sabato 29 giugno 2013

Hidden identity



In ogni comics che si rispetti, l’identità del supereroe viene sempre misteriosamente tenuta celata agli occhi del mondo intero.

Lo puoi incontrare nella penombra della notte, i tratti del volto occultati dalla maschera solcati dai freddi riflessi della luna, mentre sorveglia la città dalle pendici di un grattacielo, incurante di tutto, in equilibro su un traliccio per le telecomunicazioni. I suoi occhi scuri contengono tutti i suoi segreti.

Analogamente, l’identità del prode D&R è ugualmente incognita agli occhi dei più, con poche e fidatissime eccezioni. Sì è vero, come analogia magari sarà pure stiracchiata, non sono solito passeggiare affacciato perigliosamente sul baratro (ed è una vita che non arrampico), anzi ultimamente dimoro in un cubicolo al secondo piano interrato di un ospedale senza optional alcuni al di fuori dell’aria che respiro. E’ vero che sorveglio grovigli di apparecchiature elettriche sull'orlo di una crisi di nervi (loro e mia) tentando inutilmente di mantenerne il dominio, e non ho nè mantello né mascherina - che tralaltro mi starebbero un amore, ça va sans dire - anche se ho la certezza che se iniziassi a trotterellare allegramente per i reparti di qui con tutina, mantello ed una grossa D&R cucita sul petto mi meriterei immediatamente un soggiorno nel reparto di sanità mentale a spese dei contribuenti. Ma che volete, quando uno sente di avere in sé lo stesso spirito dell’omino della pubblicità che fredda il mostro con l’alito ghiacciato del Vigorsol, mica può reprimerlo e rassegnarsi a fare solamente l’ingegnere serio e compito, che diamine.

Dicevo che il segreto della mia doppia identità è ben al sicuro entro poche mani. Ed ogni coppia di quelle mani appartiene a persone, ciascuna preziosa e merce rarissima, che si sono meritate nel tempo la mia fiducia più assoluta: ognuna di queste ha un pezzetto della mia vita stampato in loro, e ognuna è parte del percorso della mia, una via, una strada, una piazza, angoli, fiumi, alberi e nuvole di una mappa colorata ancora da finire di disegnare.

L'incontro con queste persone ha cambiato il mio percorso. Hanno camminato con i miei passi, hanno accresciuto il mio modo di essere, mi hanno donato bellezza, parole e sorrisi, lacrime e carezze, uno spicchio di luna e un cristallo, una mano da stringere che sarà sempre un'ancora a cui tenersi saldi, un battito impazzito nel cuore che non ascolta la ragione ed un profumo raccontato dal vento. Ognuna di loro, a loro modo diverse e speciali, ha reso me migliore del me stesso che ero prima di incontrarle.

Perché in questo sparuto gruppo compaia poi anche lei, in realtà non l’ho ancora del tutto capito. Ma c'è, ed è un fatto.
Lei che dello studio ha rotto la qualunque, anche solo con il potere dello sguardo: computer, telefoni, server e macchine del caffè, scaffali e oltre a (ovviamente e molto più spesso) un paio di cose alquanto personali del sottoscritto, si sono dovuti arrendere alla sua furia devastatrice. Il tecnico della nostra rete, a causa sua, ha dovuto ricorrere più volte in analisi.
Lei che di parole me ne ha date tante, a volte così tante da travolgermi e sommergermi improvvisamente stile slavina, senza neppure curarsi prima che nei dintorni ci fosse un san Bernardo con la fiaschetta di grappa per poterne uscire vivo.
Lei è l’architetto di cui ho già parlato qui. Che ha fatto una scelta necessaria e non indolore e che dalla prossima settimana (e per questo ha già da oggi tutta la mia solidarietà) inizierà un altro capitolo della sua vita lavorando in quel di Bucodiculoplace, lontana dallo studio delle rose, da tutto quello che è essere meravigliosamente noi, i nostri progetti e le nostre banche, il cameratismo con le battutacce da caserma alla macchina del caffè, le corse, le litigate e gli sfoghi ritornando a casa la sera. Lei che le basta annusare una qualsiasi bevanda alcoolica per inanellare una serie di doppi sensi da far arrossire un camionista di Reggio Calabria, lei che ha reso più leggeri giorni troppo pesanti, che mi ha assistito nella correzione degli spaventosi errori grammaticali del suo capo nonché mio socio (a sua insaputa), lei che ha ascoltato seria le storie più inconfessabili quando le dicevo “fai finta di essere Enry”.
Andrà a lavorare là, nel lugubre loco improponibile, con quattro panchine sbilenche a farle compagnia - fatte apposta per far cadere sul fianco i pensionati che proveranno a sedersi - al di là dei vetri dell’ufficio di due metri quadri e mezzo senza Internet né radio con Santina e tutte le sue stronzate inascoltabili, a osservare trascorrere il nulla interrotto dal rotolare pigro di qualche secca sterpaglia sul selciato. Per tenerle compagnia sto pensando di regalarle un pallone da pallavolo, un Wilson con cui scambiar quattro chiacchiere come in Cast Away.

Ma ha scelto bene, non poteva essere diverso. Gli occhi dei figli cambiano troppo in fretta se non sei lì a respirarli, ad accompagnarli all’asilo per mano e mettergli le scarpine, quelle rosse piccole, dargli il bacino sulla punta del naso prima di vederli allontanarsi a cominciare sereni la loro giornata. Cambiano, se non riesci a regalargli quella parte di te stessa che gli spetta, a godere di una vita basata su singoli momenti unici, se un posto lontano te li assorbe e ti lascia esausta, se il tempo che passi guidando supera ogni giorno, quello che passi con chi è la cosa più importante della tua vita.

Così lei ha scelto. E ha scelto bene.
Ha colto una rosa sapendo che ci sarà qualche spina che la pungerà un poco comunque, ma almeno ne respirerà a pieni polmoni il profumo intenso.

E quindi è lei, il vero supereroe di questa storia.

Passerà un'ultima volta sotto il pino, sorridendo, guarderà le rose che sbocciano, la pianta di limoni, i gradini scrostati, le ortensie, l'erba appena tagliata, i muri di questo posto che è diventato una strada nella sua mappa colorata. Poi chiuderà il portone, osserverà il nostro bar e non riuscirà a non girarsi indietro.
Lei ed il suo entusiasmo nelle cose, lei e la sua allegria, lei e il suo tempo che ha fatto passare più velocemente il mio.
Lei che anche adesso, mentre sta finendo di leggere, sono sicuro che, piagnona com'è, ha gli occhi lucidi ed un sorriso nuovo, sulle labbra e sul cuore.

E per l’ultima volta, razza di rompiballe come pochi altri, fai finta di essere Enry, che devo abbracciarti e dirti grazie.

Ah, tanto per la cronaca. [aggiornamento del 29 luglio]
Tanto lo sapevo che, aprendo la "busta", almeno gli occhi lucidi, quelli ti venivano.


giovedì 20 giugno 2013

Lo senti?

Piove.

Piove lento e silenzioso, così calmo e rassicurante in questa sera inaspettatamente fresca. Piove di quel suono ovattato, quello ssccc continuo che è la pioggia d'estate, che va sopra ogni cosa e copre il rumore delle rade auto che passano, che anche loro si portano addosso rumore di pioggia.
Piove sulle foglie larghe della vite coi suoi timidi grappoli ed i riccioli sottili con cui si arrampica flessuosa e tenace sui muri, sul pino maestoso che allarga le sue braccia ad accoglie i due merli, gli stessi che ogni tanto si affacciano a curiosare impettiti fin sulla porta per capire cosa stia combinando qui dentro.

Il cielo è una lastra d'acciaio, un temporale lontano brontola cupo. 
Mentre qui piove sul selciato lasciando quell'odore di sabbia bagnata, di pietra tiepida e di attesa.
E piove sulle mie poche parole sempre più difficili da trovarmi addosso, sulla mia Ciccia lontana, sui miei pensieri così disordinati, su questa voglia di niente che ogni tanto mi attanaglia e mi morde, su questo fardello di pensieri e di cose che a volte sembra di non aver niente su ed altre invece è così pesante da portarsi addosso.

Piove sulla luce di fuori, gialla e radente, piove rendendo le mie rose appesantite e più profumate ancora, trasformando le foglie in diademi luccicanti e preziosi, piove sui miei pochi sorrisi e sui miei tanti progetti, sulle parole che mi mancano, sullo zaino per correre e su tutti i miei sogni sognati, che alle volte mi appaiono così distanti e bellissimi che penso di non esserne capace, di sognare sogni così.