mercoledì 18 agosto 2010

Presto che è tardi

Dai, dai. In fretta che non posso, che non ho tempo, come al mio solito. E' che ci ho una nave che mi attende, il traghetto per la lontana Trinacria non è lì ai miei servigi e non aspetterà, con la stuoia rossa e la fanfara che le regali ruote del mio veicolo percorrano il pontile e che ci si accomodi al suo interno. E che, volente o nolente, dovò fermarmi. Un matrimonio ci attende, anzi attende la consorte in qualità di ex-isolana nella sua parte più profonda e testimone di nozze alla futura sposa. Lei ha le sue radici ben salde in quell'isola lontana e, periodicamente ha la necessità di tornarci, sopportando stoicamente i periodi trascorsi tra le mie montagne. E, nell'occasione di ogni consueto ritorno, si consumano almeno tre giorni in visita ai parenti lontani, in un'atmosfera che al confronto C'è posta per te di Maria de Filippi è piatta come una tribuna politica. E quante strilla di gioia e quanti miiii come ti sei fatta grande picciridda e quante lacrime e quante parole in una lingua di cui la consorte recupera in un lampo la padronanza e che mi tagliano inesorabilmente fuori dai giochi. Anni fa, al temine del secondo giorno di tortura, dopo che, messo in disparte per delle ore (ogni tanto qualcuno si girava verso di me e con aria di commiserazione esclamava "meschinu! Chistu niente capisce!", salvo poi rivoltarsi e riprendere come se niente fosse la chiacchierata in puro normanno antico), avevo imparato almeno a comprendere il senso dei discorsi, partecipando alle risa se ridevano e facendo l'espressione triste se parlavano di defunti, portandomi però in uno stato simile all'esaurimento nervoso.
Solo in occasione della scorsa transumanza sono riuscito a defilarmi - sai cara, il lavoro, le scadenze, un progetto importantisssssimo proprio giuro non posso - partendo in aereo tre giorni esatti dopo il festeggiamento di uno zio ultracentenario al quale per ogni anno che raggiunge in più l'intero comune, sindaco in testa, organizza una festa che levati. Alla domanda cosa gli regaliamo avevo proposto una notte intera con una escort per farlo, come si può dire, finire in bellezza, con il sorriso sulle labbra, ma sono stato guardato malissimo e non sono stato minimemente preso in considerazione. E sì che io parlavo seriamente, ed oltretutto sono quasi convinto che a lui il regalo sarebbe risultato gradito. Ma ho divagato e mi scuso.
E quindi matrimonio. Ho promesso allo sposo che in chiesa fischietterò sommessamente "La paranza", di Daniele Silvestri e la sposa mi ha guardato malissimo, chissà poi perchè. Ma la mia piccola ha ricevuto il mandato per fare la damigella e so già che sarà vezzosamente bellissima, radiosa ed emozionata come già è adesso. 
Così per una decina di giorni stacco. Completamente, che, forse ne ho davvero bisogno.
Ma devo ancora finire un migliaio di cose, ho tre progetti bell'epronti ancora da stampare e rilegare e timbrare ed imbustare e spedire.
E devo poi ncora tagliare l'erba al prato dello studio, che qui tra poco si riprende, ed è quasi una consuetudine e poi fare quelle cose che solo un professionista titolare di studio può permettersi di fare, cioè potare le rose, scopare per terra, lavare e se la signora Luisa di solito non pulisce il water, beh, l'ingegner D&R invece sì.

Dio com'è tardi! Scappo.....

mercoledì 11 agosto 2010

Finalmente, quel sacchetto

Dico la verità: non mi aspettavo di ritrovarmelo davanti, oggi. Ed è stata proprio una piacevole sorpresa.
Sapete, "corro" alla stessa maniera di sempre, cappellino, occhiali scuri e cuffie nelle orecchie a sollevarmi dal mondo.

tornerà l’indifferenza a farmi compagnia
Fai spazio, fai spazio, fai spazio più che puoi
più che se ne può fare

Mi ci sono ritrovato, nei miei passi, solo alla fine della scorsa settimana, laggiù in quel mare lontanissimo dove sono andato a riprendermi la mia piccola, riempiendomi all'istante l'animo di gaiezza sfrenata, con tutti i suoi baci e gli abbracci ed i suoi occhi che luccicano. Me la sono guardata a lungo prima, seminascosto, prolungando l'attesa, in quegli ultimi attimi ancora senza me. L'ho osservata di nuovo, per la prima volta.
Ed eccola lì, la mia piccola, diventata in questi giorni lontani dai miei occhi, se possibile, ancora più lunga e magra e bellissima, con i capelli sciolti e la pelle abbronzata color del miele evidenziata da un abitino bianco forse troppo corto, ma vabbè, per questa volta sorvoliamo..
Poi il putiferio.
Mi ha visto, il suo sguardo si è aperto e illuminato, uno squarcio di sole, ed in un attimo mi è volata addosso, e mai i suoi quaranta chili mi son sembrati più leggeri. E quanti baci, e quanti sguardi a essere sicuri che fossimo veramente lì, uno di fronte all'altra e quante mani da tenere strette anche la notte tra i due letti della camera d'albergo.
E la mattina dopo ho sentito finalmente e nuovamente il richiamo, dolce e suadente, presto, subito prima che i sogni diventino ricordi sottili e svaniscano lievi. E ho calzato le mie scarpe bellissime e chiudendo piano la porta dietro di me sono uscito.
Quattro chilometri, e non uno di più, Il luminare è stato categorico - va già bene se non ti sei procurato una fascite al tallone - mi ha brontolato contrariato l'ultima volta. Il mio traguardo, per ora, è arrivare a percorrerli in venti minuti, e chissà quando ci arriverò anche solo vicino. Ma vicino  dista solo più trenta secondi al chilometro, nell'allenamento di oggi al Parco, che finalmente son riuscito a non mollare i 5.30 fino alla fine, nonostante l'acuto dolore iniziale. 
No, non è ancora gioia e leggerezza; è fatica e sudore e gambe che pesano come pietre, ma avanti sempre, memento audere semper, mi ripeteva con ostinazione quell'uomo di mare che è stato mio nonno, quando mi osservava al di sopra degli occhiali con i suoi occhi azzurri da autentico normanno siculo.
Non vedo, nè d'altro canto mi curo di osservare ciò che ho intorno; nè mare la scorsa settimana, nè alberi nè gente e nè nuvole oggi, per aiutarmi ad ascoltarmi. E la musica nelle orecchie non solleva, non fa ancora da colonna sonora, come solitamente accade, ad una storia da inventare tutta nuova che si gonfia come un lenzuolo al vento e che sembra sia già scritta da qualche parte dentro di me: si vede che non è ancora il momento, ma aiuta comunque, dà il tempo, il passo giusto ed il ritmo al respiro.
E la sopresa l'ho avuta proprio al termine dei cento metri finali.
Correndo senza guardare, isolato e attento solo a quella riga per terra, da seguire senza distrazione alcuna.

Il sacchetto.
L'ho riconosciuto subito per quella presa adunca che lo stringeva e per le gambe rinsecchite e piegate, ma mosse dall'inesorabile passo del bradipo.
Ho riconosciuto, risalendo con sorpresa con lo sguardo da terra, la canotta slabbrata, la bianca barba ispida e quello sguardo ostinato.
Il mio vecchietto. Quanto tempo passato. Quanta strada. 

che giorno era, quale calendario,
se ci provo non me lo ricordo
e conto i giorni al contrario
e come sempre la stessa innocenza

L'ho osservato sopreso, sorridendo contento. Si è sicuramente sentito osservato perchè mi ha guardato anche lui. Magari avrà pensato "che cacchio c'hà questo pirla qua con tutti 'sti capelli a fissarmi in questo modo, o forse mi ha guardato perchè anche a lui, nella sua vita di tutti i giorni un pezzettino di riferimento quotidiano era venuto a mancare ed ora si è finalmente ricomposto. Sì, ripensando al suo sguardo penso che anche lui mi abbia riconosciuto.

Non gli ho detto niente. Ma avrei voluto avvicinarmi e battergli una mano sulla spalla e dirgli Ciao vecchietto, sono contento di trovarti tu, la tua vecchia canotta che ha tanti anni quanto te ed il tuo sacchetto, che vorrei buttar via e comprarti uno zaino ed una maglia Gore fighissima che ci fai un figurone e ti sembra di andare più forte. Sono contento che tu ci sia e che sia qui, ancora più ostinato di me e che mi abbia aspettato, perchè la tua assenza mi sarebbe pesata. Buone corse, vecchietto, non fermarti ancora, mai, se potrai. Quest'oggi, a te ed al to sacchetto, dedicherò un post, perchè qualcosa, anche grazie a te ed alla tua ostinata determinazione, piano piano, ha ripreso finalmente a girare.

Sono passati dei mesi e l’esperienza non provoca cambi
che ad avvicinarci nel tempo ormai sono i danni,
non sono più gli anni
la vita che passa e va via
vivendola meglio mi vendicherò
scusa se non ti accompagno
ma ognuno prende la strada che può

E, con questa musica nelle orecchie, mi sono allontanato a far stretching nella zona degli attrezzi.

mercoledì 4 agosto 2010

Un sasso

così mi sento. Appoggiato, immobile, incapace di niente. Sterile ed inutile.
Sarà la troppa stanchezza accumulata, vuoi gli affanni veri o anche solo quelli immaginati, ma  mi sento greve, inanimato e fermo.
Non ho voglie, fatico a scrivere e si vede, a fare qualsivoglia cosa ed anche a pensare, che quello già mi veniva difficile di mio. Ed ultimamente anche a correre, che mi invento scuse e salto i giorni, e la mattina è troppo presto e la sera è troppo tardi e all'ora di pranzo fa troppo caldo.
Ho un libro sul comodino a cui non sto rendendo giustizia, sorry all'autrice, ma non è colpa sua. Dormirei mille anni. Gli occhi si chiudono così facilmente, a sperare di trovar ristoro e conforto nei sogni, dove posso invece anche piegare le nuvole ed i venti al mio volere e cambiare il colore dei giorni con un battito di ciglia, ritrovando energie e momenti che non mi pesano.
E dormireidormireidormirei, e alzarmi la mattina è aspro ed orribile. E' un'altra maledetta giornata da portare alla fine.
Un sasso. Perso, affondato nel un mare di sassi che lo circondano. Non vive, un sasso, non gioisce e non puoi ferirlo capisci, semplicemente sta lì. Non prova nè emozioni nè può muoversi, un sasso.
Tu lo prendi, lo fai rotolare, lo lanci e lo ripigli. Può capitare che si scheggi, raramente si spacca in due con un colpo secco. Non lo sai, ma per lui alla fine è meglio così.
Infine lo riposi da dove l'hai preso, dove è stato e dove rimarrà immobile per altri mille anni, forse un poco più in là, ma per un sasso il concetto di spazio è molto relativo.
Non lo sai, ma se mai lo riprenderai in mano lui è quello che aspettava, ed è per quello che è valsa la pena rimanere immobile quei mille anni, a subire albe e tramonti, sole e gelo, piogge e venti autunnali. Ad aspettare finalmente quella mano che ti solleva da terra e che ti libera dall'immobilità. E badi che non ho copiato, signora maestra. Perchè sa, rileggendomi, cosa che normalmente non faccio mai, quello che avevo appena pensato e scritto ho scoperto, con sorpresa di averlo già letto. Il piccolo principe, signora maestra, con la volpe al posto del sasso. Ma l'ho pensato, giuro, senza che Antoine de Saint-Exupéry mi influenzasse, o forse lo ha fatto non me ne sono accorto.
No. Non si muove. Ma assorbe, spugna durissima e tenace.
Assorbe ogni cosa, il tempo che passa e le nuvole che solcano il cielo nascondendo a tratti il sole. Assorbe umori e sguardi, il fruscio delizioso delle foglie trascinate dal vento, le notti invernali di gelo e di stelle. Ascolta.
Ascolta ed assorbe i profumi lontani portati dal mare e le note di una musica lontana. E si riempie, si impregna, ingloba tutto sotto una scorza dura. 
Ti sorprenderà poi, con quel calore che non è solo il sole immagazzinato, ma è anche tutto quello che ha assorbito nell'attesa che tornassi a raccoglierlo.
Ti sorprenderà nella sua tiepida immobilità quasi viva, mentre ne accarezzi la superficie ruvida. Perchè è solo un sasso alla fine e non sai.
Non sai che vorrebbe alzarsi, muoversi e rotolare e liberare l'energia di mille albe e tramonti e parole accumulate e farsi sabbia disintegrandosi, trasformando quanto ricevuto, assorbito ed accumulato e brillare di una luce di mille soli, come un diamante purissimo, che in fin dei conti poi non è nient'altro che un sasso anche lui, un pezzo di carbone riuscito maledettamente bene.
 
Ma no, tranquilli che non ho niente,in fondo, niente che un litro e mezzo di Roipnol bevuto a canna o un paio di pieghe in moto come Dio comanda non riescano a far passare. Niente altro che pensieri opachi e bigi a farmi compagnia ed ogni cosa, ogni fiato è lentezza e fatica, soprattutto fatica. Mi sembra di arrugginire inesorabilmente.
E perchè mi danno a scrivere allora?
Non so. Perchè non mi rimane altro da fare, forse. Perchè mi manca mia figlia almeno quanto manco io a lei (ma domani basta vado e me la riporto indietro). Forse perchè non ho un posto dove stare che ultimamente senta mio e dove mi senta bene, o forse perchè non lo so neanche io. Forse per cercare conforto in ciò che mi piaceva fare e che adesso è spossante. Ma è meglio che mi metta da parte per un pò, per non infastidirvi con le mie lagne. Tornerò, prima o poi, non appena mi sentirò forte abbastanza ed in grado di farlo. 

Voi, che avete di meglio, lasciatemi stare, per oggi.