venerdì 19 febbraio 2010

Sgrunt!

Letto d'ospedale, dopo aver saputo che dovevo fermarmi a dormire.
Comunque, tutto bene.
Mancano circa quattrocento giorni.

See you...

Soon!!!!

Con oggi termina ufficialmente la mia carriera di corridore normale ed inizia quella di runner "bionico".
Sono pronto. Mi son segnato con il pennarello indelebile la scritta "QUI NO" sul tendine della gamba sana, a scanso di equivoci, sai com'è :-)
Ieri ho corso, imprimendomi bene le cose che rivedrò tra un paio di mesi, spero. Gli alberi, che ritroveranno foglie e nuove gemme, il percorso, le buche, i rami potati accatastati in fascine, le pozzanghere da attraversare con passo deciso ed il tracciato, che è stato ridipinto di fresco. E questo sole, che oggi era così inusualmente caldo, rispetto al gelo di stamattina ed un cielo azzurro che non ti aspetti, azzurro così, saranno state le lenti gialle od il fatto che io, portatore sano (ma neanche poi tanto) di daltonismo, l'azzurro del cielo oggi me lo portavo dentro.
E poi le persone, i fidanzati sulle panchine, gli anziani con le loro rispettive badanti al braccio che percorrono a passetti lenti questi viali. Le prime mamme con le carrozzine, fa ancora freddo ma qualcuna c'è. Ed i runners, quanti, oggi!!! Un esercito, quelli veri, magrissimi, coloratissimi, che sembra che galleggino più che correre, poi quelli come me, e quelli persino peggio. E con quelli che mi han corso vicino mi son preso il lusso di forzare un pò, tanto vale finire in bellezza, per cui due chilometri a 4.43" di media ed altri due sui 5.10", con lui, il tendine di cristallo che stavolta un poco si lamentava.
E c'è sempre il solito vecchietto, che quasi mi dispiace quando lo sorpasso, che oggi lo guardavo e mi sembra spiccicato all'attore che impersonava l'allenatore di S. Stallone in Rocky. Ha lo stesso sguardo torvo, lo stesso berretto di lana calcato sulla testa e le stesse identiche rughe sulla faccia spinosa. Oggi correva con il solito sacchetto stretto tra le dita ed era vestito così tanto che sudavo a vederlo, io che come lui neanche sul Bianco, a momenti.
Ciao vecchio, fatti trovare in forma, mi raccomando.
E da domani, si riparte. E Parigi è già, un giorno in meno, più vicina.
Pronti?

sabato 13 febbraio 2010

Conto alla rovescia


E così, tra una settimana sarà già passato tutto. Guarderò il mio piede tagliuzzato, vedrò una fasciatura pulita, tasterò con le dita una nuova cicatrice e sentirò male, forse, o forse no.
Di sicuro non sarò in studio, come adesso, come sempre.
Di sicuro riuscirò a fermarmi almeno tre o quattro giorni, come non capitava da tempo.
Ho tutta una settimana davanti ed è già finita, il carnet di ballo è già pieno. Ho da girare come una trottola, vedere i cantieri aperti, uno lunedì, due martedì, uno mercoledì e uno giovedì. Avrei da andare ancora a Genova, per lavoro ma anche no. Poi venerdì mattina prestisssimo si va a rimettere in sesto il tendine di cristallo, a fargli la revisione, il tagliando e la lucidata finale. Ci sarà con me il mio amico Renè, "l'invincibile", come gli avevano tributato su un giornale quando aveva vinto la maratonina di Pertusio in 1h,11'31".
Guarderemo insieme le nostre montagne, indicando quelle su cui siamo saliti, insieme o separatamente, scherzeremo, come facciamo sempre, e inizieremo a programmare da subito le nostre prossime mete comuni. Ha d'impulso accettato a farmi da coach per permettermi di portare a termine la mia prima maratona: lui invece ne ha già corse tante, e vinta anche qualcuna, anche se lo ha fatto quand'era giovane, gli dico sempre io. Ed insieme abbiamo deciso di levarci finalmente di mente il Gran Paradiso su cui nessuno dei due chissà perchè era mai salito ed infine di salire la normale al Cervino, alla quale avevamo voltato le spalle anni fa senza troppi rimpianti, dopo una lunga e pensosa occhiata a tutte quelle lapidi.
Questa settimana ho fatto un pò di tutto: ho corso, ed anche meno penosamente del solito, anche se correre a 5.22" al chilometro qualcuno obietterà che non è correre (ed avete perfettamente ragione), ho arrampicato, ho ripreso la moto, l'ho pure fatta cadere per guardarmi in giro e me la son tirata su da in mezzo la strada, duecento chili alzati a braccia e da solo. Risultato: son tre giorni che ho un mal di schiena fottutto e che quelli dello studio sghignazzano e mi dicono che non ho più nè l'età nè il fisico. Della testa non lo dicono, so che lo pensano, ma in quanto capo... No, ripensandoci bene, mi dicono anche questo.

E, sentite bene, ho arrampicato PER LAVORO. Per Lavoro! In pratica, mi pagano per arrampicare! Oddio, pagare è una parola grossa, un rimborso benzina o poco di più, mi ripagano il tempo che ingegneristicamente parlando dedico loro, ma per me è un regalo. Un pò come quando mi chiamano da Genova per lavoro. Sì perchè il sottoscritto, insieme al suo socio minoritario - o minorato a seconda dei momenti - effettua periodicamente il controllo dell'efficienza di ben due e dico due palestre artificiali di arrampicata. Piccoline, niente a che vedere con quella di via Braccini, eccertoche, ma così, almeno due volte all'anno è sicuro, garantito al limone, che arrampico.

Oddio, in realtà ci facciamo un panaro tanto, a controllare l'efficienza di tutti gli ancoraggi, a stringere dadi e bulloni a sforzarsi e a digrignare i denti, stando appesi in posizioni precarie fino a non sentire più le mani. E poi che questa volta il mio socio - mercurio, l'ho ribattezzato per la sua capacità liquida di sgusciare in ogni occasione - si è addirittura dimenticato di prendere "soltanto" le scarpette da arrampicata e l'imbrago, la fatica è stata doppia e solo mia.

Ma quando hai finito, comunque, quando sei tornato sotto, disteso sui tappetini a guardare in su, ancora con le scarpette strette e l'imbrago con i moschettoni infilati, beh in quel momento ti senti decisamente soddisfatto. Contento di te, felice di aver ritrovato gesti, nodi, pensieri riposti con cura in un baule e che ritornano, immediati, freschi e vivi.
Già da quando sei con lo zaino addosso, pesante e con il rumore tintinnante di ferraglia che ti accompagna ti senti un altro.
Inizi con la corda. La svolgi, con gesti ampi e lenti. Ci vogliono capi comodi per fare i movimenti senza inutili costrizioni. Poi calzi le scarpette, e le leghi strette, più strette ancora. Infine tiri fuori dallo zaino imbrago, rinvii, moschettoni e cordini.
E mentre ti leghi, con gesti misurati, ti senti sereno.

Poi.
La magnesite è una magia.
Te la metti; anzi no, non è così. E' il gesto che fai.
Lo faccio prima di salire, un poco discosto dalla parete: sposto la mano all'indietro, quella destra quasi sempre. Infilo le dita unite nel sacchettino che è pinzato all'imbrago con un moschettone piccolo, forse viola.
Il gesto è automatico, preciso, deciso. Il sacchetto è sempre lì dove deve essere. Senti il morbido rivestimento dell'interno del sacchetto. Senti l'impalpabilità della polvere, che aderisce alle dita quella che basta.
Guardi in su, studi la via, il percorso migliore, gli appigli gobbuti e colorati. Su in cima, un poco in ombra, la catena, l'arrivo. Nel frattempo hai unito le mani, premi forte le palme una contro l'altra, Esce uno sbuffo di polvere bianca, sottile sottile.

"Vado", dico di solito.
Le due dita sul primo appiglio lasciano la consueta impronta bianca. Ti ripeti mentalmente le cose da fare, le posizioni da tenere, piedi in fuori, tallone basso, peso contro la parete. E' bello inventarsi qualcosa, ogni tanto, un passo incrociato, una presa a mano rovescia. E' bello, sentire i muscoli far male un poco, solo il giusto.
Il rinvii appesi all'imbrago tintinnano toccandosi, rassicuranti. Quando arrivi al moschettone prendi il rinvio, tiri su la corda che tieni ferma con i denti di solito, poi ti assicuri e prosegui.
La corda non è una sicurezza, è di più. E' la tranquillità che ti dà alla testa, la certezza concreta che non cadrai, non potrai, assolutamente, che rimarrai al limite appeso come un salame se sbagli, ma che non può capitarti niente. E' con questo spirito che sali.
Ti fermi, se il passaggio è difficile. Può capitare che ti prenda una vaga forma di malessere, che non è paura, ma ci è lontana parete, che ti si avvicina e ti gira in testa.
Allora ti fai mettere in tiro, punti i piedi, rimani appeso ad un appiglio con una mano, il braccio in tensione, l'altro lo lasci penzolare, scuotendolo un pò per eliminare l'acido lattico di troppo.
Così facendo sei inclinato in fuori. Studi di nuovo la via, rimetti la mano nel sacchetto; non servirebbe ma quel gesto spazza via le ombre, rilassa. Avvicini le dita alla bocca, soffi via in un sottile sbuffo la polvere in eccesso. Riprendi.
Tre, quattro, cinque movimenti e sei in cima. Pigli un cordino, te lo leghi all'imbrago e con un moschettone a ghiera ti assicuri. Sei arrivato, e chi ti assicurava può riposare anche lui.
Guardi sotto, il vuoto non ti fa nessun effetto, non puoi. Hai lavorato bene, le mani ti fanno piacevolmente male, stai bene, soddisfatto. Hai "risolto" il problema.
Questo è arrampicare. Questo è il bello dell'arrampicata.

E questo adoro fare.

lunedì 1 febbraio 2010

La chiamata


Non certo quella alle armi, che oramai, in grazia di Dio, abbiamo già dato, come direbbe qualcuno da cui, ogni tanto, prendo spunto (scusi, devo pagare le royalties?).
E neanche ho visto la luce stile Blues Brothers.
Più semplicemente ho ricevuto una telefonata, anzi La telefonata. Quella che sapevo che sarebbe dovuta arrivare, prima o poi.
Ma che sarebbe stato meglio poi.
E sì che dovevo immaginarmelo, che sarebbe arrivata proprio in questa settimana. Che un'altra così, storta ed antipatica, non mi era capitata veramente mai. Che c'è una valanga di lavoro che ti sta addosso come un bastardino addentato alla caviglia, anche se questo, non va poi così male, alla fine. 
Una di quelle settimane in cui ti senti straniero, che parli una lingua sconosciuta che nessuno comprende, che dici scusami? e gli atri capiscono un insulto e si offendono, che chiami le persone con il nome sbagliato, che tutto quello che dici ti torna indietro come un boomerang, ma amplificato e distorto. Che ti capita tutto e il contrario di tutto.
Ed alla fine ti ci mandano, fuori dai fogli, come dico io.
E così, fedele alla Legge di Murphy, è arrivata.

Ero in auto, e stavo per recarmi a presentare un progetto in un'altra città.
Vestivo la mia uniforme "da ingegnere", che vuol dire aspetto sobrio, valigetta The bridge e scarpette da running sempre e comunque.
Stavo ripassandomi mentalmente le cose da dire. Eravamo oramai arrivati a destinazione. All'improvviso lo squillo, stranamente sinistro. Un numero non riconosciuto.
Rispondo - Pronto? - vagamente interrogativo.
Dall'altra parte una voce femminile, informale, leggermente petulante. Si sente che è abituata a fare tante telefonate come la mia, tant'è che sulle prime penso ad una chiamata da un Call Center di un'assicurazione, o qualcos'altro.
"Il signor .....Dreaming?" - Sì - rispondo, sempre più esitante ed inquieto. 
Sento il suo respiro. Prende il fiato e, subito dopo, parte a manetta.
"Buongiorno, qui è l'Ospedale di B.... Le confermo che il suo intervento al tendine è stato programmato per il diciannove di febbraio. Dovrà trovarsi entro le sette e trenta del mattino. Dovrà presentarsi a digiuno. Prima però dovrà fare gli esami del sangue e incontrare l'anestesista che verrà programmato il....."
Per un attimo non capisco: ma di cosa mi sta parlando questa? ma non doveva parlarmi di una nuova assicurazione? o di un contratto telefonico vantaggiosisssssimo? Ma cosa sta dicendo?
Poi comprendo: L'Intervento!! Al tendine!! Il mio!! Il sinistro!

Cacchio, questi mi operano sul serio!
Piombo nel panico più totale. La mia mente, categoricamente SI RIFIUTA di comprendere ed accettare quello che l'efficientissima voce, dall'altro capo della linea, sta snocciolando con precisione quasi svizzera. Cerco una biro, un pezzo di carta, non riesco a trovarle nelle tasche del cappotto, non riesco neanche a trovare le tasche. Balbetto, sudo anche.
La interrompo. "Scusi, ma non riesco a seguirla". Lei si ferma, interdetta. "Ma lei è ..... ?" - ribatte, ripetendo il mio nome. "Sì, sono io, ma guardi adesso non riesco a segnarmi le cose, non ho una biro, non ho un pezzo di carta, forse non ho neanche le mani, ho il suo numero, la richiamo io più tardi. E metto giù.
Silenzio. Il silenzio più bello del mondo, dopo tutte quelle parole. Mi sento respirare con affanno.
Mi volto, di fianco a me c'è il mio socio, che stava guidando e si è fermato subito. Tiene in mano un pezzo di carta e una biro. Mi sta guardando - Sei pallido - mi dice, con un mezzo sorrriso.
Dio che spavento - ribatto. Una telefonata così, informale, precisa, senza neanche un mezzo sorriso accennato, che so, un velo di preparazione, un minimo di comprensione, ecco. - La telefonata, l'intervento, mi vogliono operare - gli dico. 
"L'avevo immaginato" mi risponde, riponendo la biro. "Dovevi aspettartela, prima o poi".

Già,dovevo aspettarmela. Ma facevo affidamento sui tanto sbandierati tempi lunghi della malasanità italiana. Vatti a fidare.
E poi comìè possibile? Ho anche ripreso a correre, non dimentichiamolo. Corro piano ma corro, ho ufficialmente ricominciato. E il tendine è sì gonfio, ma non fa neanche male. E devo ancora fare una visita dal mio luminare, magari mi dice che possiamo sospendere la prenotazione.
Gli telefono subito e gli dico tutto. E' contento - ottimo, ottimo - risponde.
Di rinunciare a farmi operare però non se ne parla. Mi dice che ormai il mio tendine non aspetta altro - Stai tranquillo, vieni qua il quattro che parliamo e ti spiego tutto - mi dice, cercando di rassicurarmi. Non ci riesce.
La sera, poi, tornato in studio, con la confusione in testa, ho finito di lavorare tardi, alla fine. Verso le nove. Ma alle otto avevo gente a cena, e alle nove e mezza avrei anche dovuto presenziare alla riunione di condominio, che si teneva.. da me. Nevicava con fiocchi giganti che si posavano leggeri e silenziosi su un manto già bianco. Salgo in auto, presagendo già i commenti irosi una volta arrivato a casa... quando uno i guai se li va a cercare; metto la chiave nel cruscotto, giro e... niente. L'auto non parte.
E mi trovo alla fine di una giornata di.... sì, quella cosa fumante lì, a trenta km da mia figlia, solo, sotto la neve. Scomodo un paio di santi e poi, penso di andare a casa a passo di corsa; alla fine, saggiamente, riesco a rimediare un'auto da un amico, e con quella torno finalmente a casa, al coperto ed ai baci preoccupati della mia bimba. Anche il ringhio della consorte si è ridotto ad un brontolio sommesso, si vede che riesce anche lei a capire che, forse, oggi è meglio di no.
E così mi opero, gente.
Il diciannove, nel reparto di chirurgia ortopedica di un ospedale lombardo il signor blogger D&R (in incognito per sfuggire ai fans :-), verrà operato al tendine d'achille.
Spero almeno che anche il chirurgo sia un fan di Scrubs. Sai le risate!


E subito dopo ricomincerò, di nuovo. Ricomincerò come dopo che sono stato operato al ginocchio, che mai avrei pensato di non zoppicare più, figuriamoci poter riprendere a correre, fantascienza. Ricomincerò con la fisioterapia ed il dolore, con lo stringere i denti e la voglia di andare avanti, sempre e comunque.
Ricomincerò ancora, ma so che, anche questa volta posso farcela. Lo so molto bene.

Anzi, faccio di più: mi pongo degli obiettivi. E, scusate se poco, dei Signori obiettivi, mica pizza e fichi.
Il primo, aprile 2011: Maratona di Parigi: qualcuno si aggrega??
Il secondo, molto prima: il Gran Paradiso, che ci manca. Serve a far fiato. Ed a respirarmi, trovarmi, a guardare lontano con occhi sereni. 
Il terzo, quando sarà, forse settembre 2010, forse più avanti, Il Cervino, per la via normale, perchè le montagne aspettano, ma questa mi sa che ha già aspettato fin troppo, vero Renè?
Nel frattempo continuo a prepararmi. Continuo a correre, a tenermi in allenamento, a pensare ed a scrivere. A respirare, a vivere. Felice di poterlo fare.
Sì, felice. Nonostante tutto, le giornate o le settimane storte. Le macchine si aggiustano, le divergenze si chiariscono. Ed i tendini si aggiustano. Basta volerle le cose. Non ci sono limiti. La vita è troppo breve per porseli.

Ed ho diciotto giorni ancora, diciotto lunghissimi giorni da non sprecare, prima della forzata immobilità, che spero sarà brevissima; una parentesi, alla fine. Diciotto giorni per prendere la rincorsa e fare il pieno.

E poi mi sono già premunito checcredete; un portatile ed una connessione veloce e sarò in grado di torturarvi anche dal mio letto di convalescenza. E, per chi ne avrà voglia vi metterò al corrente sia delle sofferenze sia dei progressi, fino alla prossima sgambata nel Parco, che ancora non so quando sarà. Seguitemi, ne avrete voglia, se non vi annoierò troppo, se vi piacerò.
Sì, mi sorprende ancora che ci sia chi mi legge; con tutti quelli che sanno scrivere bene, ma bene sul serio, mi meraviglia che ci siano persone si complimentano con me, per come scrivo, che addirittura si segnino tra i miei sostenitori - (all'Alieno, a Valentina e a the Yogi: Benvenuti!!). Mi sorprende che qualcuno capiti su queste pagine addirittura da San Antonio, Texas o più semplicemente  da Gonnosfanàdiga, in Sardegna, paese di cui, confesso, ignoravo addirittura l'esistenza.

Bello, se ci pensi.