà parte della mia famiglia.

Lo raccolgo con attenzione e il cucciolo si abbandona quasi con riconoscenza entro il guscio protettivo delle mie mani. Un istante dopo un nugolo di api mediamente incazzate ci costringe ad allontanarci di corsa, io con quel cosino tenuto ben nascosto. 

Chissà da quanto tempo sarà stato lì, così piccolo, ma la facilità con cui si è lasciato prendere mi fa pensare che possa essere domestico: magari la sua mamma lo sta cercando, ma a parte noi non c'è niente, non giunge nessun suono, nessun richiamo. La prima cascina disterà si e no un paio di chilometri, difficile pensare che possa essersi allontanato così tanto da solo. L'idea che possa esser stato abbandonato sembra la triste soluzione più probabile. Ma provo a metterlo per terra per vedere se cerca la strada di casa, si allontana di pochi passi ma solo per fermarsi e distendersi a cercare ristoro nello spazio creato dalla nostra ombra.

A questo punto lo raccolgo e me lo metto nello zaino, lui lascia fare, sporge il musino guardandomi senza paura, ogni tanto emette un miagolio roco, poi osserva incuriosito intorno con l'espressione di "ma guarda, questo umano mi porta a spasso". Dall'interno dello zaino emerge, profondo, un ronron confortante. 

Lo studio con attenzione. Bello certamente non è, sparuto, il manto sporco, gli occhi cisposi. Ma il suo sguardo è quello che mi colpisce. Attento, pulito, senza paura.

Meno di un'ora dopo siamo finalmente in paese. Dal più vicino tra noi riusciamo finalmente a dargli un po' d'acqua, che beve avidamente. Chissà da quanto era bloccato su quell'albero, da solo e al caldo. L'ipotesi di una nuova casa lì viene rapidamente scartata dal capofamiglia con una votazione a maggioranza fortemente incostituzionale, sfruttando l'assenza momentanea dei figli e l'astensione forzata (pur con molto rimpianto) della di lui consorte, "non pensarci neppure e portatelo via prima che rientrino i ragazzi", sono praticamente pronti a partire per le vacanze. Decidiamo di comune accordo di spargere in giro la voce per vedere se qualche conoscente di buon cuore sia in cerca di un pelosino da adottare.

La mia parte razionale approva, abbiamo già una gatta, discretamente dispotica, abituata a comandarci a bacchetta, ha poco senso stravolgerci/le la vita con un secondo. E poi la consorte già da tempo aveva emesso il proclama definitivo, definendo in tre il numero massimo di animali consentiti in famiglia, includendo il sottoscritto e la Ciccia nella lista. Meglio per lui, per Yuma, per per la sua futura famiglia, per  la nostra sanità mentale, trovargli una più consona  collocazione.

Ma è la mia parte irrazionale che emerge, che ne ascolta rapito le fusa, che ne studia i movimenti impacciati, il disegno del manto, la parte di pelo bianchissima sotto la gola nonostante tutto il resto sia lercio... C'è un legame tra me e quell'esserino, c'è qualcosa dell'uno che appartiene all'altro, forte e saldo, da quel preciso istante in cui l'ho recuperato dall'albero.

Entro in casa, zaino in spalla, il musino che guarda attento. "Ho trovato questo", dico mettendolo sul palmo aperto e mostrandolo alla sua nuova famiglia.

La consorte mostra, come da prassi, una costernazione di facciata, deve manifestare la sua contrarietà consona al ruolo, anche se è difficile non intenerirsi dinanzi a quel batuffolo inerme. "Com'è bruttino", esclama invece la Ciccia, prendendoselo immediatamente in braccio. Lui sporge le zampe, cercando di giocare con i suoi capelli, è già a suo agio. 

"Come faremo?" domanda la consorte. "Faremo", le rispondo. 

"E con Yuma?" chiede ancora. "Vedremo", replico.

Come se l'avessimo chiamata Yuma si palesa, lenta, l'aria annoiata del felino che è stato appena infastidito dalla caciara di noi umani.

Poi lo vede, e si blocca. Lui la guarda e, senza nessuna paura, prova due timidi passi a mò di approccio.

Con una trasformazione più rapida di quando Bruce Banner muta in Hulk, il nostro gatto, solitamente ciccio, in un attimo diventa una minitigre siberiana, ringhiante, con il pelo irto e le orecchie all'indietro, tutta sputi e artigli. Decidiamo di sottrare l'esserino ancora inconsapevole da una morte prematura tagliato a striscioline sottili e la prima notte la passerà al sicuro sul balcone di casa, in una cuccia improvvisata preparata dalla Ciccia e protetto dalle intemperie con un lenzuolo a mò di tenda. Il giorno successivo, con il perdurare dell'ululato belluino di Shere Kan, che sancisce l'impossibilità momentanea della convivenza, decido di portarmelo in studio, poi quando ci fermeremo per le vacanze riproveremo. 

E così faccio. E per tutto il mese successivo diventerà il mio compagno di lavoro, accompagnandomi al bar per la colazione, con il musetto curioso sporgente dallo zaino cercando di ghermirmi rapido un pezzetto di croissant, giocando con le palline di carta, con i fili della tastiera, con le chiavette usb, arrampicandosi freneticamente sui jeans al momento del pranzo e crollando esausto subito dopo sul tappetino del mouse.

 
Nonostante il perdurare del dolore alla schiena è stato un bel mese devo dire, il tempo al lavoro è sembrato scorrere più leggero e l'esserino si è fatto subito benvolere da tutti, mordendoci indistintamente le caviglie, pretendendo un po' di coccole e addormentandosi equamente tra tutti noi. Il nostro personale rapporto si rafforzava con il passare dei giorni e lasciarlo lì, la sera, era sempre una dolce piccola tortura. 

La prima visita dalla veterinaria me la ricordo bene, con un panciotto pieno di vermi come da manuale ma sano, vivace ed in salute. Compilando il libretto sanitario la dottoressa è scoppiata a ridere al termine del seguente scambio: "Come lo chiamiamo?" "L'Oki" rispondo io. "Ah bello, come il Dio della mitologia" - "No, come l'antidolorifico". Non potevo dargli un nome diverso. E così L'Oki fu.

 

Dopo un mese, nella pausa di agosto tentiamo il reinserimento, che risulterà lungo e complicato, con l'ostracismo feroce della padrona di casa, costringendoci a dividere l'appartamento in due per mezzo di un grosso pannello di plexiglas trasparente. Alla fine sarà la testardaggine del cucciolo a vincere, andando a curiosare il terreno nemico approfittando di un piccolo varco mentre noi non eravamo in casa e rimanendo miracolosamente incolume. Da lì in poi è stato tutto più facile.


Oggi L'Oki è un gatto guascone, simpatico e terribile, che pretende la sua dose di gioco ogni sera, mordendomi i piedi quando provo ad isolarmi dal mondo con cuffie e tastiera (ebbene sì, mi sono messo in testa di imparare pianoforte, ma questa è un'altra storia). Bellissimo e testone, adorabile con i bambini e pronto alle fusa, con il lungo manto setoso ed una combinazione di colori del pelo che incanta (deve avere qualche norvegese delle foreste come antenato). L'albero di Natale, diventato sua personalissima palestra di arrampicata quest'anno ha ricevuto il colpo di grazia, costringendoci a salvataggi dell'ultimo minuto per le palline più preziose.  In poco tempo è cresciuto ed è diventato un gattone grande quanto Yuma e, appena può, si diverte moltissimo a farle gli agguati. Non si accuccia più remissivo come quando faceva da piccolo, ma zompa all'improvviso mentre lei riposa tranquilla su una sedia e parte con una serie di destro-sinistro in rapida successione, che costringe la povera gattona ad una fuga brontolante. Ma prova a chiuderlo in bagno quando esagera con le marachelle e lei si accuccia davanti alla porta in attesa che venga aperta.
 

L'Oki, il mio gatto trovato nel nulla, il mio antidolorifico naturale, il mio bellissimo premio dalla vita. 

domenica 5 aprile 2020

Un compleanno speciale

Tanto lo so che piangerai come una fontana, ti conosco. 

Ecco, adesso come adesso, la certezza di quelle lacrime un poco mi conforta, in questi giorni sospesi, in questo nulla colorato di incertezze che prosegue ancora e ancora, in queste ore di abitudini nuove, di gente che suona dai balconi vicini, di sguardi smarriti e code silenziose davanti ai supermercati, e poco nulla del resto che ti sei persa. 

Di te ho già parlato qui e qui, e qui, con oggi fanno tre post, cominci ad essere un po' troppo ingombrante tra queste pagine virtuali. Si vede che forse, un pochino te lo meriti. Oggi, almeno oggi, te lo concedo. 

Ci siamo incontrati l'ultima volta il 12 marzo, una scappata veloce in studio da te poco prima di cena, dovevo installarti un programma, che tu, come al solito, non eri capace. Quest'emergenza era già in atto, anche se la lontananza degli eventi non rendeva ancora così reale il pericolo, non sembrava così venefica come di lì a pochi giorni avremo sperimentato: tenevi l'Amuchina nell'ingresso, tuo marito mi ha aperto la porta, ho fatto finta di baciarlo, abbiamo scherzato, Wilson sempre al suo posto, ho letto distrattamente le dediche che allora ci avevamo scritto su. 

Pochi minuti dopo avevo già fatto, "Grandeeee!!!" mi hai risposto quando ti ho detto che era tutto a posto. E sono uscito. Sorridevi.

Te lo saresti immaginato, il tuo futuro di lì a poco? Io certo che no.

Il 15, improvvisamente, mi hai scritto "ho la febbre da ieri", e per qualche giorno abbiamo tutti pensato che si trattasse di una banale influenza; i telegiornali  passavano nel frattempo informazioni sulla diffusione del contagio via via più drammatiche e nei giorni seguenti la febbre non ti passava, mentre le tue preoccupazioni aumentavano, si percepivano attraverso le parole dei messaggi, e nonostante le reciproche stupide battute sdrammatizzanti "tua moglie non deve preoccuparsi del contagio, non ci siamo nemmeno baciati" le capivo, le sentivo, erano le stesse che avevo io. E sapevo che quel tuo preoccuparti non era per la tua salute, certo, ma per quella di tuo marito, per i tuoi cari. 

Il 21 ti hanno ricoverata e non scherzavamo più. Il giorno dopo mi confermavi che l'esito del tampone era positivo, il 23 il tuo primo "quanta fatica a respirare", io ti rispondevo sempre per messaggio, ti mandavo ogni giorno giornali da leggere, cercavo in qualche modo di alleviarti la tensione. 

Il 27 il tuo "mi intubano" mi ha raggelato il sangue.

Buio

Ci tenevo a farti sapere che non ti sei persa niente, di questi giorni che tu praticamente non hai vissuto, chiusa in isolamento in una città lontana, lontana dai tuoi affetti, con tante persone nelle stesse tue condizioni. Chissà come è stato.   

Qui sono stati giorni grigi, fatti di niente scandito dal giorno e dalla notte e via ancora, con la paura delle cose che non si sanno che aleggiava sopra le nostre teste come un velo maligno, con il silenzio irreale delle strade, con il suono troppo frequente delle ambulanze, con la televisione quasi sempre accesa in attesa dei notiziari, con la mia Ciccia ed io agli estremi dello stesso tavolo, lei con il suo portatile intenta a seguire le lezioni ed io con il mio a lavorare. Hai un marito forte, gli abbiamo offerto in tanti una mano, ha ringraziato ma non ne ha avuto bisogno. Ha accudito la vostra famiglia come solo lui sa fare, magari la gara di rutti con il tuo bimbo grande non sarà stato un metodo educativo ortodosso, ma tranquilla, che li ha insegnati anche alla piccola. 

Sono sopravvissuti alla tua mancanza, alla mancanza del tuo essere sempre presente, della tua forza e della tua determinazione. E sai, se la sono cavati alla grande, ma (e non farlo sapere a nessuno) solamente perché sapevano che sarebbe stato per poco. 

Hai trascorso quasi dieci giorni in terapia intensiva, lontana dal conforto della tua vita di sempre, dalle tue sicurezze, catapultata in un mondo nuovo, asettico, con l'incessante rumore dei respiratori e gli occhi di medici e infermieri da dietro le visiere. 

Dieci giorni in cui le notizie dal tuo mondo a qui arrivavano con il contagocce, e quelle di fuori facevano paura e male a sentirsi. 

Dieci giorni in cui io ho continuato a mandarti ogni giorno messaggi su WhatsApp, cretinate perlopiù, video per farti sorridere. Non vedo l'ora di vedere finalmente quella doppia spunta blu.

E ieri, dopo il messaggio in cui tuo marito finalmente  mi avvisava che eri stata estubata, ho avuto la certezza che li vedrai, i video divertenti e le battute cretine, so che riderai e un po' ti commuoverai, so che adesso non vedi l'ora di riabbracciare i tuoi, so che avrai forte in testa il verbo RICOMINCIARE.  

Oggi è il tuo compleanno, hai addosso una mascherina. Quelle persone speciali che in questi giorni ti hanno avuta in cura ti hanno fatto fare una videochiamata, così li hai visti i tuoi tre, hai potuto rivederli, sentire le loro voci, le risate, hai potuto vedere che stanno tutti bene e loro hanno potuto farti gli auguri per oggi, il tuo compleanno. E penso proprio che sarà il regalo migliore che tu abbia mai ricevuto, addirittura meglio di Wilson, quando te ne sei andata via da noi. 

Basta, mi sono dilungato fin troppo e son stato così tanto melenso da mettere a repentaglio la mia reputazione; adesso, come si dice da queste parti bogia, insomma sbrigati a tornare perchè: 

  • a casa ti aspetta un sacco di lavatrici da metter su 
  • devi darti una mossa ad usare il software che ti ho installato se no cosa ho rischiato a fare
  • un po' ci sei mancata
  • soprattutto, in ogni compleanno che si rispetti, devi offrire da bere, tu che, come ho già scritto, "basta anche solo un goccio d'alcool da inanellare tutta una serie di doppi sensi da far impallidire anche il più rude dei camionisti calabresi".
E buon compleanno, amica mia.
On Air Lenny Kravitz: Happy Birthday



lunedì 20 gennaio 2020

Come nessun posto al mondo mai

Ieri ho chiuso per l'ultima volta la porta di quella che è stata la mia casa per trentanni.

Quello appena compiuto è stato un anno intenso, spigoloso spesso, ruvido sovente, in cui i miei occhi hanno subito troppe albe e si sono soffermati su così pochi tramonti da qualche parte sulla riva del mare.
E' stato un altro anno tosto, serrato come i precedenti ma sempre un poco di più, l'asticella del salto una volta ancora spostata più su di una tacca; ci sono stati momenti in cui, confrontandomi con la consueta chiacchierata serale mi sono lasciato andare ad un "non so proprio come riuscirò a fare tutto, questa volta", a cui seguiva sempre la stessa risposta "ce l'hai sempre fatta, alla fine".
E' vero. Alla fine ce l'ho sempre fatta. Ho accumulato ritardi e risparmiato sulle ore di sonno, ho sacrificato gli amici, le mie parole più vere qui, innumerevoli fine settimana. Ho accantonato il mio tempo più spensierato, molte delle mie corse, ripide pareti da affrontare ed ho detto pazientate, ci ritroveremo, prima o poi. 
Mi sono arrabbiato spesso con me stesso scoprendomi indolente e non sufficientemente produttivo alle volte, mi sono segnato impegni e scadenze sull'agenda settimanale, riportando gli incompiuti la settimana successiva, con un sottile piacere ogniqualvolta un tratto deciso di penna dava per terminato un lavoro. Ho fatto quasi tutto da solo,  testardo One Man Band dei progettisti, con la caparbietà montanara che sta diventando parte del mio modo di essere e di pensare, tollerando poco niente, in quello che mi sta intorno, che non va come dovrebbe.
Quest'anno ha visto cambiamenti importanti in casa D&R, a partire dalla maturità delle Ciccia oramai definitivamente non più ascrivibile al titolo di "mia piccola", il suo conseguente ingresso nel mondo universitario, con la scelta della facoltà di Psicologia, fortemente voluta e pensata fin da quando era piccola (... fa solo che non mi diventi come Bruno) ed il naturale stravolgimento di orari, abitudini, percorsi e vita. 
Si è lasciata andare la casa in cui ho vissuto la mia prima vita a Torino e quando si devono svuotare le stanze i ricordi ti travolgono, ti trapassano, ti sommergono, tornano fuori prepotenti angoli di te che eri sicuro di aver dimenticato. 

La felicità sta veramente nelle piccole cose, nella luce che filtra dalle persiane il primo giorno d'estate, in mia madre che la mattina lottava con un me piccolo per infilarmi le calze appena sveglio, nella mia tazza della colazione e la granella del Buondì Motta che mangiavo sempre come ultima cosa preziosa. 

E senza quasi volerlo, in uno scatolone richiuso da tempo ritrovi la tua fresca giovinezza lì pronta ad aspettarti, scorrendo le dita su un foglio consumato sporco di china rivedi come proiettato sul pulviscolo che danza nella stanza quel te di allora che in fondo non è mai cresciuto, un po' schivo, chino e concentrato a disegnare di notte alla luce della lampada da tavolo, col buio di questa città un po' magica a fare da cornice, la finestra aperta a rinfrescarsi dalla calura estiva e le cuffie nelle orecchie. Ho ritrovato frammenti di me inutili e bellissimi accarezzando vecchi mobili consumati dal percorso delle mie proprie dita, ho ritrovato paure e felicità improvvise, risentito vive le voci ed i rumori della domenica, il profumo del sapone da barba di mio padre, l'apparecchiare per il pranzo con il servizio buono e la radio accesa: mi riavvolge come fosse ora il silenzio colmo di apprensione di quando da ragazzo vegliavo nel sonno di quella famiglia che eravamo noi, un padre una madre e due sorelle e un bene grande e saldo che rappresentava tutto il mio mondo, ed ascoltando il respiro regolare dei miei pregavo Dio di regalarmene tante da non poterle contare, di quelle notti e silenzi e respiri quieti nel sonno. 
Avrei voluto congelare ogni momento ritornato luce, avrei voluto essere l'io di mille istanti che mi hanno accompagnato in questi giorni di armadi aperti e fogli strappati e scatole richiuse con il nastro da pacchi. 
I miei genitori non mi accompagnano più da troppo tempo, anche se ogni tanto mi confronto ancora con loro, gli chiedo silenziosamente se stia facendo le scelte giuste, a loro rivolgo il pensiero apprensivo di padre quando osserva orgoglioso la propria figlia crescere. Ieri, nascosto nei pacchi di vecchie foto, nei biglietti di auguri di compleanni dimenticati ho trovato ancora intatto il loro amore ed orgoglio nei miei confronti. Sono cosciente che buona parte dei ricordi custoditi tra queste pareti e che mi hanno abbracciato in questi giorni si dissolveranno definitivamente ed è questa, la perdita più importante, in fondo. Mi sono portato via degli oggetti, il divano che mio padre adorava, il tappeto persiano del suo amico architetto, qualche libro con le dediche di stima ed affetto che in molti gli avevano tributato. Forse non sono ancora pronto a perdere tutto. 

Ieri ho percorso per l'ultima volta le stanze di quella che è stata la mia casa per trentanni. Ho appoggiato le mani alle pareti spoglie, ai mobili rimasti, agli stipiti delle porte, agli interruttori della luce, ho rimesso la mia abitudine a quei luoghi, a quei rumori, a quella luce, al balcone di sala, al tramonto sul Monviso che solo da quella finestra, assaporando come se fosse musica lo scricchiolio del parquet. Ho appoggiato a lungo i palmi delle mani su tutto come se fosse un abbraccio, un pezzo alla volta, gli occhi umidi ma solo un poco, ripetendo a bassa voce grazie casa, ciao casa, sei stata una buona casa, sono stato bene con te, bene a crescere qui, a coltivare speranze e sogni, grazie. 
E nel silenzio dell'abbandono mi è sembrato quasi di sentire, lieve, il respiro quieto di una famiglia felice nel sonno.

Poi ho chiuso la porta.  

martedì 25 giugno 2019

Ricomincio da me

Le persone crescono, si avvicendano le fasi della luna, i rapporti si evolvono, a volte inspiegabilmente esplodono in mille fuochi d'artificio oppure si deteriorano e consumano senza particolari colpe, gli obiettivi nel tempo subiscono modifiche, gli sguardi si spostano oltre, i percorsi variano, strade incrociano altre strade, traguardi a lungo sognati si allontanano, capita che perdano improvvisamente di significato. 
Io stesso, nonostante mi veda sempre uguale ma so che non è così, muto sottopelle, cambio orizzonti e carattere, rivedo le mie priorità, mi piego ma non mi spezzo al variare del vento che, alle volte, cerca di travolgermi, strapparmi dalle mie radici, se mai ne ho avute.

E’ un momento non facile. La vita facile non la è mai, schiacciasassi senza pedale del freno, e non puoi rallentarne il corso per valutarne cause e conseguenze, con te o senza di te va prosegue inesorabilmente avanti, mi domando se ci sia qualcuno che possa pensarla diversamente. Il lavoro mi dà soddisfazioni anche se mi prende tutto, mano gigante che stritola le mie risorse, monopolizza la quasi totalità delle mie energie, i giorni si susseguono ad altri, le settimane si snocciolano una via l’altra senza sosta, ne inizio una nuova con la strana consapevolezza di averla già terminata ancor prima di partire ed anche il sabato, che un tempo serviva per smaltire gli eccessi e metter giù un qualche post da tranquillo, adesso è diventato una costante che mi prende fino a tarda sera. La domenica mi costringo ad andare a correre e fortunatamente, anche se controvoglia, mi do sempre ascolto. E mi fa bene, quell'ora di asfalto pestato e musica nelle orecchie a liberarmi la mente ed il cuore allontana la rabbia, quella cattiva e definitiva dalle vene, che si distilla nelle gocce di sudore, si dissolve nel fiato e me la lascio alle spalle, quasi disintossicato, liberato da una sorta di veleno maligno. Posso dire che, soprattutto grazie a quest'ora di fatica e feroce ostinazione la mia fedina penale non riporta, ad oggi, alcun tentato omicidio.
Ho cambiato il modo di vedere le cose ed il mio conseguente modo di agire. Mi son fatto crescere la barba e mi son comprato un paio di scarpe nuove, di discreta figaggine. E' un sacco di tempo che non pensavo per primo a me. Anzi che non pensavo a me e basta.

Ho fatto un profondo esame di coscienza ed ho deciso che basta. Basta con quello che non va, che non mi piace o che non si può. Ho rielaborato le priorità, mettendomi risolutamente al primo posto, sopra tutto e tutti, un po' di fottuto egoismo dopo anni ed anni a preoccuparmi sempre prima degli altri ci sta. Ho allontanato con un gesto della mano la “gente”, gli inutili, gli approfittatori, i questuanti, i succhiatori di energie, i maestri del lamento. Ho eliminato dal mio intorno i bugiardi e quelli delle mezze verità, che sono ancora peggio, chi prende sempre senza pensare a voler ricambiare non certo per ristabilire un equilibrio ma perché ti va di farlo. Ho rimosso chi si sente superiore, chi il bene te lo concede un tanto al chilo, chi vuol far comunella per recare danno ad un terzo, chi vuol esserti forzatamente amico unicamente per i propri scopi. L'ho fatto con una semplicità disarmante senza preoccuparmi delle conseguenze, l'ho fatto senza distinzione di sesso, età, parentela, amicizie datate o meno, voilà, una rapida passata di scopa a liberare i cocci e via nell'indifferenziata della mia esistenza. Ho allontanato il fastidio di chi non si preoccupa di cosa pensi, di quelli a cui non manchi, chi prende senza chiedere, chi puntualmente arriva solo nel momento del proprio bisogno e dopo aver preso scompare. Ho smesso di cercare attenzioni ed accomodamenti, di ragionare con gli imbecilli, quelli dei “perché sì” e degli “si è sempre fatto così”, un persona dotata di intelligenza e saggezza una volta mi ha detto che discutere con questi non serve e che, da fuori, non si riesce a comprendere chi sia l’imbecille dei due.

Ho smesso con le frasi accomodanti, con le parole di convenienza e quelle di circostanza. Ho rinunciato a tentare un dialogo con chi parte dal presupposto di avere la ragione assoluta in tasca, con quelli che se non ti va bene così va bene uguale, con quelli dell'ho deciso che facciamo, con i fondamentalisti e con le persone sterili, inutili figure senza spessore, che ti vagano intorno come le ombre della città incantata di Miyazaki.
Mi sono imposto di dire quello che penso, sempre ed al di sopra di ogni pseudo convenienza di ritorno che ti vorrebbe zitto ed accondiscendente, un po’ come l’orientale della pubblicità, che sovrappensiero dice “Idiozie!” al capo vestito di bianco, ma senza l’alito rinfrescato alla menta dal magico chewingum.

Ho sfrondato tanto ma ho la sensazione di aver perso poco, l’ho fatto per una mera questione di sopravvivenza, ho tagliato basso, quasi rasoterra, non mi sono permesso di andare per il sottile. Ed ho fatto dei sacrifici che, probabilmente, andavano fatti e qualche danno, mi si scuserà. Ho smesso di essere presente dove probabilmente lo ero troppo, e se da un lato questo poteva sembrare una cosa buona, per tanti versi non lo era più, la sensazione che quello non fosse il mio posto era sempre più pressante. Il bene, quello vero e forte, a volte presenta strade contorte.
Diversamente dal mio carattere L’ho fatto senza arrivare alla misura colma e pertanto senza urli o strepiti. Non ci sono state prese di posizione, grida o parole rabbiose che in passato mi hanno contraddistinto. Ci sono state porte chiuse definitivamente senza doverle necessariamente sbattere, telefonate che non meritavano risposta, una semplice, irresistibile e precisa voglia di girare le spalle ed uscire di scena a cui ho dato ascolto. E quando ti allontani da qualcosa, che sia un posto, una persona o una situazione e stai bene nel compiere quel gesto, quando non ti ostini a rimanere, a tentare di sanare ciò che sanabile non è, vuoi per codardia o rassegnazione, scopri che fai tanto bene perlomeno a te stesso.

Ho semplicemente modificato i miei percorsi, riesumando le mie sfide più antiche, le ho tirate fuori come le bocce con la neve dentro, dalla scatola su in soffitta e le ho riposte in bell'ordine, sulla mensola grande, quella che riceve quella luce speciale di traverso al calar del sole che le fa splendere di luce dorata. E mi sono “bastato” nuovamente, non ho più concesso a nessuno di stare al centro del mio mondo e delle mie attenzioni senza il mio permesso.

“Alla via così”, direbbero quelli che sanno andar di vela, assecondando il vento, cercando dove spira più forte, inseguendo le nuvole e l'orizzonte.

Ricomincio da me.
[On air: Negramaro: Basta così]              

mercoledì 19 giugno 2019

Notte prima degli esami

[Quando l'ultimo giorno di scuola dell'ultimo anno di liceo suona la campanella dell'ultima ora, tu sei convinto che quello sia l'ultimo secondo della tua adolescenza. Senti il bisogno di sottolineare l'evento con una frase storica, tipo: "Che la forza sia con noi!" oppure "Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo!".]

Di quel mio tempo di allora ricordo il caldo di una Torino assolata che scorreva dietro i finestrini del 13 non stracolmo come di solito e la tortura del busto per la schiena. E quel senso di cambiamento imminente. E Paola, che riempiva i miei pensieri ed i miei fogli, di parole a voce allora non ne usavo un granché. Abitava in collina, suo padre era medico, non l'ho più vista da allora. Il mio Liceo, il "Volta", era a due passi da piazza Statuto. Non ero particolarmente estroverso, non avevo amicizie forti e inossidabili, di quelle che pensi ti legheranno a qualcuno per tutta la vita, scrivevo molto e disegnavo altrettanto, bianco e nero quasi sempre. Il mio mondo era poco più ampio della mia camera con il tavolo laccato bianco, ribaltabile, che richiudevo la sera per fare spazio. Lo usavo come un gigantesco foglio di appunti e schizzi e cose che poi con regolarità irritante mia madre resettava con un'energica passata di acqua calda e Vim. Solo il ritratto di Lucio Dalla con il basco ed un Herbert Von Karajan con la bacchetta in punta di dita erano stati graziati dalla smania pulitrice della genitrice e resistevano nel tempo. 
Alle radio spopolava Enola Gay degli OMD, io ricordo soprattutto "Futura" e "la sera dei miracoli" di quel Dalla unico, che ascoltavo con la mente sospesa, ancora e ancora. La mia strada era ancora tutta da scrivere, la mia voglia di studiare completamente assente, il mio voler crescere era bruciante ma al contempo non ero così sicuro di esserne capace, i miei affetti confortanti erano tutti lì presenti, la mia vita era la mia famiglia, la mia casa in montagna, la certezza del consueto ritorno al mio mare come ogni estate, quando poi finalmente ritrovavi il profumo della focaccia nei carugi, le pietre calde la sera e il tramonto che si spegne sull'orizzonte.
E' cambiato tutto. Il mio mare, anche se mi è rimasto cucito addosso non mi appartiene più da anni, nella casa in montagna non riesco ad andarci senza trovarmi invischiato dalla sensazione di essere fuori posto, i miei affetti di allora sono svaniti, i ricordi felici corrosi, ho quella sensazione di non appartenere a nessun posto, a nessuno.
I miei diciott'anni di allora, la freschezza di quei momenti sembrano dietro l'angolo ed insieme lontanissimi, sono forse ancora lo stesso ragazzo schivo dallo sguardo diffidente ed una corazza più rigida delle stecche del busto che sopportavo. E mi domando se questo mio stare abbia mai avuto uno scopo.

Poi però osservo te, e inevitabilmente sorrido. 
Guardo te che rispetto a quel me di allora sei così tanto diversa, anche se dicono tutti che hai gli stessi miei occhi scuri, di sicuro ogni tanto hai i miei silenzi. Guardo te e provo a sovrapporre cosa sei tu e cosa ero io alla tua età. Ed è inutile dire che vinci a mani basse.
Sei decisa, sicura e bellissima nella tua giovinezza splendente, hai le idee chiare di come sarà la tua strada, hai entusiasmo e volontà e carattere e i tuoi peluches nel letto, hai quello sguardo altero ed un po' selvatico che ti rende incredibile ai miei occhi, sei padrona del tuo tempo e cosciente di esserlo, ci credo che "quello" ti guarda sempre con quello sguardo che è un misto di adorazione esagerata e soggezione. 

Ci intendiamo ancora, a volte abbiamo bisogno di uscire a camminare in silenzio allo stesso modo, come l'altro ieri sera, insieme senza parlare, sapendo di esserci vicini reciprocamente. Hai una smania di crescere, di affrontare sfide, di prendere il mondo tra le tue mani che un po' ti invidio, se confrontata come ero io alla tua età.  

E in questa notte, che fa caldo e fatichiamo a prendere sonno, che io se tu sei sveglia è difficile che mi addormenti, che ti sento nel tuo letto che armeggi ancora con il cellulare cercando suggerimenti su cosa scriverai domani mattina, mentre la gatta fa la matta come suo solito e zampetta da una stanza all'altra cercando di prenderci i piedi ti dico solo che ti voglio un bene forte e saldo come in nodi che abbiamo imparato andando per mare e che sono orgoglioso di te, di quello che sei, forse non te l'ho mai detto, ma lo sono tanto.
E' questo il tuo tempo, prendilo, usalo a mani basse, vivi, corri sotto la pioggia, ridi, piangi qualche volta, vai ai concerti, balla, abbraccia, emozionati a vedere un arcobaleno, sorprenditi, sii sempre affamata della vita, di quello che puoi trovare dietro l'angolo. Vivi senza timore, con consapevolezza, vivi senza risparmiarti, senza pensare di non essere abbastanza, non ti porre limiti, mai. 

Domani inizierà la tua maturità, quei giorni matti a studiare tutto di tutto e oddio non ce la farò mai e fammelo ripetere ancora una volta e papino puoi stamparmi questo prima di uscire dallo studio. E vorrei dirti solo di stare tranquilla domani ed i giorni a venire, in fondo è un banalissimo passaggio obbligato, ci siamo passati tutti. Gli esami, quelli veri sono altri, le responsabilità, quelle serie, arriveranno man mano, l'ho imparato su di me e posso solo dirti che ho piena fiducia in te, saprai affrontare tutto con calma e responsabilità.

Passeranno questi giorni, arriverà l'estate liberatrice, nuovi mari in cui tuffarti, hai già programmato la tua vacanza in Croazia con i tuoi amici, ci sarà pure quello, tu non vedi l'ora, mentre io sono combattuto tra la voglia di tenerti vicina e la felicità nel vederti felice. 
E anche se adesso fatichi a prendere sonno posso solo assicurarti che questi saranno giorni che ricorderai per tutta la vita. E ti auguro che, di giorni da ricordare per tutta la vita, questo tuo incredibile futuro tutto da scrivere te ne possa riservare tanti, tantissimi altri.


E buonanotte prima degli esami, 
piccola mia.
[On Air: Notte prima degli esami]