N.B. Post iniziato a scrivere tempo fa. Poi le mille grane,
il poco tempo a disposizione, mi hanno allontanato da qui.
Negli ultimi mesi ho corso. Tanto
Ho corso perché in quei passi veloci che tirano sulle gambe
ho ritrovato un po' di quel me nascosto anche a me stesso, insieme ai miei
sogni più inverosimili e spregiudicati, alle mie speranze assurde che si
ostinano a non voler abbandonare la mente. Ho ripercorso marciapiedi e fatiche, attraversato nebbie intente a giocare con filari di alberi, ho visto il mio fiato uscire in sbuffi
densi e l'ho lasciato a dissolversi alle mie spalle.
Ho sentito i miei passi leggeri all'inizio e molto più spesso
maledettamente pesanti alla fine.
Ho corso perché abbandonarsi e dire - basta, fate un po'
come volete, io mi tiro fuori - non fa parte del mio modo di vedere la vita. Ci
provo badate, sbuffo e penso che lo farò, che ad un certo punto vaffanculo al
mondo e getterò la spugna, poi mi siederò sconfitto su un marciapiede da
qualche parte con la rabbia dei perdenti tra i denti, ma poi con la logica
degli "solo altri dieci passi" e "dieci passi ancora" e
ancora "solo più questi poi giuro che basta", va a finire che la fine
della giornata, ancora una volta, su quel gradino non mi ci ha visto seduto nessuno.
E inseguo i miei sogni, loro, molto più veloci e leggeri di
me, ma sempre maledettamente, meravigliosamente miei.
Per voltargli le spalle ho tempo. Ancora un po'.
Così ho ricominciato. E, nella rosa dei sogni a disposizione
me ne sono scelto uno luccicante, uno bello da inseguire ma impossibile, come mi han
detto in tanti.
Numero 51506, D&R, iscritto alla quarantesima
edizione della Maratona di Parigi.
Ci hai un'età. Ma perché Proprio Parigi, direte voi.
Perché sì.
Perché ci ho corso che ero giovane come l'aglio e la Senna
che mi scorreva a fianco me la ricordo come fosse ieri. Correre era una
meraviglia, partivo libero e leggero dal pont Mirabeau fino all'Ile Saint Louis e
tornavo indietro che non mi accorgevo neppure di correre, tanta era la
bellezza, l'aria, i profumi, che mi circondavano.
Perché Parigi conserva angoli di malinconia che sono miei, che ho lasciato lì ad aspettarmi ed era giunta l'ora che li ritrovassi.
Ho telefonato a Renè, eravamo in settembre; mentre scherziamo e ci raccontiamo gli aneddoti delle nostre rispettive vacanze, con noncuranza sgancio la bomba: "che ne pensi di una corsetta a Parigi ad aprile? E' il quarantesimo". Lui fa una pausa, cambia il tono di voce e mi risponde: "se parli con un minimo di giudizio guarda che non è uno scherzo, e siamo già in ritardo". Io gli rispondo di non esser mai stato così serio in vita mia. "Ma ho deciso di meritarmi questa sfida importante, e se una maratona deve essere, allora deve essere lì".
Renè, per chi non lo conoscesse, è un mezzo fuoriclasse. Di maratone ne ha corse diverse (ha un personale di 2h 43") è stato anche campione italiano in categoria Amatori su diverse distanze. Insomma un mostro, che, anche se adesso è anziano, continua a correre dannatamente forte.
"Gioco mio, regole mie", mi dice "Se la facciamo la corriamo insieme, fianco a fianco tutta, dall'inizio alla fine, a me non interessa il tempo. Ma da giovedì prossimo a Parco Ruffini alle 17,30 si inizia a fare sul serio". Inutile tentare di mediare per l'ora sostenendo che ho uno studio ed un lavoro caotico e imprevedibile, e che alle 17.30 sono normalmente solo a metà giornata. "Le condizioni non sono negoziabili". Mi tocca capitolare.
Il primo giovedì arrivo in ritardo di quaranta minuti, complice un cantiere distante. Renè sbuffa ma mi fa cominciare. "Partiamo piano" sa di presa per i fondelli, lui davanti io dietro. Sceglie i ritmi - giusto per rompere il fiato - e per un'ora e mezzo mi massacra. Finisco che ho la lingua sotto le suole e male ovunque. Mi lascia anche i compiti a casa, dei piani di allenamento ogni due giorni, e devo inviargli lo screenshot di Endomondo a fine corsa.
Il secondo giovedì tardo di nuovo. Questa volta si fa serio e mi dice che se arrivo in ritardo ancora una volta la finiamo lì. - Hai scelto un impegno - mi dice - e questo impegno viene sopra ogni cosa, sopra il lavoro. Se ti dico di correre corri, nessuna scusa. E se non ti sta bene non ho intenzione di andare avanti a sprecare altro tempo.
Da quel giorno in poi non ho più tardato.
Da quel giorno in poi non ho più tardato.
Il 24 settembre mi arriva la mail: "Félicitations, vous êtes bien inscrit au Schneider Electric Marathon de Paris le dimanche 3 avril 2016 ". Abbiamo finito di far finta, ho il biglietto, ho prenotato il treno e scelto l'albergo vicino all'Arc de Triomphe, ho l'adrenalina a mille e telefono a Renè che mi confessa, molto candidamente, di non essere riuscito ancora a fare l'iscrizione. Ma abbiamo ancora almeno un mese di tempo - mi rassicura - non serve tutta questa fretta. Il 24 ottobre le iscrizioni vengono chiuse e scopro che se ne è bellamente dimenticato. Riuscirà comunque, non so ancora come, a recuperare un'iscrizione grazie alle sue conoscenze all'ultimo minuto.
E in quel periodo la corsa diventa la mia vita. Riempie il mio mondo, i miei pensieri, ogni mio momento libero, non lascia spazio ad altro. Mi si insegna a dosare l'energia, a tenere un passo costante, ad andare piano per andare più forte. Cominciano i lunghi e i lunghissimi - il primo di questi mi stravolge - per poi iniziare tutto da capo aumentando di volta in volta il ritmo. Diventa un impegno vero. Corro la mattina presto o la sera tardi, immerso totalmente in me, nei miei pensieri, nella mia determinazione. Cado due volte, complice il buio, rientro sanguinante ma non mi fermo. Corro con Renato e la sua capacità di insegnarmi, la sua pazienza, il suo impegno, la sua incredibile forza d'animo.
In poco più di tre mesi corro circa 450 km, e pian piano inizio a farlo diversamente, a spingere e non a trascinarmi. Rientro sempre stravolto ma deciso più che mai a non fermarmi. Corro con la pioggia, con il gelo aggrappato alle dita, con lo scaldacollo sulla bocca a riscaldare l'aria di ghiaccio, con il miraggio della doccia calda da cui è sempre difficile uscire.
Una sera di febbraio arrivo a casa intorno alle 20. Mi cambio velocemente e vado. Ho in programma qualcosa di veloce, due volte i 5 km ad un ritmo medio. Un veloce riscaldamento e via. Vado bene, ma dopo il primo giro una fitta dolorosa dall'interno coscia mi si propaga per metà gamba. Mi fermo e smette. Riprendo e ricomincia. Decido di finire il giro, lo finisco male e dolorante. Telefono a Renè, il quale mi dice che forse abbiamo preteso un po' troppo da me, che abbiamo tenuto ritmi troppo serrati complice il poco tempo a disposizione. "Prenditi tre giorni di pausa, non fare nulla, nemmeno bici, riposati, che te lo meriti, riprendi lunedì". Così faccio, in tre giorni il male svanisce completamente, e mi sento bene, in forma come poche altre volte, forte.
Lunedì sera arriva che, dopo tanto tempo, ho veramente di nuovo voglia di correre e andare, mi sento bene, benissimo. Parto.
Il male mi aggredisce dopo meno di un minuto, una rasoiata dall'inguine al ginocchio sinistro, un dolore che impedisce la falcata, provo a forzare di meno ma niente da fare, correre è diventato impossibile. Mi fermo sconsolato. Mi rivolgo il giorno dopo a un fisioterapista, uno bravo, uno di quelli che vedrai che ti rimette a posto.
La diagnosi è infausta e veloce: "Pubalgia, almeno un mese, un mese e mezzo di stop e poi lenta terapia di recupero". Mi arriva addosso un macigno. Non è possibile, sostengo io, tra un mese e uno spicciolo di giorni ho la maratona, non posso, è assolutamente fuori discussione. "Anche se avessi la finale di Champions domani - risponde lui placidamente - non cambierebbe nulla. Ti fermi qui, ora. Non si può fare diversamente.
Renato ha il morale a terra forse più di me, pensa forse di avermi spinto troppo, di aver forzato eccessivamente. Ma la colpa non è sua, il tempo, la forma, era tutto troppo tirato.
Il sogno, il mio bellissimo, incredibile, luminosissimo sogno, si infrange, una miriade di frammenti brillanti mi crollano dolorosamente addosso.
[continua..... ]
On air: e nel frattempo, il boss, si diverte a prendermi in giro
E in quel periodo la corsa diventa la mia vita. Riempie il mio mondo, i miei pensieri, ogni mio momento libero, non lascia spazio ad altro. Mi si insegna a dosare l'energia, a tenere un passo costante, ad andare piano per andare più forte. Cominciano i lunghi e i lunghissimi - il primo di questi mi stravolge - per poi iniziare tutto da capo aumentando di volta in volta il ritmo. Diventa un impegno vero. Corro la mattina presto o la sera tardi, immerso totalmente in me, nei miei pensieri, nella mia determinazione. Cado due volte, complice il buio, rientro sanguinante ma non mi fermo. Corro con Renato e la sua capacità di insegnarmi, la sua pazienza, il suo impegno, la sua incredibile forza d'animo.
In poco più di tre mesi corro circa 450 km, e pian piano inizio a farlo diversamente, a spingere e non a trascinarmi. Rientro sempre stravolto ma deciso più che mai a non fermarmi. Corro con la pioggia, con il gelo aggrappato alle dita, con lo scaldacollo sulla bocca a riscaldare l'aria di ghiaccio, con il miraggio della doccia calda da cui è sempre difficile uscire.
Una sera di febbraio arrivo a casa intorno alle 20. Mi cambio velocemente e vado. Ho in programma qualcosa di veloce, due volte i 5 km ad un ritmo medio. Un veloce riscaldamento e via. Vado bene, ma dopo il primo giro una fitta dolorosa dall'interno coscia mi si propaga per metà gamba. Mi fermo e smette. Riprendo e ricomincia. Decido di finire il giro, lo finisco male e dolorante. Telefono a Renè, il quale mi dice che forse abbiamo preteso un po' troppo da me, che abbiamo tenuto ritmi troppo serrati complice il poco tempo a disposizione. "Prenditi tre giorni di pausa, non fare nulla, nemmeno bici, riposati, che te lo meriti, riprendi lunedì". Così faccio, in tre giorni il male svanisce completamente, e mi sento bene, in forma come poche altre volte, forte.
Lunedì sera arriva che, dopo tanto tempo, ho veramente di nuovo voglia di correre e andare, mi sento bene, benissimo. Parto.
Il male mi aggredisce dopo meno di un minuto, una rasoiata dall'inguine al ginocchio sinistro, un dolore che impedisce la falcata, provo a forzare di meno ma niente da fare, correre è diventato impossibile. Mi fermo sconsolato. Mi rivolgo il giorno dopo a un fisioterapista, uno bravo, uno di quelli che vedrai che ti rimette a posto.
La diagnosi è infausta e veloce: "Pubalgia, almeno un mese, un mese e mezzo di stop e poi lenta terapia di recupero". Mi arriva addosso un macigno. Non è possibile, sostengo io, tra un mese e uno spicciolo di giorni ho la maratona, non posso, è assolutamente fuori discussione. "Anche se avessi la finale di Champions domani - risponde lui placidamente - non cambierebbe nulla. Ti fermi qui, ora. Non si può fare diversamente.
Renato ha il morale a terra forse più di me, pensa forse di avermi spinto troppo, di aver forzato eccessivamente. Ma la colpa non è sua, il tempo, la forma, era tutto troppo tirato.
Il sogno, il mio bellissimo, incredibile, luminosissimo sogno, si infrange, una miriade di frammenti brillanti mi crollano dolorosamente addosso.
[continua..... ]
On air: e nel frattempo, il boss, si diverte a prendermi in giro
Oh, ziobubu. Era proprio ora, mi si lasci aggiungere... bentornato D&R.
RispondiEliminaperò... be'?
e poi?
E poi lo sto scrivendo!
RispondiEliminaQuel "(quasi)" iniziale e quel "[continua...]" finale, promettono tanto.
RispondiEliminaNel frattempo che aspetto, ti ringrazio per quello che ho appena letto.
Paola
Grazie a te di leggermi.
RispondiEliminaHo appena scritto il seguito, spero ti piaccia.
Ben tornato, Totson ... a noi, alla vita, alla corsa sognando !
RispondiEliminaScrivi così bene che mi si rafforza il pensiero che Tu, come il mio amico Aquilanonvedente ( anch' egli Ingegnere come te, come me ... ), sia una raffinato Scrittore sottratto alla Letteratura dall' Ingegneria ! 😊
Grazie Cavaliere, sempre troppo buono.....
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